MIRRORED IN SPECTRAL MACHINES

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SPAZIOSERRA X MATTEO GARI

Hey, mi senti? 

Non voglio disturbarti. Sono passatǝ a trovarti. A vedere come stai. Mi sento in colpa. Scusami, scusami tanto. Io ti osservo, sono qui, qui fuori. Mi vedi? Almeno ascoltami ti prego. Ti ho rinchiuso qui con la speranza che non mi avresti più fatto paura. Se ti osservo mi incuti timore. Nonostante la tua immobilità, sei inquietante. Se ti guardo, non so chi sei. 


* Estratto dal testo critico di Luana Corrias *

spazioSERRA è un luogo alternativo all’interno della dimensione artistica contemporanea milanese. Spazio no profit nato nel maggio del 2017 e situato in un’ex edicola, all’interno della Stazione Ferroviaria di Lancetti, fa parte del progetto Artepassante: un’iniziativa promossa da Le Belle Arti APS con l’intento di portare l’arte fuori dai canonici spazi di fruizione.

Grazie alla sua particolare conformazione spaziale, una pianta ottagonale e pareti vetrate, interno ed esterno sono sempre visibili e in dialogo. In questo senso spazioSERRA è sempre visitabile, dalla mattina alla sera tutti i giorni della settimana, da “pubblici” variegati e accidentali. Questo si sposa perfettamente con lo spirito del collettivo che intende proporre una forma di incontro/scontro con l’arte, permettendole di diventare un veicolo inclusivo e non esclusivo come, invece, è tipico nel sistema dell’arte contemporanea. 

La conversazione di oggi nasce in occasione dell’inaugurazione di Mirrored in Spectral Machines, mostra di Clarissa Falco in collaborazione con Camilla Alberti, testo critico di Luana Corrias e curata dallo stesso collettivo spazioSERRA. Ho avuto il piacere di scambiare qualche pensiero con le artiste e Luana Corrias, Massimiliano Fantò e Silvia Biondo, membri del collettivo. 

Mirrored in Spectral Machines inaugura oggi, 19 gennaio 2022 alle 19:00, e sarà visitabile fino al 16 febbraio. 

Mirrored in Spectral Machines, dettaglio, gentile concessione di spazioSERRA

Massimiliano Fantò: Il nome della stagione espositiva in corso è venerazioneMUTANTE. Ogni stagione ha un tema cardine scelto dal collettivo. Il nostro obiettivo è presentare la mutazione che avviene durante l’arco di permanenza delle opere. 

Matteo Gari: Cosa si può aspettare chi visiterà la mostra? 

Clarissa Falco: Mirrored in Spectral Machines è un lavoro inedito, che si sviluppa come ibridazione tra la mia ricerca e quella di Camilla Alberti. Ci siamo confrontate con l’incontro dei nostri lavori – già avvenuto precedentemente, ma solo su piccola dimensione-, e con la spazialità e la possibilità di produrre qualcosa in scala umana. Sarà una sorpresa anche per noi, durante l’allestimento, prendere consapevolezza dello spazio e vedere come gestirlo con le strutture che abbiamo realizzato. 

Camilla Alberti: Tutto ciò che fa parte della mia ricerca è stato messo a confronto con il lavoro di Clarissa partendo, però, da uno spazio che non è così tanto opposto. Il nostro terreno comune è stato l’aspetto materiale dell’elemento trovato – riciclato, che non funziona più e una volta rimesso in gioco diventa qualcos’altro – e gli aspetti teorici dell’ibridazione: nel caso di Clarissa legato alle macchine e nel mio al vegetale. Il progetto è nato proprio da una crasi di tutti questi livelli. Abbiamo voluto ricreare una spazialità che riprendesse l’idea di un elemento riconoscibile, ma che è diventato qualcos’altro, in una dimensione di installazione immersiva. 

Mirrored in Spectral Machines, dettaglio, gentile concessione di spazioSERRA

MG: Come nasce il titolo? Chi o cosa sono queste “macchine spettrali”?

CA: Tutto merito di Clarissa!

CF: Il titolo originale nasce da una canzone, ma è cambiato durante lo sviluppo del progetto. Vogliamo comunicare la dimensione immersiva dello specchiarsi all’interno dell’installazione. Le “macchine spettrali” sono gli oggetti trovati, in quanto tutti gli elementi meccanici che lavoro partono da una condizione di inutilizzabilità e attraverso degli assemblaggi diventano altre macchine che non possono comunque funzionare. Spesso mi riferisco ai macchinari che creo come “macchine sterili”, proprio perché partono da una dimensione di rottura e l’elaborato finale comunque non funziona.

MG: Come si è sviluppata la vostra collaborazione in questo progetto a quattro mani?

CA: Ci sono state molte evoluzioni, soprattutto dovute allo sviluppo della nostra collaborazione nata, come un lavoro a quattro mani, lavorando nel mio studio per circa dieci ore al giorno. A un certo punto ci siamo divise, quindi Clarissa ha cominciato a fare scelte in maniera più indipendente ed è diventato importante per noi che questo processo diventasse visibile anche nell’installazione finale. 

CF: Quando Camilla ha dovuto concentrarsi su altri impegni ho iniziato ad avere più responsabilità sul lavoro. Ho cercato di intrecciarmi il più possibile alle “architetture” che avevamo ideato insieme, aggiungendo l’elemento macchinico e del pizzo. Come dice Camilla, si percepisce l’iter progettuale e che l’anima delle strutture sia stata creata insieme. Alla fine il risultato è un discorso molto fluido e sono molto felice di come si è sviluppato il lavoro. 

Mirrored in Spectral Machines, dettaglio, gentile concessione di spazioSERRA

MG: Come si relaziona il testo critico con le opere in mostra? Da che presupposti nasce la scelta di sviluppare una narrazione piuttosto che una “critica”?

Luana Corrias: Inizialmente avevamo pensato a una scrittura a più mani ma, come il progetto, anche il testo ha dovuto adeguarsi a dei cambiamenti e così è nato uno scritto totalmente non accademico. Dopo aver studiato Visual Cultures e pratiche curatoriali mi sono stufata di quella tipologia di scrittura accademica e ho iniziato a privilegiare una scrittura “minore”: il diario, la narrativa. In un periodo di crisi in Accademia, ho letto Autoritratto (1969) di Carla Lonzi e ho preso consapevolezza di cosa significasse essere “critica” o “curatrice”. Questa figura ha delle conseguenze ben precise, soprattutto di tipo economico, perché attraverso i propri scritti stila una sorta di graduatoria degli artisti. Per questo motivo ho deciso di non voler scrivere in questi termini. 

Nello scrivere il testo mi sono calata nel passante, che non è all’interno del sistema dell’arte, e vede qualcosa che non è di principio definibile e che non è in grado di definire. Da qui, abbastanza di getto, ho costruito una storia. Se avessi dovuto scrivere un testo critico concentrandomi sulla ricerca di Clarissa e Camilla avrei incontrato molte più difficoltà perché è un tipo di scrittura che non mi appartiene. 

MG: Come avete pensato il rapporto con questo spazio estremamente caratterizzato? 

CA: Ci è piaciuto da subito lo spazio proprio per il suo essere così caratterizzato e perché era già predisposto a dare l’idea dello scenario in cui poter creare un’organicità interna. Da qui siamo partite per capire cosa potevamo proporre e ovviamente il tema della call ci ha dato un indirizzo in più. In ultimo, abbiamo dovuto capire come confrontarci e quali parti del lavoro di ognuna volevamo mettere in relazione anche dal punto di vista estetico. Inizialmente l’installazione aveva un’impronta molto più organica, intesa come corpo, e alla fine è diventata una spazialità in cui tutti gli organismi sono connessi con elementi meccanici e di pizzo. Quest’ultimo ci sembrava si legasse alla ricerca di Clarissa e a livello teorico con tutto il lavoro, in quanto definisce il tracciamento di un legame andando a riprendere l’attitudine usata per il resto delle strutture. Diventando un “filo” conduttore fra tutto.

MG: Come si colloca questo progetto espositivo all’interno della vostra programmazione espositiva venerazioneMUTANTE?

Silvia Biondo: L’idea di questa stagione è di ospitare mostre che prevedano una mutazione. Qualcosa che cambia dal primo all’ultimo giorno. Abbiamo accolto diversi tipi di mutazioni, ad esempio in OSANNA (!), la personale di Alessio Barchitta, un robottino mischiava del sale sul pavimento scomponendo una figura. In 12V (x8) di Alice Paltrinieri la mutazione era basata sull’afflusso del pubblico che, tramite dei sensori che ne rilevavano il passaggio, faceva scaricare delle batterie. 

In questo caso la mutazione è costituita dagli elementi vegetali in dialogo con le cinque strutture costruite da Clarissa e Camilla. Fondamentalmente il nostro obiettivo è quello di avere delle mostre che siano diverse ogni giorno. Questo tema è stato indagato in modi diversi. Per esempio con due performance, che non si ripetevano mai uguali a loro stesse, e una mostra digitale di Mauro Campagnaro, che tramite una fototrappola ha ripreso il cambiamento di un ambiente montano. Questo tema ci ha permesso di sperimentare e con la scelta delle mostre che hanno composto la stagione abbiamo cercato di essere il più eterogenei possibile.

Mirrored in Spectral Machines, dettaglio, gentile concessione di spazioSERRA

MF: Uno dei grandi pregi – e difetti – di spazioSERRA è il rischio che “mangi” le opere per via della sua figura caratteristica e quasi violenta. Quello che sono riuscite a fare Camilla e Clarissa si inserisce perfettamente nella dinamica di mutazione delle opere all’interno della stagione. 

Dal momento in cui ci siamo consolidati come collettivo abbiamo deciso di non avere una figura curatoriale, ma unire le skills di ognuno di noi e utilizzarle per curare progetti o relazionarci con gli artisti. Abbiamo scelto una persona, in questo caso Luana, come elemento aggiuntivo. Il suo testo non è un elemento coadiuvante alle tematiche di Clarissa e Camilla, ma una chiave di lettura aggiuntiva che va ad integrarsi al filone di pensiero, alle tematiche e alla poesia che le artiste propongono nello spazio. Ci interessa il discorso sull’agentività. All’interno della dimensione della stagione ci sono diversi agenti che si muovono: artisti, passanti, il collettivo, le opere, lo spazio e il testo. Tutti questi elementi devono essere visti come un nucleo unico e non si muovono secondo logiche prestabilite, ma si relazionano in maniera sempre differente tra di loro producendo un lavoro polifonico.