ERALRAP ENRETOP E ETNEMLAER ALREDNERPMOC REP ETLOV EUD AREPO’L OTAVRESSO OH – HO OSSERVATO L’OPERA DUE VOLTE PER COMPRENDERLA REALMENTE E POTERNE PARLARE

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GIULIO SAVERIO ROSSI X FEDERICO PALUMBO

Ho incontrato Giulio Saverio Rossi in studio dopo una serie di scambi telefonici. Quasi inutile dirlo: la conversazione, avvenuta di fronte alle sue opere, dal vivo, è stata chiarificatrice in merito ad alcune questioni complesse. Questo perché la sua pittura può essere considerata intellettuale, meta-linguistica, viscerale. Nel senso che si addentra profondamente all’interno delle aree tematiche (e strutturali) che reggono il mezzo stesso, lo indagano e lo interrogano, offrendo così nuovi spunti e inedite considerazioni.

L’incontro è stato esplicativo, dicevo. Discutendo e muovendoci su di una linea temporale che non tiene conto dell’idea progressista ed evoluzionistica del tempo, proprio come la sua pittura, mi sono sentito libero nel pensiero. E nei ‘giudizi’. Le opere – anch’esse alleviate da una libertà assoluta – si sono allora rivelate. E sono riuscite a mostrarmi una ricerca densa di sfaccettature. Queste si compongono e si dilatano all’interno di un ampio respiro, passando dai visual studies al Romanticismo, viaggiando dall’arte concettuale al vedutismo veneto, etc.

Ecco perché per la conversazione che segue ho cercato di individuare un focus tematico dal quale partire, un macro argomento che, allo stesso tempo, fosse in grado di aprire altre questioni. 

Il ribaltamento – percettivo, progettuale, formale – è quindi lo spunto necessario per intraprendere un discorso critico sul lavoro di Giulio Saverio Rossi.

Non dimenticate, però, che le considerazioni da fare sulla sua opera sarebbero molteplici. Dunque, questo è solo uno degli aspetti che si è deciso di mettere in ‘risalto’. E dico questo un po’ per mettere le mani avanti… e un po’ per lasciarmi aperta la possibilità, in futuro, di parlare del suo lavoro grazie a un altro focus tematico scelto per l’occasione.

Perché la sua ricerca è ricca di materie e, noi curatori, come sapete, non desideriamo altro che questo.


Breve storia delle luce #1, 2019, olio su lino, 120 x70 cm – courtesy of the artist

Federico Palumbo: Mi piacerebbe iniziare la nostra conversazione analizzando il concetto di ribaltamento. In particolare, per introdurlo, menzionerei la tua opera Die verkehrte Welt (2018): già a partire dal titolo, citando la celebre e omonima pièce teatrale di Ludwig Tieck (letteralmente Mondo Rovesciato), sottolinei tale concetto. In più, ribaltando – sia figuratamente che metaforicamente – la finestra di fronte all’opera realizzata, enfatizzi l’aspetto di rovesciamento. Ti va di parlarne in maniera più approfondita? 

Giulio Saverio Rossi: Sono molto legato all’idea dell’opera come processo che porta alla riemersione di un’immagine sepolta, un ritornante nel senso più profondo del termine. Parole come ribaltamento, rovesciamento, rilettura partecipano pienamente nel mio lavoro in quanto strategie che permettono alla pittura di mostrarsi non come una superficie chiusa ma come una soglia agente che, sospesa tra mondo e immagine, genera una condizione dinamica. 

Il prefisso “re” deriva dal latino e implica la ripetizione, o la reiterazione, ma forse la parola che ne può derivare e che collocherei più vicina alla mia opera è la parola rivelazione. La pittura fa questo: velare due volte le cose per riconfigurare il reale. Credo che questa concezione emerga in Die verkehrte Welt (2018) tramite un duplice ribaltamento. 

Guardando lo spazio espositivo (n.b. Villa Vertua Masolo per la mostra Stupido come un pittore #2, 2018) mi sono interessato ad una grande finestra che dominava la stanza. Suddivisa in quattro ante e dal profilo liberty questa si affacciava sul parco antistante alla villa. Il primo ribaltamento dell’opera avveniva sul piano spaziale/allestitivo: ho realizzato dei telai che replicavano in scala 1:1 le parti in vetro della finestra, e li ho posizionati nella stessa stanza in modo speculare rispetto alla finestra reale. Il secondo ribaltamento consisteva nell’aver dipinto all’interno dell’opera la veduta satellitare del parco che circonda la villa, sostituendo così la visione in soggettiva che si avrebbe guardando da una finestra con una visione oggettiva.  

L’opera non è mai stata, almeno per me, il polittico dipinto ad olio quanto la mise en abyme, l’agire di una dinamica per cui il fruitore, entrando nella stanza, si trovava da prima ad osservare la finestra reale, col suo sguardo in soggettiva che si estendeva sul parco esterno e in seconda battuta si trovava ad osservare la replica pittorica della finestra in cui il suo sguardo veniva destituito da un’immagine satellitare che non era più riconducibile ad una soggettività. 

Da un lato Tieck, che mi sembrava giusto richiamare nel titolo del suo celebre lavoro in cui i ruoli fra attori e spettatori vengono capovolti, ma dall’altro anche Gino De Dominicis con il suo Specchio che tutto riflette tranne che gli esseri viventi. In entrambi i casi è il ruolo del fruitore ad essere al centro di una costante negoziazione.

Die verkehrte Welt #1, 2018, polittico, olio su lino, 226 x 228 cm – courtesy of the artist
Die verkehrte Welt #1, installation view Stupido come un pittore #2, 2018, foto Alessio Anastasi – courtesy of the artist

FP: Tra l’altro anche l’opera Canavesite (2019) si muove su binari simili. 

GSR: Il ribaltamento nel caso dell’opera Canavesite avviene lavorando sulla scala dell’immagine. Il soggetto è un piccolo minerale che si trova in Piemonte che ho ingrandito per realizzare l’opera ad acquerello su carta intelata. L’opera che vedi in realtà è però un bozzetto in relazione ad un progetto di dimensioni più grandi che non si è mai realizzato, in cui l’immagine sarebbe stata così grande da divenire a sua volta un paesaggio. Questa correlazione fra micro e macro, per cui un dettaglio diviene ambiente, è una possibilità che a partire da questo lavoro ho approfondito e percorso in altre opere, una concezione dell’immagine che mi interessa molto. 

Canavesite, 2019, acquerello su carta intelaiata su lino, 26,5 X 35 cm – courtesy of the artist

FP: Effettivamente, parlare di ribaltamento per analizzare le tue opere mi intriga parecchio. Già quando ci siamo incontrati nel tuo studio ti avevo anticipato questo collegamento, che hai accolto immediatamente. Quanto questi concetti, collegati anche ai visual studies, sono importanti per te e per la tua ricerca? 

GSR: Mi interessa il modo in cui le domande attorno all’immagine vengono formulate nei visual studies. Se prendiamo W.J.T. Mitchell, uno dei fondatori della disciplina, troviamo una serie di interrogativi su che cosa siano le immagini a partire non da una definizione ontologica ma dal nostro modo di interagire con loro, manipolarle e desiderarle. Questa concezione dell’immagine come soggetto agente, vista dalla prospettiva della sua funzionalità, che eredita il pensiero iconologico tra Warburg e Panofsky, per me è vitale nel poter strutturare un confronto critico con la pittura, che inizia con il non dare per scontata la sovrapponibilità tra immagine e medium ma, all’opposto, concepire la pittura come indice della discrepanza, ingrandire quel sottile abisso che divide l’immagine dai pigmenti amalgamati con l’olio identificandoli come regimi scopici differenti e, molto spesso, antagonisti.

FP: Ho dipinto il paesaggio dietro di me guardandolo riflesso in uno specchio nero davanti a me (2018) crea un altro ribaltamento, sia dal punto di vista processuale –  realizzare un paesaggio attraverso il suo riflesso/ribaltamento – sia da quello di fruizione. Inoltre, trovo molto interessante il titolo, profondamente didascalico, in qualche modo collegato ad alcune opere (semi)concettuali italiane degli anni settanta e ottanta, che hai in parte già citato nella prima risposta a questa ‘intervista’. Gli strumenti necessari per comprendere l’opera, insomma, si trovano al suo interno: titolo e lavoro. Ci racconti qualcosa in merito? 

GSR: Il paesaggio è al centro della mia ricerca, inteso come sistema complesso in cui interagiscono diverse sfere: estetica, tecnica, sociale e politica. L’opera Ho dipinto il paesaggio dietro di me guardandolo riflesso in uno specchio nero davanti a me sottolinea, tramite il titolo, l’azione paradossale che la presiede: dipingere il paesaggio dandogli le spalle e per come appare in uno specchio nero – quindi speculare e con i toni abbassati. L’opera è il reenactment di questa interazione col paesaggio, così come veniva compiuta dalla maggior parte dei vedutisti del XVIII secolo che, usando questo dispositivo ottico chiamato specchio Claude o Black Mirror, simulavano un effetto pittorico simile a quello di Claude Lorrain. Un filtro fra sé e il mondo, come oggi avviene con le nuove tecnologie o con i filtri Instagram che alterano, in modo preimpostato, le immagini fotografiche che produciamo.

Ho dipinto il paesaggio dietro di me guardandolo riflesso in uno specchio nero di fronte a me- via Nietzsche #3, 2020, olio su lino, 35 x 25 cm – courtesy of the artist
Ho dipinto il paesaggio dietro di me guardandolo riflesso in uno specchio nero davanti a me #1 e #2, 2018, olio su lino, 45 x 35 cm e 80 x 60 cm – courtesy of the artist

FP: Visto che abbiamo approfondito l’argomento fruizione e percezione, mi piacerebbe ci parlassi del tuo progetto per Cantica21 — Il Giardino di Notte. Non vorrei essere monotematico o forzare troppo la mano, ma anche qui mi pare di vedere un rovesciamento di fruizione…  

GSR: L’opera è tra i progetti premiati per la sezione under 35 del premio Cantica21 – Italian contemporary art everywhere, indetto da MiBACT – DGCC e MAECI – DGSP, un premio che prevede l’acquisizione dell’idea progettuale e al contempo la produzione di un’opera destinata ad una collezione pubblica italiana, in modo da incrementare sia le collezioni pubbliche che la ricezione internazionale degli artisti italiani, le cui opere confluiranno in una serie di eventi presso gli istituti italiani di cultura all’estero. 

Ho concepito l’opera in relazione alla collezione pubblica con cui ho concordato il progetto, cioè Casa Masaccio a San Giovanni Valdarno, dove avevo già lavorato l’anno precedente per un progetto a cura di Serena Trinchero e Pietro Gaglianò. 

Il luogo di destinazione è centrale in questo progetto e non credo che l’opera nel suo insieme avrebbe lo stesso senso se non si trattasse della casa natale di Masaccio e dunque il contesto mi ha dato, ancora una volta, la possibilità di iscrivermi in un immaginario che non si genera solo nell’opera ma nell’incontro fra opera e luogo. 

Si tratta di un’opera composta da diverse tele su cui sto lavorando con dei pigmenti che appartengono al gruppo di minerali denominati “terre rare”, dei quali mi interessa la proprietà fosforescente, in quanto è la stessa fosforescenza che genera la luminosità all’interno dei nostri devices contemporanei, quali smartphone, pc e televisori. A partire dall’associazione fra nuove tecnologie e pittura – che è uno dei temi portanti della mia ricerca – ho deciso di realizzare un’installazione composta da diverse tele o ritagli di tele in cui la pittura generasse la sua propria luce. Tutta la storia della pittura è in qualche modo un tentativo di tramutare la materia opaca dei pigmenti, che seguono la sintesi sottrattiva, in quella luminosa dell’immagine e della luce, che segue la sintesi additiva. Una sorta di perenne “opera al nero”.

L’opera è concepita per avere una duplice fruizione. Nella visione diurna si vede un insieme composto da due tele intelaiate, dei rotoli di tela e dei ritagli di varie dimensioni di tela appoggiati su delle sagome di legno, cioè quello che si potrebbe vedere nello studio di un pittore che non ha ancora iniziato a lavorare ma ha predisposto il suo spazio di lavoro. Nella visione notturna i pigmenti attivano la propria fosforescenza ed appare l’immagine di una flora luminosa. Il giardino di notte è il nome dei giardini tradizionali concepiti per sbocciare di notte. Nel mio lavoro l’idea della duplice fruizione è pensata per sottolineare l’autonomia dell’opera d’arte che, trovandosi esposta o non esposta all’interno di una collezione museale, si attiva da sola a prescindere dal fruitore, vivendo una propria vita e divenendo, per citare ancora Mitchell, una biopicture.

Il Giardino di notte, disegno di progetto per Cantica 21 – Italian Contemporary Art Everywhere, courtesy MAECI – Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese e MIBACT – Direzione Generale Creatività Contemporanea

FP: “L’opera d’arte visiva è un oggetto vivente che per esistere e relazionarsi al mondo non avrebbe bisogno di essere visto”(1), per citare nuovamente De Dominicis.

Ad ogni modo, e avvicinandoci alla conclusione: hai progetti per il futuro? Puoi spoilerarci qualche cosa in merito? 

GSR: Sono al lavoro su Prima di un’immagine dopo di un quadro, la mia seconda mostra personale negli spazi di CAR DRDE a Bologna, che inaugurerà nella seconda metà del mese di aprile. 

Il titolo palesa molte delle cose dette fin qui, si tratta di una mostra in cui presento tre serie di lavori nuovi molto eterogenei fra di loro accomunati dalla relazione tra pittura, sguardo, luce e desiderio. L’opera che dà il titolo alla mostra è una tela di grandi dimensioni in cui, a partire da un’immagine mnemonica di una mia esperienza visiva, ho cercato di realizzare un quadro che raffigurasse il modo in cui la luce impatta sulla retina, cogliendo quell’istante che separa la percezione luminosa dal suo presentarsi come immagine. 

La superficie del quadro è prevalentemente dipinta di nero e rappresenta l’interno delle palpebre. La parte inferiore invece presenta la gamma di colori dal violetto al rosso, passando per il bianco, e rappresenta un raggio di luce che, frastagliandosi sulle ciglia, si separa nei colori dello spettro. 

Prima di un’immagine dopo di un quadro, 2021 – dettaglio – courtesy of the artist

FP: Ultima domanda (utopica): se avessi budget e spazio illimitato, che cosa realizzeresti?

GSR: Andrei sul piccolo formato, quasi infinitesimale, e userei colori fuori dal nostro spettro visibile.


(1)  Bonito Oliva A. (a cura di), Gino De Dominicis. L’Immortale, Mondadori Electa, Milano (2010), p. 98.

Gipsoteca #7, 2020, olio e verdaccio su lino, 45 x 35 cm – courtesy of the artist
Gipsoteca #7, 2020, olio e verdaccio su lino, (dettaglio) 45 x 35 cm – courtesy of the artist