DYVEKE SANNE – PERPETUAL REPERCUSSION

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RICCARDO VENTURI

78º parallelo

Gennaio 2008, paesaggio innevato a Longyearbyen (Norvegia), l’insediamento umano permanente più a nord del mondo. Fuori è buio pesto ventiquattro ore al giorno, difficile distinguere albe e tramonti in questo periodo dell’anno. Siamo alle isole Svalbard, prima chiamate Spitzbergen (costiera fredda in norvegese), situate tra il 74º e l’81º parallelo Nord, sopra il circolo polare artico. L’ultimo lembo di terra abitata prima del Polo Nord.

Dyveje Sanne, Perpetual Repercussion, dal sito dell’artista
Dyveje Sanne, Perpetual Repercussion, foto di Simon Jeppson, dal sito dell’artista

Un paesaggio desolato dove può nevicare 365 giorni l’anno, una terra senza alberi e senza giardini, senza agricoltura, coltivazioni e giardinaggio dove si alleva giusto del bestiame, soprattutto maiali, per il fabbisogno locale. Il 60% della terra emersa è ricoperta di ghiaccio, sebbene 350 milioni di anni fa si trovasse all’altezza dell’equatore, con dinosauri che scorrazzavano tra foreste e felci, e 60 milioni di anni fa fosse all’altezza di Oslo. Prive di una popolazione autoctona, le Svalbard vengono scoperte nel 1596 da Willem Barents e da allora restano disabitate, sebbene si avvicendino e si avventurino pescatori, cacciatori di balene e, all’inizio del XX secolo, minatori. Longyearbyen è fondata del resto da John Longyear nel 1906 per estrarre il carbone delle vicinanze, che ancora oggi garantisce elettricità alla cittadina. Poco lontano sorge Barentsburg, un piccolo villaggio di circa cinquecento minatori russi, in parte retribuiti con bottiglie di vodka, con un busto di Lenin nella piazza centrale, salito agli onori per essere il più a nord del mondo. Del resto qualsiasi intervento umano alle Svalbard detiene facilmente il record del più a nord del mondo.

È qui che si trova l’artista norvegese Dyveke Sanne. Lavora di buona lena per una settimana, quindici ore al giorno senza mangiare e bere perché non ci sono toilette né acqua corrente nei paraggi, coordinando due equipe di collaboratori che fanno i turni. Indossa occhiali da motociclista a causa del vento. Passa il tempo a saldare fusibili e a combinare schegge di vetro colorato. Prima di tornare al suo rifugio scatta fotografie sovraesposte con la macchina digitale per assicurarsi che non ci siano isbjørn, o orsi polari in norvegese, mimetizzati nel bianco paesaggio. Dorme con la luce accesa, pronta a scappare in caso d’attacco di un orso bianco – evento non remoto a queste latitudini, dove la loro popolazione è due volte quella umana. Non è un territorio dominato dalla presenza antropica, su cui l’uomo esercita pieno controllo come nel caso della quasi totalità delle terre emerse. Qui esiste l’unico kindergarten al mondo a prova di orso polare, qui le mamme portano i bambini in passeggino con un fucile a tracolla per evitare che il pargolo diventi finger food per ursidi denutriti.

Sul volo Tromsø-Svalbard, prima di entrare in cabina, un cartello recita “Take the Polar Bear Danger Seriously” accompagnato dalla foto di un orso che sbrana una carcassa insanguinata. In compenso sull’isola c’è un tasso di crimini umani pari a zero. La popolazione venera gli orsi e raramente ne viene ucciso un esemplare, sempre per autodifesa, meno di uno all’anno secondo le statistiche. A quel punto nei ristoranti si può assaporare, oltre ai soliti merluzzo, gallo cedrone, balena, foca e renna, del carpaccio di orso polare, così come il pelo finisce nell’abbigliamento.

È qui, a Longyearbyen, che di notte, o comunque nel buio artico, Sanne lavora all’installazione della sua Perpetual repercussion.

Facciamo un salto avanti di alcune settimane. Il 26 febbraio 2008 inaugura lo Svalbard Global Seed Vault, la banca dei semi più grande del mondo, aperta nel “luogo più lontano raggiungibile da un volo di linea” (1) secondo l’agricoltore e ambientalista americano Cary Fowler, che di questo progetto è l’infaticabile promotore. Fowler ricorda tuttavia che a volte, a causa del vento, l’aereo non riesce ad atterrare sulla pista di Longyearbyen e torna indietro a Tromsø, dove fanno scalo i voli in partenza da Oslo, per ritentare la sorte il giorno dopo. 

Difficile immaginare che quest’isola sperduta è conosciuta in tutto il mondo per accogliere sotto terra quasi un miliardo di semi provenienti dai quattro angoli della Terra. Difficile ma comprensibile perché le Svalbard sono il luogo ideale, a partire dalla temperatura media invernale di -18º (la stessa cui dovrebbero essere idealmente conservati i semi) e dall’essere un luogo remoto ma accessibile: è facile trasportare quanto proteggere i semi. Geologicamente è una zona stabile con bassi livelli di umidità e di metano; la presenza delle miniere assicura inoltre l’autonomia energetica. Politicamente la Norvegia è affidabile e l’attività militare proibita dopo la firma a Parigi del Trattato delle Svalbard nel 1920. Infine l’isola gode di ottime infrastrutture (un porto e un aeroporto) e di una comunità locale, tenace, informata e collaborativa.

Resta di gran lunga il luogo più sicuro tra quelli visitati da Fowler sin dagli anni novanta quando, collaborando con la FAO con cui è in contatto sin dal 1979, monitora le banche di semi esistenti al mondo. Si rende conto che la maggior parte versa in uno stato di conservazione pietoso, che non rispetta i protocolli internazionali per mantenere i semi al freddo e in un ambiente secco affinché restino utilizzabili nel tempo, che ha problemi di infrastruttura, di gestione, di fondi e così via. “Le chiamiamo banche dei semi, ma in realtà sono più simili a obitori”, dice uno scienziato a Fowler (2). Qualunque sia la causa, il deterioramento dei semi comporta il rischio che non siano più in grado di germogliare, rendendo inutile la loro conservazione o quella “ripercussione perpetua” evocata da Sanne.

Perpetual repercussion

Lo Svalbard Global Seed Vault – la banca dei semi più grande del mondo – è inaugurato il 26 febbraio 2008. Un mese prima Dyveke Sanne è immersa nel paesaggio artico scarsamente illuminato. Tra il 14 novembre e il 29 gennaio il sole non fa mai capolino alle Svalbard, immerse nelle notti polari. Coperto dalle montagne, il sole torna a splendere sopra l’orizzonte celeste a partire dall’8 marzo. Chi ha sopportato mesi di buio è ripagato per aver pazientato così a lungo: dal 19 aprile al 23 agosto il sole non tramonterà mai, splendendo ventiquattrore al giorno.

Sanne è selezionata dall’ufficio KORO (Public Art Norway), alla ricerca di un artista che lavori con prismi, specchi e riflessi di luce. Forse pensano alle installazioni di cristalli e specchi rotti di Robert Smithson. Perpetual repercussion – questo il titolo suggestivo dell’installazione luminosa di Sanne – è collocata all’ingresso della banca dei semi, in cima al tunnel di 130 metri che sprofonda verso le tre stanze-deposito. È composta da vetri bicromatici a forma di triangoli e prismi, “una specie di specchio iridescente la cui superficie cambia colore. È un materiale affascinante composto da molti metalli diversi che è stato sviluppato per lo spazio [per lʼottica satellitare]”(3) ; da triangoli d’acciaio lucidato che si fanno riflettenti; da duecento cavi in fibra ottica che corrono tra gli specchi ed emettono pulsazioni di luce verde, blu, turchese e bianca. Nell’insieme sembrano fiocchi di neve dalla forma geometrica, neve cristallizzata come in una sfera di vetro per bambini. 

Nel paesaggio invernale e innevato Perpetual repercussion è l’unica fonte di luce pulsante e cangiante a seconda della luce esterna; d’estate, quando il sole non dà tregua all’ombra, le luci si smorzano riflettendo i raggi solari. In entrambi i casi l’installazione è una macchina di visione che riflette in ogni direzione il paesaggio circostante e la nostra immagine. “Le superfici specchiate non tradiscono alcun contenuto sottostante. Copiano e riflettono quanto ricevono. Da vicino puoi vederti negli specchi, più lontano diventi parte del paesaggio o sei accecato dalla luce riflessa. I riflessi si uniscono e si spostano internamente secondo la posizione dello spettatore”. (4) A interessare l’artista è il fenomeno elementare del riflesso in un paesaggio così vasto, bianco e senza alberi, senza ostacoli per lo sguardo così da perdere il senso delle dimensioni.

Elementi riflettenti e cavi in fibra ottica sono collocati sopra l’ingresso della banca dei semi – come il rosone sulla facciata di una chiesa – e, parzialmente, sul soffitto del tunnel, come si percepisce dalle loro riverberazioni quando ci si approssima. Luci e riflessi si espandono in ogni direzione all’esterno e sul mare di Barents. Perpetual repercussion è una gemma splendente, la punta luminosa di questo strano monolite che fuoriesce dalla montagna e si protrude all’orizzontale spezzando l’omogeneità bluastra del manto nevoso e del grigio dell’architettura. È infatti l’unico punto-luce nei paraggi, visto che il complesso abitato di Longbyearbyen è invisibile da qui. Un faro che ha la doppia funzione di illuminare i dintorni e di segnalare la sua presenza durante i quattro mesi di crepuscolo polare.

La sua natura luminosa e celeste, tale da mimare i colori del cielo, è agli antipodi del buio della cripta e del suo interno invisibile. Che faccia eco all’aurora boreale, fenomeno familiare a chi vive al circolo polare artico? Basti pensare alle foto scattate a mezzanotte nei fiordi vicino al Seed Vault con il cielo screziato da striature e cromatismi che si riflettono nell’acqua e nei ghiacciai rendendo il panorama alieno quanto estatico.

Perpetual repercussion non è l’unica opera d’arte sul territorio: oltre allo Svalbard Museum e all’Artica Svalbard che organizza un programma di residenze artistiche, ricordo la spedizione alle Svalbard di artisti e scienziati, tra cui l’artista Sophie Calle, la scrittrice Marie Desplechin e il glaciologo Per Holmlund (nel settembre 2011); la serie fotografia di Mette Tronvoll sul villaggio di ex-minatori Ny-Ålesund (2014) e il documentario di Jumana Manna Wild Relatives (2018).

Reinventando la tradizione dell’optical art e della scultura concettuale, Sanne si è aggiudicata il Norwegian Lightning Prize nel 2009. Dal 2003 è coinvolta in un nuovo master su Arte e spazio pubblico al Dipartimento di arti applicate delle Belle Arti di Oslo. Più di recente, è membra della commissione per il memoriale della tragedia sull’isola di Utoya del 22 luglio 2011. 

In occasione di un seminario organizzato dalla sua Accademia nel novembre 2015, Sanne torna infine nelle Svalbard assieme ad alcuni colleghi per vedere la sua installazione, immagine fedele delle sue convinzioni e del suo stile di vita. Infatti Sanne vive e lavora in un’area isolata della Norvegia, Asker, tra un meleto, campi coltivati e animali. In una foto la vediamo pascolare le pecore, di cui ci ricorda la loro capacità di visione: “Abbiamo lo sguardo concentrato del cacciatore e non la visione espansa della preda. Se i nostri occhi fossero stati posti ai lati della testa e se le pupille fossero state quadrate, come nelle capre, avremmo avuto un campo visivo di 340 gradi. Questo ci sarebbe stato forse più utile in un mondo che, dal nostro punto di vista attuale, può apparire piuttosto imprevedibile in tanti modi diversi”(5). Utile senza dubbio anche per proteggerci dagli orsi bianchi.

Dyveje Sanne, Perpetual Repercussion, dal sito dell’artista

Back up della natura

Lo Svalbard Global Seed Vault è un luogo dall’alto potenziale di vita, lontano da quel “Doomsday Vault” come è stato definito con tono apocalittico, ovvero la cripta della fine del mondo o del giorno del giudizio, un’immagine assente dalla visione di Fowler. Un nome che ricorda quei sotterranei costruiti e arredati durante la guerra fredda in caso di un attacco nucleare che renderebbe l’aria irrespirabile. Al contrario, lo Svalbard Global Seed Vault è un back up genetico della natura o perlomeno dei sementi, un giardino dell’Eden ghiacciato, un’Arca di Noé vegetale, un jardin d’hiver in potenza o, come lo considera Fowler, una cattedrale e una biblioteca della vita. Il suo sogno è che questo enorme archivio che ha contribuito a raccogliere con tanti sforzi – garante della diversità genetica del nostro futuro – non venga mai utilizzato, che non si presenti mai la necessità di ricorrere alla sua collezione. Che funzioni insomma come una polizza assicurativa.

I semi della banca genetica restano l’unico elemento sotterrato a Longyearbyen perché, se esiste un piccolo cimitero nella cittadina, non ci sono più sepolture. I semi conservati in questa fortezza di ghiaccio sono utilizzabili per centinaia se non migliaia di anni – come i datteri di Masnada, germinati dopo oltre 2000 anni di quiescenza. Un luogo chiuso e non accessibile al pubblico, conosciuto esclusivamente attraverso fotografie e video girati al suo interno. Per descrivere questo luogo sperduto tra i ghiacciai, Sanne cita l’economia del dono descritta da Georges Bataille ne La part maudite (1949): “In un certo senso il Seed Vault è un dono per tutti noi, che ci obbliga a ricambiarlo con uno ancora più significativo. È il dono che nessuno vuole”(6). Che del Seed Vault si continuerà a conoscere non il caveau ma la sua “ripercussione perpetua”, quelle iridescenze della sua punta esterna che fuoriesce dalla distesa di ghiaccio?

Svalbard Globale Seed Vault, foto di Mari Tefre, foto di Landbruks – og matdepartment, via Flickr

Questo articolo fa parte di un lavoro più ampio e tuttora in corso sul ghiacciaio e i ghiacciai nelle arti visive, provvisoriamente intitolato Rèveries Glaciali


(1)  Cary Fowler, One seed at a time, protecting the future of food, TED Global, luglio 2009,https://www.ted.com/talks/cary_fowler_one_seed_at_a_time_protecting_the_future_of_food (ultima consultazione: maggio 2021).

(2) Cfr. John Seabrook, Sowing for Apocalypse. The quest for a global seed bank,  in “The New Yorker”, 27 agosto 2007, https://www.newyorker.com/magazine/2007/08/27/sowing-for-apocalypse

(3) Miranda Mellis, An Interview Dyveke Sanne, 1 dicembre 2008, in “The Believer”, 58, 2008, https://believermag.com/an-interview-dyveke-sanne/

(4)  Dal sito dell’artista, https://www.dyvekesanne.com/www.dyvekesanne.com/Global.html

(5) The Lady of Shade under the Spotlight, 22 febbraio 2017, https://khio.no/en/about/news/the-lady-of-shade-under-the-spotligh

(6) M. Mellis, An Interview Dyveke Sanne, cit.