L’IRRISOLVIBILE

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SHAIKHA AL MAZROU X FLAVIA MALUSARDI

Shaikha Al Mazrou (1988) è considerata tra gli artisti più dinamici e promettenti della sua generazione negli Emirati Arabi Uniti. Combina ed evolve idee provenienti da movimenti artistici contemporanei legati alla teoria del colore all’astrazione geometrica.


Se da un cumulo di sabbia preleviamo a uno a uno tutti i granelli, in quale momento esso cesserà di essere un cumulo? 

Il Paradosso del sorite è generalmente attribuito a Eubulide di Mileto, filosofo greco antico a capo della scuola megarica dopo Euclide di Megara. Il sofisma, che deve il suo nome al termine soros (mucchio, ammasso) nasce dalla vaghezza di alcuni predicati e dalla conseguente impossibilità di tracciare definizioni precise, distinguere la quantità dalla qualità, il vero dal falso. 

Davanti al lavoro di Shaikha al Mazrou, la certezza di ciò che si sta guardando è messa a dura prova. Categorie e significati noti perdono l’orientamento e ci ritroviamo in un cortocircuito cognitivo che sfasa tutti i nostri dati sensoriali fino al prossimo, incredibile, enigma.

Flavia Malusardi: Le tue prime opere, penso soprattutto al periodo della residenza a Delfina Foundation a Londra nel 2011, impiegavano found objects e scarti di ingranaggi elettronici, mentre ora sei orientata verso la scultura, nella quale ricorri a un ampio spettro di materiali quali l’acciaio, il marmo e il vetro. Come è avvenuto questo passaggio e cosa ti ha portato verso la scultura? 

Shaikha al Mazrou: La mia pratica evolve in risposta a una sensibilità verso i tempi e le situazioni sociali che vivo di volta in volta. In alcuni casi è l’idea a guidare il materiale, in altri è l’attrazione verso una determinata materia a diventare una forza trainante. Ricordo un episodio significativo in relazione alla tua domanda: all’università, dopo averci chiesto di mostrargli i nostri portfolio, un insegnante ci disse che non gli importava nulla del nostro lavoro precedente. Al momento fu un colpo, mi sentii spaesata ma ora capisco che è stata la spinta giusta per scoprire e sperimentare oltre la nostra comfort zone. 

F.M.: Nel 2014 ti sei laureata presso il Chelsea College of Fine Art di Londra, e prima hai studiato al College of Fine Arts and Design di Sharjah. Immagino che il periodo di studio all’estero abbia contribuito molto alla tua crescita come artista.

S.a.M.: È stata un’esperienza che mi ha arricchito moltissimo, ma anche una grande sfida. Mi ha permesso di crescere da un punto di vista personale, professionale e accademico. Alla Chelsea, trascorrevo la maggior parte del mio tempo alla fonderia e al dipartimento di ceramica, che ho avuto modo di scoprire in modo divertente e molto sperimentale. 

F.M.: Hai insegnato scultura per anni all’Università di Sharjah e in precedenti interviste hai dichiarato che questo ruolo ha influenzato anche il tuo percorso artistico, dal momento che i tuoi stessi studenti sono stati una fonte di grande stimolo. Come è cambiata l’offerta dei corsi in arte e affini negli Emirati negli ultimi venti anni?

S.a.M.: Credo che essere un insegnante di arte oggi non possa essere una strada a senso unico, quanto piuttosto un processo reciproco. Io stessa posso imparare moltissimo mentre insegno, grazie al contatto con le menti creative che mi circondano. 

Negli Emirati, l’insegnamento accademico delle arti visive è ancora in erba e per me è stato importante contribuire a un ambito che sta prendendo forma. I programmi disponibili non sono molti, quelli dedicati espressamente alle arti visive sono nati da poco. In generale, noto che con il passare del tempo, si è diffuso un atteggiamento differente verso questi insegnamenti, storicamente considerati poco rilevanti perché associati a una scarsa stabilità economica. 

F.M.: Sei stata definita minimalista e concettuale, con influenze dal Bauhaus e da artisti delle neo avanguardie quali Sol Lewitt, Donald Judd, Carl Andre, io aggiungerei Piet Mondrian prima di loro. Immagino ci siano anche artisti emiratini rilevanti per la tua formazione, soprattutto un pilastro come Hassan Sharif. Come si radica la tua pratica nella storia dell’arte?

S.a.M.: Nutro un genuino interesse per la disciplina, così studio i movimenti artistici del secolo scorso e penso a come possano essere reinterpretati oggi. Da un punto di vista formale, mi ispiro al minimalismo, da quello intellettuale sono più vicino all’arte concettuale. I miei lavori emergono dal dibattito sulla materialità e si basano su azioni semplici, che mirano a richiamare l’attenzione sulla rappresentazione della tensione, del peso e dello spazio fisico. Inoltre, mi interessa coinvolgere attivamente l’osservatore, che è chiamato a ‘completare le opere’, innescando un dialogo con gli oggetti e il contenuto. 

F.M.: Nel 2014 AFAC Arab Fund for Art and Culture ti ha commissionato Stand Here, che hai realizzato per Al Jalila Cultural Centre for Children a Dubai. Si tratta di una semplice impalcatura di tubi paralleli di colore blu, giallo e rosso. Tuttavia, se guardata da uno specifico punto di osservazione, assume le sembianze di un cubo. Mi sembra che rappresenti un passaggio cruciale per i tuoi sviluppi successivi, in particolare in relazione al concetto di illusione. 

S.a.M.: L’intenzione principale è stata indagare il significato dell’immagine e della visione scultorea che è intrinseca in un certo punto di vista, da cui il titolo non casuale Stand Here. La scelta dei colori primari, rosso, giallo e blu, fa riferimento alla ricerca avanguardista sull’essenzialità dell’opera, basti pensare a Mondrian ad esempio, anche se la mia indagine era legata in particolare alla sottile demarcazione tra 2D e 3D e, di fatto, l’illusione di entrambi. 

Shaikha Al Mazrou. Stand Here. Public Sculpture. Variable Dimensions. Courtesy Lawrie Shabibi and the artist
Shaikha Al Mazrou. Stand Here. Public Sculpture. Variable Dimensions. Courtesy Lawrie Shabibi and the artist

F.M.: Sei interessata all’esplorazione di forma e materialità e nella sperimentazione con le possibilità offerte da un determinato materiale. Ti concentri soprattutto sul peso, il volume, e altre caratteristiche fisiche. Questa ricerca è stata alla base di Expansion/Extension, la tua mostra debutto a Lawrie Shabibi nel 2019. Hai dimostrato una profonda conoscenza dei materiali e hai giocato con la forma e il colore per influenzare la percezione visiva: le sculture di metallo hanno un’apparenza soffice, sembra si possano schiacciare, strizzare e l’impulso di toccarle per verificarne la vera natura è irrefrenabile. Che significato ha il titolo della mostra? 

S.a.M.: Il titolo deriva dalla mia stessa esperienza nel concepirla: ho espanso ed esteso la mia ricerca nei significati della scultura, della materia e delle sue funzioni figurative. Mi piace familiarizzare con diversi materiali, ma innanzitutto padroneggiarne a fondo uno, capire appieno le sue potenzialità e poi spingere i suoi limiti al massimo, a volte persino oltre le mie aspettative. Ho voluto creare un corpus divertente che esplorasse le possibilità del metallo – siamo abituati a pensarlo come un materiale forte, resistente, ma fino a che punto? I lavori sono nati dalla pura sperimentazione, una serie di tentativi per cambiare la forma e la percezione della materia. 

F.M.: Alcuni pezzi sono particolarmente significativi in questo senso: penso a Tension, Engage e Exhale, gli ultimi parte della mostra a Lawrie Shabibi. Sono il risultato della tua ricerca non solo sulla materia ma anche su forma e colore…

S.a.M.: Sono tre opere emblematiche. Tension è precedente ma racchiude il nucleo della mia ricerca su materiale e percezione che ho sviluppato nella personale del 2019. Quasi ci aspettiamo che l’elastico che regge la palla si spezzi da un momento all’altro, e l’asse di legno ceda sotto il peso. In realtà, gli elastici sono in metallo ed è la palla a essere leggerissima. Engage porta questo titolo perché il dittico ha un aspetto incombente ma i due elementi, che sembrano dover franare uno sull’altro, si chinano toccandosi con la leggerezza di chi si scambia un pensiero, un’impressione… anche il colore qui è determinante: le linee diagonali accentuano la spinta delle sculture. Exhale toglie il fiato, appunto: la lastra di vetro affonda in un grosso cuscino di metallo, creando pieghe e rigonfiamenti come se il piedistallo fosse davvero ripieno d’aria. 

Shaikha Al Mazrou. Tension I. 2014. Courtesy Lawrie Shabibi and the artist.
Shaikha Al Mazrou. Tension I. 2014. Courtesy Lawrie Shabibi and the artist.
Shaikha Al Mazrou. Engage. 2018. Diptych. Coated stainless steel. 115x233x60 cm. Courtesy Lawrie Shabibi and the artist. Photography by Ismail Noor
Shaikha Al Mazrou. Engage. 2018. Diptych. Coated stainless steel. 115x233x60 cm. Courtesy Lawrie Shabibi and the artist. Photography by Ismail Noor
Shaikha Al Mazrou, Exhale, 2018,Wet coated steel, Glass, film,198 x 121.5 x 109 cm, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist
Shaikha Al Mazrou, Exhale, 2018,Wet coated steel, Glass, film,198 x 121.5 x 109 cm, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist

F.M.: In Materialize, la collettiva che ho co-curato per Lawrie Shabibi ad Al Serkal, è stata inclusa la tua Scales. Abu Dhabi Art l’ha commissionata nel 2016 e l’opera è una sorta di ‘storia della scultura’ in versione astratta. 

S.a.M.: Scales è una presenza quasi architettonica, che domina lo spazio in cui è inserita. È composta da strati orizzontali di vari materiali, tra cui marmo, gomma, alabastro. L’insieme degli strati compone una colonna monumentale, senza che essi perdano la loro singola essenza. La sua struttura si basa sui numeri di Fibonacci, per cui il peso di ciascuno strato corrisponde ai numeri ascendenti della sequenza. Fibonacci osservò questa successione di numeri, simbolo di eleganza e armonia, nel mondo naturale, nella musica, nell’architettura. Per comporre la colonna ho scelto materiali che si ritrovano, più o meno diffusamente, nella storia della scultura, e li ho organizzati all’interno del monolite in modo proporzionale alla loro diffusione. 

F.M.: Scales, con la sua dimensione imponente, mi ricorda l’arte pubblica, il che mi porta naturalmente a pensare a Greenhouse: Interior yet Exterior, Manmade yet Natural, realizzata per Jameel Art Centre, che ti ha assegnato il suo primo Artist’s Garden Commission nel 2018. Qui hai esplorato l’idea della serra e del suo rapporto con umano e ambiente.  

S.a.M.: Una serra è una struttura in cui le piante, disposte in una composizione rigida, vengono coltivate in un clima fittizio, artificiale. È la metafora dell’intervento umano all’interno di un sistema naturale. Per Greenhouse ho esplorato una serie di dicotomie: interno/esterno, artificiale/naturale, creazione/distruzione, contenere/costringere, trasmettere/riflettere. 

L’opera è composta da sei strutture identiche disposte in modo tale da permettere la penetrazione della luce e il riflesso attraverso il vetro. Ne deriva un ambiente minimalista, che permette all’osservatore di muoverle attorno, e allo stesso tempo di vedervi attraverso. 

Sono sempre stata interessata all’estetica del Finish Fetish, per cui le diverse sfumature di verde richiamano le piante, è un riferimento visivo e linguistico che gioca sulla presenza/assenza. 

Shaikha Al Mazrou,Scales, 2017, Chamotte clay, Copper, Plaster, Bronze, Resin, Cedar,Wood, Beeswax, Concrete, Silicon and Marble,300 x 100 x 100 cm, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist
Shaikha Al Mazrou, Scales, 2017, Chamotte clay, Copper, Plaster, Bronze, Resin, Cedar,Wood, Beeswax, Concrete, Silicon and Marble,300 x 100 x 100 cm, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist
Shaikha Al Mazrou, Green house Interior yet Exterior, Manmade yet Natural, 2018,Production and Sale of a commissioned sculpture for the Art Jameel garden,3 x 2 x 6 m
Shaikha Al Mazrou, Green house Interior yet Exterior, Manmade yet Natural, 2018, Production and Sale of a commissioned sculpture for the Art Jameel garden,3 x 2 x 6 m

F.M.: La tua ultima personale Rearranging the Riddle, a cura di Cristiana de Marchi, si è tenuta a Maraya Art Centre a Sharjah all’inizio di quest’anno. Qui il colore blu è centrale, la mostra stessa è la materializzazione di una ricerca su questo colore. Il titolo deriva dall’opera Close to the coast but not too close, che è legato al Paradosso del sorite. Come è nata l’idea della mostra e lo scambio con la curatrice De Marchi?

S.a.M.: La riflessione su affermazioni che definirei vaghe è alla base della ricerca per la mostra, e lo scambio di riflessioni con la curatrice è stato fondamentale per strutturare meglio il concept. Il Paradosso del sorite si interroga circa un cumulo di sabbia da cui vengono progressivamente tolti tutti i granelli. Capiamo che la parola ‘cumulo’ è imprecisa, poiché non esiste una definizione esatta che lo descriva. A colpirmi però è stato proprio il fatto che questo dettaglio sembri insignificante: tutti noi applichiamo normalmente il concetto di ‘cumulo’ sulla base di impressioni casuali. L’opera utilizza il paradosso in modo più diretto, come motivazione per negare uno o più fondamenti nel ragionamento anziché negare la validità della discussione. Close to the Coast but not too Close indaga l’indeterminatezza del concetto di ‘essere vicino’. Essa non è definita dalla simultanea coesistenza di due posizioni; al contrario, sostituisce una voce con un’altra: è la metafora di un disorientamento lessicale.

Shaikha Al Mazrou, Close To The Coast But Not Too Close, 2020,Hand painted sand,Approx. 100 cm in diameter, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist
Shaikha Al Mazrou, Close To The Coast But Not Too Close, 2020, Hand painted sand, Approx. 100 cm in diameter, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist

F.M.: To Create Meaning in Perception è composta da 5 pannelli in vetro le cui differenti sfumature di blu sono visibili da uno specifico punto di osservazione. Quali possibilità ti ha offerto il vetro? 

S.a.M.: L’opera riflette sulla struttura della nostra realtà e sulla percezione del tempo. L’osservatore si trova a fronteggiare una condizione spazio temporale instabile: cinque pannelli di vetro, ognuno con una propria sfumatura di blu, riflettono e rifrangono l’ambiente per creare un movimento costante. Viene catturata la percezione corporea del mondo e, allo stesso tempo, il corpo stesso. La superficie specchiante incoraggia l’osservatore a diventare conscio del proprio atto di guardare con le sue possibilità, ma anche i suoi limiti. 

Shaikha Al Mazrou, To Create Meaning In Perception, 2020, 220 x 90 cm each, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist
Shaikha Al Mazrou, To Create Meaning In Perception, 2020, 220 x 90 cm each, Courtesy Lawrie Shabibi and the artist

F.M.: Dal 2015 sei rappresentata dalla galleria Lawrie Shabibi. Da allora, i direttori Asmaa e William ti hanno incoraggiato molto, e hanno esposto il tuo lavoro in tutto il mondo in mostre e fiere. Come è nata la vostra relazione? Come questo sostegno ha contribuito alla tua crescita come artista? 

S.a.M.: Ho conosciuto Asmaa Shabibi nel 2014 a Londra, al Chelsea College. In seguito, mi ha presentato a William Lawrie e così è nata la nostra collaborazione, che presto è diventata una vera e propria amicizia. Mi sento davvero onorata di essere rappresentata dalla loro galleria e apprezzo tantissimo i loro sforzi nell’offrirmi una visibilità internazionale, un tipo di impegno che portano avanti con tutti gli artisti che rappresentano. 

F.M.: Come è cambiata la scena artistica negli Emirati dagli anni 90 a oggi, e quali pensi saranno le conseguenze della pandemia mondiale che stiamo vivendo?

S.a.M.: Nell’ultima decade siamo stati testimoni di un incredibile impegno da parte delle istituzioni e del governo per incoraggiare e promuovere l’arte negli Emirati. La pandemia, come dici tu, è purtroppo una questione globale e credo abbia portato gli artisti a sentirsi più vicini e uniti, in una pratica che definirei più focalizzata e legata all’attività che si svolge quotidianamente all’interno dei propri studi.