CARLO CORONA
I nuovi spazi italiani d’arte contemporanea rappresentano un’abbondante fetta del panorama artistico contemporaneo italiano, tanto da conquistare il plauso di riviste di settore, progetti curatoriali ed eventi culturali di respiro internazionale – come Supercondominio (1) a Torino – che intendono offrire una nuova occasione di incontro per ampliare e approfondire alcune delle discussioni innescate dai nuovi esperimenti espositivi. D’altro canto, l’intento è raccogliere le testimonianze degli spazi coinvolti, scoprire il ruolo che ricoprono all’interno dello scenario artistico e la loro funzione in merito allo scambio e al confronto internazionale. In particolare, la prima edizione del 2018 e la seconda edizione del 2019 di Supercondominio hanno raccolto le testimonianze degli spazi coinvolti focalizzandosi sul loro ruolo nel sistema dell’arte italiano. Tra le domande sollevate dall’assemblea è interessante sottolineare le seguenti: quali sono le caratteristiche del sistema in cui operano questi spazi? cosa significa agire in autonomia all’interno del sistema? qual è la differenza tra project space e galleria?
Supercondominio si pone come punto zero per una riflessione critica su alcuni di questi temi: non si tratta semplicemente di sottolineare la presenza degli spazi indipendenti all’interno di un micro sistema dell’arte, ma di marcare il loro ruolo nella ricerca e promozione della più recente arte italiana e internazionale, così come nella perlustrazione di nuovi schemi di relazione con il pubblico e con le istituzioni. Viene riconosciuta l’intellegibilità del loro impegno su tutto il territorio italiano, per dare un’immagine di un modello di coesistenza tra spazi, strumenti e obiettivi che si intende evocare. Essendo autonomi rispetto a ciò che espongono, sono liberi di scegliere ciò che desiderano trasmettere al pubblico.
Gli spazi autonomi sono un organismo di riflessione e ricerca che contribuisce a monitorare, verificare e rafforzare le indagini artistiche: da una parte, rappresentano un gruppo di lavoro che condivide il clima, le motivazioni, gli intenti e il “fare arte”; dall’altra parte, offrono l’opportunità agli artisti di approfondire ulteriori aspetti della loro produzione e di presentare al pubblico il pensiero che muove il loro fare.
Nell’estate del 2021, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea ha organizzato la terza edizione di Supercondominio intitolata Odorate Ginestre, in omaggio al poeta Giacomo Leopardi. Una riflessione «sugli habitat interspecifici in cui coscienze animali, vegetali, fungine, umane e persino artificiali si incontrano (2)». Dopo la pandemia e il lockdown, il Castello di Rivoli dà il nome all’evento riferendosi al tipo di costruzione in cui più palazzi hanno in comune alcuni beni, per pensare a un’immagine di «un’ecologia della coesistenza basata su relazioni interpersonali fisiche e su una conoscenza reciproca approfondita (3)».
L’incontro affronta dunque il tema elaborato dai curatori Giulia Colletti, Treti Galaxie e Laura Lecce:
Il rapporto di segreto inebriamento con la categoria sublime della catastrofe, l’ossessione e la perversione del pensiero ecologico, la visione salvifica della fuga su altri pianeti, il desiderio costante di purificazione dei luoghi e dei corpi viventi sono inestricabilmente legati al nostro tempo, colpito da cambiamenti climatici che non solo stanno alterando l’ambiente fisico in cui viviamo, ma che hanno anche conseguenze concrete sulla nostra mente, provocando un inaspettato senso di nostalgia per i luoghi in cui si risiede e che pur tuttavia si percepiscono ormai mutati. In che modo abbracciare una diversa consapevolezza dell’ambiente? Può il comportamento dell’odorata ginestra leopardiana fornirci nuove prospettive su un futuro che varia così repentinamente? Come riallineare la nostra temporalità cavalcando il decadimento dei germi, così vividamente descritto dal poeta Wole Soyinka […]? E infine, è possibile imparare a guardare il cielo con la medesima intensità con la quale un vegetale si mangia la luce, come suggerisce la poetessa Mariangela Gualtieri […] (4)?.
Il riconoscimento definitivo degli artist-run spaces è avvenuto durante la diciottesima edizione di Artissima a Torino nel 2011. Per la prima volta è stato organizzato un programma serale di eventi al di fuori della fiera e dei suoi orari di apertura. Nel quartiere medioevale del Quadrilatero Romano, tre artisti italiani, Christian Frosi, Renato Leotta e Diego Perrone, hanno curato Lido, un evento dove diversi progetti di artisti e collettivi, provenienti da tutta Italia, erano provvisoriamente ospitati in una serie di spazi urbani per portare avanti, allo stesso tempo e nello stesso luogo, le loro diverse attività sperimentali.
La pubblicazione editoriale dell’evento, Artissima LIDO, è una ricerca attraverso la fitta e variegata rete di collettivi artistici e curatoriali provenienti da tutta Italia. La pubblicazione presenta in particolare la situazione degli artist-run spaces e ne verifica la funzione e l’evoluzione nel tempo. Gli artist-run spaces allenano la sperimentazione, la ricerca artistica e il consolidamento del rapporto con il territorio e la comunità.
Sono luoghi che suscitano fascino e curiosità, tra sperimentazione, contaminazione e libertà (5): sono un centro di gravità temporaneo (6), spazi potenziali dove si amplifica l’osservazione tra ciò che è reale e quella che è una visione, attraverso l’osservazione di luoghi e non luoghi. Sono ambienti dove si incontrano e si fondono memoria, relazioni, rapporti tra chi li abita e chi è solo di passaggio, sono luoghi in cui il fruitore diventa traccia su ambienti estranei.
Secondo Gaston Bachelard, lo spazio quotidiano riflette un’immagine poetica grazie alla quale il passato risuona di echi. A suo avviso il poeta non fornisce un’immagine già nota al lettore, eppure essa riesce ad affondare le proprie radici in lui, provocandogli echi e richiami, non obbligatoriamente identificabili col ricordo. A partire da questo suggerimento potremmo dire che all’interno degli spazi indipendenti c’è un aspetto altamente poetico nella pratica che avanza, lo stesso che ciclicamente è apparso nella storia dell’arte del secondo Novecento. La condizione dell’autonomia stimola la nostra coscienza (7).
In un recente articolo di Alessio Ancillai, Reazione ad arte nel tempo sospeso (8), l’artista ragiona sull’assenza di supporto e sulle difficoltà causate dalla pandemia da SARS-CoV-2. Con le varie limitazioni imposte, artisti, curatori, storici dell’arte e galleristi hanno iniziato a creare nuovi spazi artistici e momenti di riflessione comuni.
Il fattore della comunanza emerge spesso quando si enucleano delle considerazioni sugli artist-run spaces. Si potrebbe dire che probabilmente è un sintomo dello spirito di una generazione che vede come punto di accordo la condivisione per una ripartenza che è stata per troppo tempo posticipata. Viviamo in un tempo tormentato, fatto di dissidi e di confronti; ma anche di coesistenza di realtà differenti. Nella dimensione culturale, la nevrosi si può percepire in più campi nell’arte, nella musica, nella moda, nel teatro, nel cinema. Nel suo linguaggio più alto, Jannis Kounellis ragionava spesso sul senso dell’epico e della memoria e sull’esigenza di credere in qualcosa di più alto, intrinseco dentro ogni esistenza. È suggestivo rimandare alle sue parole: per l’artista il frammento è doloroso perché manca la totalità e la comunanza delle cose nel mondo. Nella moltitudine dei frammenti sparsi nel cosmo, bisogna operare una ricomposizione per dar loro un senso attraverso la drammaturgia, creando nuova vita e prospettiva.
Ancillai riflette sul “tempo sospeso” della pandemia che ha inevitabilmente rotto i margini di tutto quello che sta in superficie e ha fatto emergere dalle acque stagne del sistema numerose maschere e pensieri contrastanti. Egli intona un j’accuse che si riversa sul governo italiano, che non ha saputo sostenere gli artisti, spingendo conseguentemente l’arte a farsi resistenza.
In riferimento a questa affermazione, si pensi a Jacques Lacan: definendo l’arte stessa in riferimento alla Cosa, lo psicoanalista francese, nel suo seminario sull’Etica della Psicoanalisi (9), sosteneva che l’arte è sempre programmata attorno al Vuoto centrale della Cosa inottenibile e reale, un’affermazione che potrebbe essere considerata Bellezza come ultimo velo che copre l’Orribile (10).
In Inside the white cube, Brian O’Doherty racconta come i white cube siano spazi rituali e di ricostruzioni del viaggio cosmico dell’uomo che collega il cielo e la terra, le cui connessioni mutano a seconda del contenuto dello spazio. «Trattandosi di uno spazio da cui è possibile accedere a dimensioni metafisiche più elevate, l’ambiente va protetto dai cambiamenti e dal tempo, il cui essere espressamente isolato dal mondo, in una forma sovrasensibile, lo rende un ultraspazio o spazio ideale in cui la matrice spazio-temporale sembra annullarsi (11)». La dimensione che sorge nei nuovi spazi indipendenti e alternativi d’arte contemporanea non è molto distante dal pensiero di O’Doherty: nell’autonomia delle scelte espositive e avanzando nuovi campi di ricerca su cui indagare, il contenuto esercita una notevole pressione nel contenitore in cui è relegato. Questa pressione sovverte non soltanto la dimensione spaziale e temporale, «ma anche il luogo di passaggio e di perpetua transizione disciplinare. Spazio di sconfinamento, di migrazione concettuale (12)». Qui lo spazio viene plasmato dall’idea dell’artista, andando ad aprire una fessura nell’ambiente affinché il momento espositivo si configuri come un’inedita possibilità della rappresentazione che il tempo dà di sé stesso. È uno spazio di vero confronto critico e di messa in prova del lavoro, dove la funzione disciplinare che emerge diventa un gesto dell’attualità. In questo senso i project spaces aprono nuove vedute, collegate alle problematiche sociali, tese a una ridefinizione fondamentale dell’arte in termini di ruolo.
Gli artist-run spaces enfatizzano l’attenzione dell’artista nel riuscire a toccare la sensibilità dei cittadini e, al tempo stesso, a innalzare il livello del linguaggio, senza mai cadere in forme di propaganda, esclusivamente lusingatrici delle aspirazioni economiche e sociali delle masse.
In un primo luogo esprimono la volontà di appropriarsi delle fasi di gestione del lavoro artistico, escludendo le figure, i luoghi e i canali di distribuzione tradizionalmente assegnati alle figure professionali della comunicazione. In secondo luogo, l’esigenza di autonomia e la libertà d’azione confluiscono nelle scelte programmatiche per il conseguimento di un’attività spontanea e di un approccio collettivo all’operazione artistica.
Il linguaggio può essere considerato un prezioso sistema di simboli del nostro meccanismo di pensiero: ha infatti la funzione di stabilire una connessione tra significanti, come segni, suoni, percezioni visive, e significati, permettendo di riferire quello che abbiamo visto o udito a qualcos’altro. È per questo motivo che il linguaggio non è sfuggito a quanti sono interessati alle varie forme dei processi del pensiero, come gli artisti concettuali, il che lo rende anche un vero strumento per studiare la natura dell’arte. Se vogliamo riferirci, come esempio, all’arte concettuale, notiamo che essa usa il linguaggio scientifico come schema ai fini della riproduzione o dell’imitazione, rimuovendo tutti gli elementi legati all’emozione e all’espressività. Se l’uso del linguaggio scientifico enfatizza il rapporto opera-fruitore inteso come pura trasmissione di informazioni, tale rapporto non è propriamente a senso unico: l’informazione può essere effettivamente ricostruita solo attraverso l’intervento diretto dei processi mentali del destinatario (13). Per questo possiamo ribadire che è la struttura dell’opera a fungere da stimolo, mettendo in atto il processo di riflessione sul comportamento della coscienza individuale, in cui soggetto e oggetto sono entrambi partecipanti attivi del percorso informativo.
Muovendosi di linguaggio in linguaggio, per comprendere gli obiettivi e gli intenti degli spazi gestiti dagli artisti servirebbe porsi in una dimensione di trasversalità, che scivola nei vuoti, nelle cavità, nel mezzo. Gli strumenti e le categorie tradizionali tendono a definire l’autenticità delle cose, pretendendo di determinare cosa sono, ignorando che ogni volta che si cerca di definire qualcosa si definisce anche, e contemporaneamente, ciò che essa non è.
Cerchiamo di circostanziare e di verificare i nuovi spazi espositivi e successivamente l’attività espositiva proposta al pubblico. Le macro differenze, ma soprattutto le macro somiglianze emerse, raccontano un clima culturale di tensione artistica, di grande sperimentazione e un’urgenza di dare al mondo la propria voce; evidenziano uno slancio creativo che contiene il segno, il seme del cambiamento, della messa in discussione attraverso un miglioramento delle proprie pratiche culturali, critiche, curatoriali, artistiche.
L’analisi e la documentazione che seguono sono impostate secondo un criterio cronologico e geografico; le iniziative nate ad opera degli artisti che vi sono censite rappresentano una piccola porzione della realtà artistica italiana, ma è fondamentale raccontarla. Se le istituzioni, quindi i musei, le gallerie, le fondazioni operano all’interno di un rapporto tradizionale tra spazio e opera, arte e pubblico, quello che emerge dai nuovi spazi per l’arte contemporanea è una realtà evidentemente più libera, più fluida. Le identità degli spazi nascono da riflessioni legate al ruolo dell’arte e della pratica artistica all’interno di un’attività di valorizzazione e supporto dell’arte giovane; infatti, l’obiettivo è di proporre un percorso di crescita e di ricerca con gli artisti rappresentati e con il pubblico.
Indagando, quindi, le potenzialità di un cambiamento culturale radicale, spesso l’obiettivo degli artist-run spaces è quello di attivare la comprensione di una ricerca artistica costituita da diversi registri di pensiero. Questi registri confluiscono talvolta nella scelta di un linguaggio artistico, laddove lo spazio dell’opera si configura in lavori site-specific, oppure in installazioni, ambienti luminosi e sonori, che dilatano i confini dei campi di ricerca. Ma si avverte anche un certo interesse per la pittura, per la scultura, per il video, per la fotografia, per la parola, intese come rispecchiamento estetico della realtà.
Il risveglio culturale promosso verte alla coesione tra riflessioni, discipline, linguaggi, e favorisce la creazione di un patrimonio culturale comune. La fine del Novecento ha avviato una dispersione del bagaglio di conoscenze che aveva caratterizzato l’arte del secolo scorso, che oggi si desidera ripristinare e arricchire; infatti uno degli elementi su cui si fonda la rinascita culturale italiana è proprio la continuità con il primo Novecento. L’altro elemento è la forte connotazione spirituale nelle discipline artistiche attraverso una militanza e una rigenerazione costante dello scambio dialettico tra artista, critica e pubblico. Ogni processo di natura sensibile-intellettuale sostiene con fervore la letteratura e le arti figurative, e riflette sulla dimensione filosofico-sperimentale laddove l’attività di cura attiva processi di de-soggettivizzazione, emancipazione e resistenza.
La produzione di mostre che riflettano il nostro tempo è probabilmente legata a un’intenzione di tracciare le condizioni necessarie per promuovere attività di condivisione e scambio tra i partecipanti, a partire dalla costruzione di spazi condivisi in cui intrecciare le pratiche di ognuno. Si tratta di pluralità, un assemblaggio di pensieri; mentre lo studio critico della natura e dei limiti dello spazio possono essere osservati come un insieme continuo di vite e di culture, stratificate e complesse, in cui voci e immagini, scritture e desideri, generano uno schema diversificato, difficile da ricomporre, nel quale l’arte è un’unica grande possibilità di incrocio. I linguaggi dell’arte contemporanea hanno adottato tecniche che hanno forzato le barriere presenti nella tradizione artistica tradizionale. Hugo Ball ce lo mostrò nel 1916, quando scrisse che il primo opuscolo di pubblicazione dada intendeva mostrare le attività e gli interessi degli spettacoli al Cabaret Voltaire che aveva come unica intenzione indirizzare l’attenzione «ai pochi spiriti indipendenti che vivevano per altri ideali (14)».Tra il Novecento e il Duemila sono cambiati molti mezzi di produzione, ma anche le abitudini, i numeri delle persone, la distanza con gli animali e con gli elementi naturali, di cui non si riesce a quantificare l’entità del cambiamento: se ci riflettiamo, però, questo cambiamento è inevitabilmente riconducibile a un’arte che si adatta al nostro tempo, che ha assunto alcune grandi questioni epocali. L’arte può essere una grande possibilità di incrocio, il che si spiegherebbe il desiderio da parte dell’uomo di riflettere sulla vita. Attingere a un oggetto ideale o materiale, corporeo o incorporeo, temporale o eterno di uno spazio profondo, recondito dell’anima, consente di fuggire, anche per un istante, dal dramma della condizione umana. Questo varco (15) che si crea non vuole rappresentare la realtà, vuole essere un veicolo per cogliere il significato profondo della realtà. È possibile unire il proprio corpo e la propria coscienza direzionandole verso la cultura e un’etica del futuro. Il ruolo fondamentale lo svolge la pratica esistenziale, l’intenzionalità poetica, la coscienza analitica nei confronti di un sistema retrogrado ostacolato dal ricatto economico, dalla desensibilizzazione del reale, dalla deterritorializzazione degli individui e centralizzazione dei saperi (16). Si pensi ad Arthur Danto il quale rifletteva sui periodi di grande cambiamento sociale, culturale e sulle sfide indotte sui confini artistici preesistenti, che si estendono finché la società si trasforma (17). Il rinnovamento del linguaggio inglobava, a suo avviso, ogni mezzo libero «di inventare e di sbagliare il ritmo dei tempi (18)» in una direzione improntata all’interdisciplinarietà.
Note:
1 «Chi sono gli attori e quali sono le energie che stanno ridisegnando il nuovo sistema dell’arte contemporanea in Italia? […] Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea con il suo dipartimento di ricerca CRRI […] invita 40 nuove realtà di organizzazione e produzione artistica. […] I protagonisti discuteranno delle dinamiche e delle trasformazioni che coinvolgono i luoghi che attualmente operano autonomamente nel nostro Paese». Cfr. Castello di Rivoli, Supercondominio. L’assemblea dei nuovi spazi italiani d’arte contemporanea, in «Castello di Rivoli», s.a. https://www.castellodirivoli.org/evento/supercondominio-lassemblea-dei-nuovi-spazi-italiani-darte-contemporanea/ (ultima consultazione 15 giugno 2021)
2 Cfr. Castello di Rivoli, Supercondominio 3. L’assemblea dei nuovi spazi italiani d’arte contemporanea, in «Castello di Rivoli», s.a. https://www.castellodirivoli.org/evento/supercondominio-3-odorate-ginestre-lassemblea-dei-nuovi-spazi-italiani-darte-contemporanea/ (ultima consultazione 19 luglio 2021).
3 Ibidem.
4 Ibidem.
5 Si veda: Valentina Muzi, Artist-run space. Il futuro degli spazi indipendenti diretti da artisti, in «Artibune», 9 maggio 2020, https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2020/05/artist-run-space-futuro-coronavirus/ (ultima consultazione 19 luglio 2021).
6 Il titolo della ricerca qui presente si rifà a Centro di gravità permanente, tra le canzoni più popolari di Franco Battiato. Il brano racconta il senso di smarrimento che, talvolta, ci capita di sperimentare nella vita. Quando ci sembra di aver perso la rotta e ci sentiamo in balia degli eventi, è allora che il nostro istinto ci chiede di trovare un centro. Un centro di gravità che ci permetta non solo di stare in piedi, ma che ci aiuti ad orientarci in quel caos della vita, ad astrarci per qualche istante per osservare il mondo e noi stessi con lucidità e distacco; inoltre, il titolo della tesi fa riferimento a Centro di permanenza temporanea (California, 2007), una delle opere d’arte più note dell’artista albanese Adrian Paci riguardante la crisi dei profughi e la situazione nei centri di detenzione degli immigrati senza carta in attesa di essere accolti o deportati.
7 Cfr. Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari 1994.
8 A. Ancillai, Reazione ad arte nel tempo sospeso, in «Left», 15, 2021, pp. 18-19.
9 Si veda: Jacques Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi 1959-60, Einaudi, Torino 1994, Cap. XVIII.
10 Cfr. Slavoj Zizek, Tarkovskij: la cosa dallo spazio profondo, a cura di D. Cantone, Mimesis, Milano 2011.
11 B. O’Doherty, Inside the white cube, Johan&Levi, Milano 2012, p. 16.
12 F. Ferrari, Lo spazio critico, p. 69.
13 Cfr. F. Barea, Dall’idea al contesto. Joseph Kosuth: un’indagine sui significati dell’arte attraverso il linguaggio, Università Ca’Foscari Venezia, Venezia 2018, http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/13681/833696-1214601.pdf?sequence=2 (ultima consultazione 19 Luglio 2021); si veda: Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna: le figure e le icone, Einaudi, Torino 1983.
14 Cfr. N. Bourriaud, Installazione, video, arte d’azione: l’ascesa della precarietà nell’epoca postmediale, in «L’arte del XX secolo», vol. 5: 200 e oltre. Tendenze della contemporaneità, Skira, Milano 2010, p. 35
15 La poetica di Eugenio Montale insiste sulla consapevolezza che l’uomo contemporaneo sia sottoposto a una condizione storico-esistenziale fatale, ma non tanto da privarlo di una tensione liberatoria. Fin dalla prima raccolta Ossi di seppia, pubblicato nel 1925, compare questa possibilità di uscita da una vita senza scopo, espressa dalla ricerca di un varco, come se l’uomo, costretto a vivere prigioniero della sua stessa esistenza, mirasse a spazi metafisici.
16 A Priori è un progetto che si pone l’obiettivo di intessere una rete di corrispondenze tra gli studenti delle accademie italiane, così da agevolare il confronto tra realtà territoriali e approcci artistici diversi; inoltre, attraverso questa piattaforma, si vuole creare una cooperazione stabile tra le istituzioni accademiche e gli spazi d’arte contemporanea non favoriti da prossimità territoriale. Si veda: A Priori Magazine, Manifesto, in «A Priori Magazine», s.a. https://www.apriorimagazine.com/ (ultima consultazione 20 luglio 2021).
17 Cfr. Arthur C. Danto, Andy Warhol [2009], trad. it., Einaudi, Torino 2010, p. 29.
18 A. Vettese, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea, p. VI.