FEDERICO PALUMBO X MILENA BECCI, GABRIELE SALVATERRA E ETTORE PINELLI
Il 5 giugno ha inaugurato la mostra personale di Ettore Pinelli da Traffic Gallery, Iconofilia/ Fantasma, a cura di Milena Becci e Gabriele Salvaterra.
Sarebbe forse meglio chiamarla bipersonale, in quanto l’esposizione mette a confronto/ scontro due parti della (stessa) produzione dell’artista, radicalmente differenti ma visceralmente connesse.
La chiacchierata che segue con i due curatori – rispettivamente impegnati a manifestare questa duplicità appena accennata – ha cercato infatti di tenere conto dei vari aspetti che hanno contribuito alla nascita della mostra.
Non avendo avuto la possibilità di vederla dal vivo, non mi interessava dare un mio giudizio esplicito. So che è un vizietto a cui molti critici/giornalisti sono soliti arrendersi, cioè recensire mostre che non hanno visto realmente. Ho creduto però che fosse più interessante ascoltare chi concretamente ha realizzato il progetto. Ponendomi, così, a lato e improntando il discorso su altri elementi che mi parevano interessanti, conoscendo anche l’opera di Ettore Pinelli.
A quest’ultimo ho infine posto due domande. Il suo lavoro, dicevo, ho avuto modo di ‘vederlo da vicino’ qualche mese fa (trovate qui l’approfondimento), dunque mi sembrava lecito chiedere un suo parere diretto sulla mostra e sull’evoluzione che la sua ricerca potrebbe adesso prendere.
(x Milena Becci e Gabriele Salvaterra) Federico Palumbo: Nei materiali che mi avete mandato mi è saltato subito all’occhio il doppio termine ‘confronto/scontro’, utilizzato per descrivere le due parti che compongono la mostra personale di Ettore Pinelli. Effettivamente, questi due termini in dicotomia e, allo stesso tempo, in simbiosi, offrono una lettura del lavoro del l’artista a mio giudizio molto in linea con la sua ricerca. Questo elemento del doppio (e le sue varie sfaccettature) mi sembra un tema radicale. Mi piacerebbe quindi sapere da voi com’è nata la genesi della mostra.
Milena Becci, Gabriele Salvaterra: Credo che la risposta stia all’interno della domanda stessa, come spesso accade: la genesi della mostra è nata dalla lettura del lavoro di Ettore, dall’ascolto delle sue volontà, delle sue necessità e dallo studio della sua ricerca. Lo scontro e il confronto fanno parte della sua pittura che incontra questa dicotomia senza preferenze di sorta e si imbatte nella costruzione dell’immagine così come nella distruzione della stessa. Noi siamo stati i curatori di questo percorso parallelo che l’artista ha voluto, attraverso di noi, mostrare con soluzioni diverse in due stanze differenti della galleria. Ognuno ha seguito autonomamente una delle due facce della medaglia di cui si compone il lavoro di Pinelli che ha affidato a ciascuno di noi la sezione di opere che ha ritenuto probabilmente più consona alla nostra natura, al nostro essere, dialogando parallelamente con entrambi e facendo sempre presente ciò che l’altro stava elaborando. Ci siamo imbattuti così in una sorta di doppia personalità di Pinelli la cui ossessione è caratterizzata sia dall’amore per le immagini in movimento nello spazio sia per il loro annullamento. Due anime quindi che si scontrano confrontandosi perché entrambe presenti in lui.
(x Milena Becci e Gabriele Salvaterra) F.P.: Data la natura della mostra, e di tutto il lavoro di Pinelli, questo confronto è stato violento oppure pacifico? E, al termine di questo scontro, si è palesato un vincitore?
M.B., G.S.: È vero che vedendo il lavoro di Ettore Pinelli si potrebbe essere indotti a pensare che tutto il percorso di preparazione della mostra sia andato avanti a suon di cazzotti. Ma giuriamo che non è stato così! No curators were harmed in the making of this exhibition! In realtà ci siamo coordinati e anche lasciati piuttosto autonomi, di modo che ognuno lavorasse sulla propria parte senza pensare all’altro e la mostra globale si costituisse in maniera naturale dalla somma delle sue componenti. È stato quindi un confronto a distanza che si è poi incontrato nel doppio spazio della galleria, con i due ambienti affacciati uno sull’altro. Il vincitore? Sicuramente la pittura e la ricerca concettuale di Pinelli.
(x Milena Becci) F.P.: Hai curato la parte della mostra intitolata Iconofilia, ovvero la sezione dove sono presenti alcuni tra i lavori più iconici di Pinelli. Qui, in questi lavori in particolare, mi sembra emerga con maggiore forza la sintesi fra contenuto e forma – violenza e immagine. Ecco che mi sembra allora azzeccato il termine utilizzato per denominare la sezione. Il titolo gioca su questi rimandi oppure ha altre sfaccettature?
M.B.: Ho riflettuto molto prima di utilizzare questo termine per denominare la sezione della mostra curata da me. Il dubbio era (e forse è tuttora) sulla grande forza evocativa di questa parola che ci fa tornare immediatamente indietro nel tempo e ci fa riflettere sulla potenza delle immagini e su quanto siano state considerate pericolose. La storia si posa pesantemente sul termine che ho deciso di far diventare titolo della mia parte ma, allo stesso tempo, credo esso possa divenire ammonitore di un presente che rifugge certi ricordi. Nelle immagini dipinte da Ettore emerge una religiosità che si mostra tramite la violenza che siamo ormai abituati a vedere quotidianamente. Tra il contenuto e la forma c’è quindi anche molto altro, quel qualcosa di spirituale che mi piace pensare sia racchiuso anche in quel velo di colore che ricopre le opere mostrate nella sezione Fantasma.
(x Milena Becci) F.P.: Nel testo critico leggo un rimando a Paolo Uccello e alla sua opera più famosa, La Battaglia di San Romano. Oltre all’evidente affinità tematica, ciò che risulta intressante è che, in tutti e due gli artisti, lo scontro fisico è pretesto pittorico. Nell’opera di Uccello l’artista, ‘irrigidendo’ la scena movimentata dello scontro, mostra la vera protagonista dell’opera: la prospettiva. Pinelli, invece, riesce a far emergere una fatica percettiva che ci accompagna quotidianamente. Il nostro occhio è stanco del bombardamento di immagini che subisce continuamente e supinamente, e la ‘patina’ pittorica che Pinelli imprime sulla tela e sull’immagine rimanda proprio a quello. Insomma, anche qui mi sembra ci sia una perfetta sintesi fra forma e contenuto, per cui mi piacerebbe approfondire con te il discorso.
M.B.: Dal 1432 al 2021. Buffo confronto il mio ma non sono riuscita a fermare il ricordo del la visione dell’opera di Paolo Uccello mentre ero alle prese con la stesura del testo critico sul lavoro di Ettore. Probabilmente la mia formazione classica ha preso il sopravvento ma credo fortemente che ci sia un collegamento tra le due modalità di affrontare la tematica della violenza e dell’istinto umano, il contenuto, attraverso due forme totalmente differenti: un grande sperimentatore della prospettiva rinascimentale che incontra sul foglio un nostro contemporaneo dedito a riportare sulla tela ciò che spesso vede nei numerosissimi schermi che teniamo accesi in casa. La stanchezza dell’occhio, il frame e la baraonda del movimento si avvicinano all’ordine della battaglia. Gli istinti umani più bassi si equivalgono ma la costruzione dell’azione è totalmente diversa. Ciò significa che anche se è cambiata la modalità di rappresentazione, non è mutato l’oggetto della rappresentazione. Questo mi ha attratto parecchio e, tramite questo confronto, ho voluto ricordare che siamo naturalmente figli del nostro tempo. Se Paolo Uccello ha lottato con la prospettiva, Ettore Pinelli ha riaperto i suoi occhi verso le schermo ricostruendo sulla tela ciò che ha visto. Le battaglie dentro i Parlamenti non sono né rigide né organizzate ma utilizzano metaforicamente le stesse lance rinascimentali per vincere sull’altro.
(x Gabriele Salvaterra) F.P.: Hai curato la sezione Fantasma, ovvero la parte della mostra dove sono esposte le opere (forse) più concettuali e meditative di Pinelli. Qualche mese fa, insieme all’artista, parlando proprio di questa parte di produzione, ragionammo su come potessero essere considerate e denominate. Astratte non credo, in quanto la figurazione è, seppur appena tracciata alla base, comunque presente. Allora, era emerso anche il termine aniconico. Quale credi che sia – nel caso ci fosse – il termine più corretto per queste opere?
G.S.: Credo che con questa riflessione tu colga un punto fondamentale dei lavori, nodo su cui mi sono soffermato molto anche io in sede di produzione del testo di accompagnamento della parte Fantasma. Si tratta di dipinti aniconici? Sono astratti? Sono puri monocromi? Se accostati alla produzione di un esponente della pittura analitica, per esempio, risultano perfettamente coerenti? Va detto che la figurazione che sottostà alla copertura piatta di colore è in tutto e per tutto rifinita e autonoma, per nulla lasciata allo stadio di abbozzo. Il punto credo sia proprio che queste opere, un po’ come i Blank di Mimmo Rotella, vivano una condizione complessa e che la loro ragione d’essere sia anche quella di testare come la potenza dell’icona sia così forte da farsi sentire anche quando si prova a nasconderla e cancellarla. In questo la figurazione è come un lievito segreto di cui risuona anche la stesura più piatta e che testimonia il carattere di forte presenza per queste “figure” che popolano la nostra esperienza della realtà e i nostri modelli di pensiero.
(x Gabriele Salvaterra) F.P.: Ad ogni modo, questi lavori risultano essere potenti tanto quanto le ‘sorelle’ (maggiormente) figurative. L’artista ha, a mio giudizio, il grande merito di riuscire a creare rimandi visivi potenti, violenti, anche laddove la figura è appena percepibile. Credo che il termine ‘metalinguistico’ sia assai adatto per descrivere la sua ricerca. Nel tuo testo critico parli infatti di presenza nell’assenza. Ed ecco nuovamente quella dicotomia-sintesi di cui si parlava in precedenza. Mi piacerebbe quindi approfondire con te tali questioni e sapere quale sia il tuo pensiero in merito.
G.S.: Una delle qualità di Ettore Pinelli è quello di sviluppare la pittura con i suoi valori su molteplici livelli, più o meno figurativi, più o meno tecnologici (ricordo quadri fatti anche con proiezioni video), portando avanti una riflessione assolutamente significativa sull’immagine di violenza e sulla violenza dell’immagine. Concordo con te: anche nella cancellazione, è possibile ritrovare una potenza e, in fondo, cosa c’è di più violento e liberatorio della distruzione di qualcosa che si è fatto, di qualcosa di sé? In questo senso si può parlare di violenza “alla seconda” nella parte Fantasma ma anche, sicuramente, di una ricerca di vuoto e distanziamento verso se stessi e la propria produzione che inserisce un’ulteriore dinamica doppia e contraddittoria. L’approccio metalinguistico o metatestuale che citi penso sia fondamentale per chiunque si accosti alla produzione visuale oggi. Le pratiche devono ormai partire da una consapevolezza verso i linguaggi, il procedimento e quanto acquisito dalla storia. Diventerebbe complesso al contrario assumere un atteggiamento ingenuo o dimentico di ciò che esiste.
(x Ettore Pinelli) F.P.: Prima di tutto: sei soddisfatto di questa mostra? So che potrebbe sembrare una domanda stupida, eppure credo che molto spesso sia utile ragionare su concetti tanto basilari quanto fondamentali.
Ettore Pinelli: Hai detto bene, non è scontato raggiungere una soddisfazione a lavoro compiuto, perché non é semplice centrare gli obiettivi prefissati. Io sono stato fortunato ad avere una squadra di lavoro eccellente, Milena, Gabriele e Roberto hanno fatto molto affinché tutto funzionasse al meglio, e quindi sì, posso ritenermi soddisfatto. La mostra da installata, in entrambe le sezioni, ha risposto efficacemente all’idea che avevo in mente, e soprattutto, in considerazione del fatto che le opere, in maggioranza, sono state tutte pensate e realizzate per gli spazi della galleria. Ricordo che per prime ho installato le opere in sequenza, nella sezione Iconofilia, intitolate An eventful session, Taipei, perfettamente inquadrate dentro lo spazio, a creare un vero e proprio magma figurativo e dialogavano visivamente con un’altra sequenza di tele, intitolate Three variations of grey for a multiple image denied (…), installate invece nella sezione Fantasma, che generavano una sorta di aura silenziosa e contemplativa. Considerando questi fattori di “distanza” e l’energia generata dall’attrito tecnico/ideologico dei diversi lavori, ho subito interpretato la cosa nel modo più corretto, cioè capendo che sia insieme che individualmente, tutto avrebbe funzionato.
(x Ettore Pinelli) F.P.: Dopo questa mostra la tua ricerca continuerà ad affrontare queste tematiche oppure si evolverà in modi diversi? Credi che riusciresti mai ad abbandonare il medium pittorico?
E.P.: Non saprei dirti Federico, adesso sono in uno dei miei periodi di stasi post produzione, e sicuramente durerà qualche mese. Sono quei momenti che ti danno una visione panoramica su ciò che hai fatto nell’ultimo periodo e gettano le basi riguardo un futuro prossimo. Ciò che è certo è che la pittura si autoalimenta e ci sarà sempre un collegamento con quanto fatto in precedenza. Personalmente, ai rinnovamenti preferisco le “micro evoluzioni”, perché permettono a tutto ciò che fai di non ristagnare, né concettualmente, né tecnicamente, senza grandi stravolgimenti. Un cambio radicale di ricerca sicuramente no, oscurerebbe quanto fatto fino ad oggi e non credo di volerlo. Un abbandono del medium pittorico? Non esiste un mezzo più congeniale per la mia ricerca, ma magari un’ulteriore espansione verso altri medium sì, la vedo come una possibilità e non nascondo di pensarci di tanto in tanto. Il tempo e nuovi progetti mi aiuteranno a prenderne coscienza in maniera più obiettiva.
Si ringrazia Traffic Gallery per la Courtesy delle immagini.
Tutti i crediti fotografici sono di Zoe Rigante.