PARTE II
BASTIONE X OSSERVATORIO FUTURA
Osservatorio Futura: Il 29 ottobre usciva, per la rubrica Ibridazioni, sulle pagine virtuali di Osservatorio Futura, il primo approfondimento dedicato all’attività del ‘collettivo’ Bastione. Lì si faceva una panoramica, un sunto delle esperienze passate, situate e sviluppate all’interno del luogo che dà il nome al ‘gruppo’ composto – in maniera eterogenea – da quattordici artisti.
Ebbene, già lì si parlava di ‘parte I’, poiché il nostro intento era già manifesto: sviluppare una narrazione episodica/periodica in grado di – o per lo meno nel tentativo di – raccogliere tutte le testimonianze dei vari processi artistici che gli artisti del gruppo, di volta in volta, inscenano nel luogo in cui si trovano.
Dal luogo situato nei pressi della Cavallerizza, infatti, il Bastione si è spostato a Villa Rey, spazio splendido sulla collina di Torino. Data la sua natura, questo posto garantisce e permette diversi approcci, nonché differenti attività che da qui ai prossimi anni – sono sicuro – animeranno il panorama culturale e sociale (dunque artistico) cittadino. Ma non solo: data la loro eterogeneità e la forte presa di coscienza in vista di sviluppi futuri – e anche qui, ne sono certo – gli artisti saranno in grado di offrire una diversa linea di ricerca rispetto a ciò che oggi il contemporaneo sembra abituato ad aspettarsi. Ovvero un lavoro volto all’aggregazione di competenze, dove le individualità vanno a sommarsi per far sì che possa emergere una pratica collettiva veicolata dal gesto artistico. Essa, infatti, non può (e non deve) più essere considerata una manifestazione dell’ego personale, ma riesce a diventare universo di confronto sinergico, di attrazione e simbiosi, volto a rendere possibile la coesistenza di forme estetiche in una genesi installativa viva. Attiva e partecipativa.
Parlare di partecipazione e socialità in questo preciso periodo storico ha una valenza ovviamente inedita. E non si può raccontare oggi un progetto del genere senza prendere in considerazione il senso di incertezza che ha caratterizzato questi ultimi mesi. Insieme alla pandemia è venuta meno la possibilità di aggregazione, e il collettivo si è dunque trovato, durante i periodi di limitazione degli spostamenti, a voler (e dover) continuare il proprio lavoro e soprattutto a non voler interrompere lo scambio politico e sociale figlio dell’incontro e del dialogo con altri individui.
Questa situazione apre, ancora una volta, un dibattito in merito al lavoro culturale indipendente e relativo allo spazio pubblico, attualmente privato da ciò che, poi, lo rende tale: una sana aggregazione.
Ebbene, proprio a causa della natura partecipata e sociale che anima l’attività del collettivo, restituire ciò che accade a Villa Rey è pressoché impossibile. O meglio, impossibile trasmettere la condivisione empatica che emerge quando si è riuniti in quel luogo, con loro. Come emerso dalla discussione con il gruppo durante l’ultimo incontro, si tratterà quindi di provare a condividere, attraverso “restituzioni” mediali, le esperienze che maturano all’interno di quegli spazi, pur essendo consapevoli di non riuscire a raggiungere mai la stessa intensità dell’esperienza vissuta nel reale. L’ultimo incontro, infatti, è stato protagonista di diverse situazioni che non possono essere condivise con voi con quella stessa valenza emotiva e partecipativa alla quale noi abbiamo assistito. Il testo lirico/poetico che segue, scritto da Cecilia Ceccherini e Lisa Redetti, è una sorta di diario di quello che è accaduto a Villa Rey negli ultimi due mesi: un racconto in versi di gesti umani ed emozioni. È parte di un progetto più ampio, che si sta sviluppando da qualche mese tra gli stessi spazi vissuti dal collettivo, basato sul concetto di ibridazione, di dono, cura e fiducia – tutti termini nevralgici per i vari componenti del gruppo – e composto da diverse azioni di cui questo testo è solo una forma. Si tratta di una stratificazione di voci e smarrimento dell’autorialità, dove il testo iniziato da un artista viene ‘aperto’ ad altre voci, dando così la possibilità dell’intervento. Alcuni hanno accettato l’invito, altri rifiutato: adesso l’opera non ha più un autore e si è trasformata in un essere con diversi codici genetici. E le parti scritte delle due artiste non sono più scindibili e riconoscibili: si sono appunto coagulate insieme ed è impossibile rintracciare le parole scelte da una o dall’altra.
Ricollegandosi a quanto detto poco fa in merito alla restituzione di queste esperienze, quest’opera – perché di questo si tratta – ci è stata trasmessa in una dimensione altamente partecipata, che è poi la sua dimensione corretta, ovvero quella dell’azione simil-performativa: in una sala buia, Giulia Rebonato l’ha interpretata muovendosi a piccoli passi sul proprio posto, di fronte a noi, seduti e immobili. Capirete che leggerla adesso, invece, dal computer o dal telefono è esperienza assai diversa e quasi mortificata. Ma ci sembrava giusto condividerla, come prima restituzione di una delle infinite sfaccettature che compone la ricerca degli artisti del Bastione.
Infatti, un’altra delle tematiche emerse durante l’ultimo incontro è proprio quella di approfondire, di volta in volta, tutte le ricerche portate avanti da ognuno di loro, per riuscire così a dare una visione dell’insieme, a partire dalla particolarità. Il gruppo grazie al singolo.
E se l’eterogeneità è ciò che li caratterizza e quel che difficilmente li fa intendere come ‘collettivo’, è altrettanto vero che le ricerche individuali portate avanti dai singoli artisti hanno bisogno di essere approfondite con il peso – e lo spazio – che meritano.
Questa è dunque la parte II di un approfondimento che può arrivare, in potenza, a una parte indefinita, e mai conclusa. E l’intento è proprio quello.
I vari scatti fotografici vi mostrano, inoltre, la loro nuova casa, Villa Rey, e ciò che dentro (e fuori) vi accade.
Con la speranza, in un futuro – speriamo – prossimo, di poter condividere queste e altre infinite suggestioni in presenza, guardandoci negli occhi. E poter vivere insieme ciò che il Bastione ci proporrà.
Per adesso, vi basti leggere lo splendido testo delle due artiste, con la speranza che, guardando anche le fotografie, vi possiate sentire anche solo per un attimo come noi ci siamo sentiti settimane fa: attivi e liberi.
Ambientazione: interno di una casa. Fuori piove. Alcune persone si muovono nella casa, abbastanza frettolosamente, senza mai fermarsi. Si fermano solo quando incontrano una persona. La guardano, sorridono, e tornano a fare quello che stavano facendo.
—
Gesti gesti gesti
e che siano
vuoti pieni di testi
silenzio
mai esistito,
domande –che
io,
che
noi
da poco vino in corpo
avete preso delle forchette e avete iniziato a mangiare tutti dallo stesso piatto
alcuni con la stessa bocca, tanto da dimenticarvi di ricordarvi sempre di voi stessi.
Avevamo preparato gli elmetti,
e noi tutti, sì
eravamo pronti alla morte,
ma con i volti coperti
ci preparavamo solo alla battaglia
io che non so di che battaglia vorrei morire
C’era molta rabbia e poca solidarietà
forse abbiamo tutti un po’ di paura
Bevevamo acqua di mare per purificare le tonsille,
cantavamo
Dovevamo mettere da parte alcuni sentimenti e prendercene cura
Nel tentativo di incorporare il dolore abbiamo organizzato una sparatoria per vedere chi rimaneva vivo, ancora, dopo tutto.
A volte sembra che l’unico modo per poter essere alla pari e nobili come i morti, è morire anche noi di conseguenza
Ci avevano ordinato di isolare il colpito dall’ambiente nocivo e di stare attenti a non essere colpiti a nostra volta.
Ci ritrovavamo di fronte al grande problema della libertà.
Io (non) sono libero
Entrarono i cavalli.
uno a uno con le criniere chine
Alcuni scalciarono con le zampe posteriori e dis(t)c(r)ussero.
Nella stanza una carcassa magenta
Sangue metamorfico
Zac zac zac
Troppe domande da eliminare,
-iononvogliopiùsentiredelledomandeperchènonpossoaverelerisposte-
Il volume era un sacchetto
ognuno preparava il proprio strumento, alcuni non riuscivano proprio a soffermarsi sul problema della morte.
-Problema-
E lui disse: “No, non è un problema!”
Non ne avevano bisogno.
Cercavano di ricordarsi e ricordare agli altri dell’amore.
Vorrei ancora essere fra le tue braccia in quel campo ricoperto di fiori.
Bang bang bang bang
Un tubo in sei parti
Ventotto gambe
Chi preparava già le lapidi, silentemente,
Curava la materia come si curano i vivi, o forse più i malati
I vivi non pensano di aver bisogno di cura
“Se mi curi troppo mi indebolisco”, diceva
Sguardi spaesati di chi non si sa dare risposte.
Oro illumina le colonne, si prepara il crepuscolo.
Ho sempre visto i miei morti nel cielo,
nuvole impetuose e possenti che si avvicinano da lontano, tremo dall’emozione
Rosso di sangue arriva a ricordare quanto siamo vivi
~
Vi eravate abituati a cenare con voi stessi,
Mai soli
Fidàti compagni della rappresentazione
e della realtà. Separavate spesso questi due mondi, senza considerarli disgiunti, bensì considerandoli su due piani differenti, paralleli, dalla stessa importanza.
Nulla è mai lontano, la separazione non esiste (?)
Cosa significa non vedersi e non toccarsi?
Oggi nella più grande lontananza io non ho mai desiderato tanto,
quanto la privazione mi può far volere?
Assente di sole, di visi, di occhi, di luce, di mondo, di vita, di mani, di corpo,
assente di tutto io vi desidero,
io ora come non mai
vi desidero
___
Mi sentivo di emettere la stessa luce che emette il Sole a mezzogiorno
coperto da una coltre di nebbia
Soffocata, mi sentivo di occupare l’intervallo che esiste tra il sole e lo strato di nebbia. Lì, nel mezzo, non trovavo grandi soluzioni alla mancanza di visioni. Da un lato la luce, estrema, dell’astro. Dall’altra la pàtina impenetrabile della condensa.
Impossibile muoversi. Impossibile pianificare. Impossibile intravedere strade.
State allegri! State allegri! Non siete mica in guerra. E’ solo un esercizio.