LEFTOVERS

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GRAZIA AMENDOLA X FRANCESCA ARRI X FRANCESCA DISCONZI

Ho il piacere di chiacchierare con due amiche di vecchia data: Grazia Amendola, artista, e Francesca Arri, performer e curatrice (tra le altre cose, della nostra rubrica Club Visioni). Parleremo del lavoro Leftovers di Amendola, a cura di Arri per Spazio Ferramenta, presentato in residenza a Marsiglia nell’ambito del progetto Trasloco per il festival torinese Nesxt, dedicato agli spazi e progettualità indipendenti. Questo punto di partenza ci dà modo di focalizzaci sul cosa voglia dire essere uno spazio indipendente in Italia, facendo un paragone con la città francese. Tratteremo inoltre il tema dello scambio culturale, per capire quali siano i vantaggi delle residenze internazionali dal punto di vista dell’arricchimento della ricerca artistica, analizzando al contempo le criticità degli aspetti prettamente logistici.



Francesca Arri: Il progetto Trasloco nasce con l’incontro di Marseille Expo, una grossa organizzazione marsigliese che si occupa di spazi indipendenti. L’interlocutore per eccellenza era Nesxt, un festival che dal punto di vista del tema “indipendenza” è stato avanguardistico.

Bisogna prima chiarire una cosa: Marsiglia è una città dove l’arte si sviluppa principalmente su quel versante [indipendente]. Tutto quello che riguarda gli spazi commerciali, intesi come “sistema galleria”, quasi non esiste. Esse esistono a volte in forma associazionistica, magari sotto forma di spazi privati fondati da collezionisti. Ci sono spazi incredibili come La Friche, un palazzo enorme condiviso da progettualità indipendenti, con un rooftop dove si fanno eventi di musica elettronica e cinema all’aperto, (immaginatevi un palazzo come l’8Gallery torinese, come capienza).

Come ho già detto, tutti questi spazi sono indipendenti, ma non per come lo intendiamo noi. C’è molta produzione e c’è grande fermento, ma se devo trovare una nota negativa, forse sono un po’ troppo chiusi nel loro bacino, poco aperti alle collaborazioni.

Francesca Disconzi: Questi spazi hanno finanziamenti statali?

F.A.: Sono pieni di finanziamenti statali! L’arte francese è quasi interamente sovvenzionata dallo stato.

Quando parlo di ‘indipendenza’ – ma non come la intendiamo noi – voglio dire che una grossa differenza è che là sono foraggiati dallo Stato, cosa che da noi non succede. Il sistema da loro è sotto il cappello dell’indipendenza.

In Italia è abbastanza ovvio che lo Stato non intervenga e la maggior parte dei finanziamenti arrivi da fondazioni bancarie o in generale da privati. Il ministero qua mette a disposizione quei due/tre bandi che vanno sempre ai soliti… è la maniera italiana per rimanere a galla, vediamola così!

Insomma, in Francia la cultura a livello ministeriale pare organizzata meglio, c’è meno interesse a sopprimerla come da noi.

F.D.: Scendiamo più nello specifico nel lavoro che Grazia ha portato in residenza. Chi me lo racconta?

Grazia Amendola: Il progetto si chiama Leftovers (Non left-lovers come qualche volta è stato scritto, ride). È nato nel 2016 a Barcellona, quasi casualmente, durante la residenza da Esproceda. Passeggiavo per i mercati e, vedendo cassette di verdura ancora fresca trattate come rifiuti, mi chiedevo come fosse possibile questo spreco. Da lì ho approfondito la mia ricerca girando per mercati, ed è quello che è successo anche a Marsiglia e successivamente a Torino. Lì io e Francesca ci siamo concentrate sul quartiere centrale di Noailles dove c’è uno dei mercati storici della città, in prossimità del porto e una prima fase del lavoro consisteva nel chiedere ai commercianti dove andasse a finire a fine giornata il cibo invenduto. Devo dire che nella maggior parte dei casi, gli ambulanti sono stati molto disponibili. Marsiglia comunque non è una città facile, ma resta comunque accogliente e la sua multiculturalità  fa sì che si creino comunità all’interno delle quali vi è molta collaborazione e un grandissimo spirito di tolleranza. Oltre a trascorrere intere giornate al mercato, abbiamo parlato anche con tante associazioni che si occupano di recuperare il cibo invenduto.  Abbiamo notato che c’è molta attenzione verso le fasce più deboli e molte associazioni sono state istituite per lavorare in ambito sociale.

(Inoltre, segnaliamo che il progetto è stato presentato al festival Play With Food al Teatro Espace e da Spazio Ferramenta in occasione del Salone del Gusto, entrambi a Torino e a cura di Spazio Ferramenta.)

F.A.: Lì sono attivi sul serio e si fanno il mazzo in strada affrontando la realtà, non operano nel sociale per fare l’intellettuale impegnato… è una città tosta, in cui è difficile vivere.

F.D.: Qual è l’attenzione verso la ricerca artistica contemporanea? Come reagisce la città rispetto a iniziative artistiche, progetti, spazi..?

F.A.: Credo che l’Italiano medio sia molto più ignorante rispetto al cittadino medio delle altre città d’Europa. Magari il livello artistico nazionale è più alto, ma l’attenzione è più bassa e siamo tanto indietro, su tante cose.

Personalmente non sono rimasta estasiata dalla ricerca artistica che ho visto in Francia (…magari troppi mucchietti di sabbia già visti, carte a caso o un po’ troppa roba da arredamento svedese… [ride]), anche se l’organizzazione degli spazi è eccellente: sono professionisti. La cosa che noti è che hanno voglia di lavorare e lo percepisci.

F.D.: …Sicuramente essere sovvenzionati dallo Stato aiuta!

F.A.: Esatto! Poi probabilmente a Marsiglia sono più politici – ma non per bandiera – è un fatto fisiologico: c’è più povertà. Il lavoro diventa interessante perché con alcuni progetti culturali salvano la pelle ai bambini, e non per modo di dire! Negli spazi artistici italiani questo non succede, non ci trovi ragazzini in difficoltà dentro che abitano lo spazio invece che esser in strada. A livello sociale questa è una gran cosa, ma la maggior differenza è di tipo culturale.

F.D.: Quindi si collabora spesso con altre associazioni con un’utilità sociale, anche lontane dal campo artistico, e il progetto diventa così capillare e virtuoso, senza rimanere chiuso nello spazio espositivo…

G.A.: Assolutamente! Infatti, l’intento di Leftovers era proprio quello di creare una rete tra associazioni culturali e spazi indipendenti. Unire l’arte e il sociale attraverso un approccio di tipo relazionale e partecipativo.

F.A.: Già! Infatti il lavoro di Grazia a Marsiglia ha fatto un upgrade enorme. Noi a Torino abbiamo avuto buone possibilità per farlo vedere, ma la merda delle periferie di Marsiglia ha fatto venire fuori ancora di più il senso del lavoro.

Siamo venuti a contatto con realtà periferiche che lavorano con persone in difficoltà. Pensa che ci sono bambini di alcuni rioni che non hanno mai visto il mare e sappiamo tutti che Marsiglia è un porto. Il progetto portato in occasione della residenza doveva nascere proprio con una di queste associazioni, poi non si è finalizzato a causa del  Covid…

F.D.: Torniamo sul tema dello scambio e facciamo un bilancio. Per voi che senso ha avuto questa esperienza?

G.A.: A livello di arricchimento del lavoro l’abbiamo in parte detto, c’è stato un upgrade.  A Marsiglia è scattato qualcosa che ha incentivato il desiderio di svolgere un lavoro partecipativo perché abbiamo sentito che la città lo permetteva.

F.A.: Sì, il salto avanti c’è stato sia a livello concettuale che a livello visivo. Se il lavoro fosse rimasto a Torino probabilmente sarebbe stato ridondante. Anche a me quella città ha risvegliato qualcosa, anche se a Marsiglia ero in veste di curatrice e non di artista.

Dovendo fare un bilancio, artisticamente parlando, sono stati più i pro. Però dal punto di vista organizzativo, nel nostro caso non è stato del tutto positivo…

G.A.: Sì, diciamo che ci siamo scontrate con la burocrazia francese, che spesso è anche peggio di quella italiana. La buona intenzione e la programmazione c’erano, ma deve essere successo qualcosa a livello di micro politiche territoriali…  

F.D.: Suppongo si parli di soldi! La questione budget è sempre quella più spinosa, anche all’estero….

F.A.: Sì, siamo riusciti a realizzare il progetto solo grazie a Nesxt perché dal versante Francese non abbiamo avuto fondi. Come accennavo prima, ci sono state un po’ di difficoltà, per cui abbiamo dovuto arrangiarci… Fortuna che abbiamo spirito di adattamento!

F.D: Pare impossibile organizzare scambi internazionali senza festival, bandi, … Mi pare di capire che – tanto per cambiare – artisti e curatori si arricchiscono dal punto di vista della ricerca, ma ci rimettono da quello economico!

F.A.: Certo, il lavoro dell’artista è sempre stato fuori legge e non ha nessun potere contrattuale!

Hai citato i bandi: l’arte è comandata dai bandi e questi sono a tema, quindi stiamo parlando di un meccanismo di controllo, non raccontiamoci favole!

Invece credo che l’arte debba essere indipendente, sporca… libera di fare schifo!

Questo sentire non può che partire dagli spazi indipendenti.

In ogni caso, il problema economico è enorme: sembra che l’unico modo di produrre arte ad oggi sia lavorare con brand e multinazionali, che meno male che porgono la mano, ma anche quello per quanto mi riguarda è un sistema di controllo, ed è troppo settoriale.

Mi fa ridere quando sento “faccio arte politica”: l’arte è politica, è espressione di libertà, ma come fai se devi campare in un sistema economico al collasso? Il capitalismo è tanto utopico quanto il comunismo.

G.A.: Nel caso di Marsiglia abbiamo anticipato noi i soldi. Personalmente riesco a fare l’artista da quando ho un altro lavoro. Banalmente abbiamo bisogno di materiali per la produzione e di spostarci, non lavoriamo solo per concetti.

È certamente una scelta provocatoria ma vuole sottolineare quanto il ruolo dell’artista all’interno del sistema dell’arte sia subordinato a quello dei mercanti, dei direttori dei musei, dei critici e dei collezionisti, in misura direttamente proporzionale alla debolezza del suo potere contrattuale, secondo la spietata e cinica ragione economica. Se da un lato l’artista deve sentirsi libero di esprimersi, dall’altro deve adeguare la sua produzione alle richieste del mercato, del sistema. Tutto questo è paradossale. Comunque, a tal proposito, mi viene in mente il libro Francesco Poli  “Il sistema dell’arte contemporanea” dove, non a caso, il capitolo dedicato agli artisti viene inserito solo alla fine, quasi fosse l’ultima ruota del carro.  È certamente una scelta provocatoria ma vuole sottolineare quanto il ruolo dell’artista all’interno del sistema dell’arte sia subordinato a quello dei mercanti, dei direttori dei musei, dei critici e dei collezionisti, in misura direttamente proporzionale alla debolezza del suo potere contrattuale, secondo la spietata e cinica ragione economica. Se da un lato l’artista deve sentirsi libero di esprimersi, dall’altro deve adeguare la sua produzione alle richieste del mercato, del sistema. Tutto questo è paradossale! Per questo c’è bisogno di spazi indipendenti, che però ragionino fuori da queste logiche.

F.D: Stiamo toccando un tema a me molto caro. Spazio indipendente / sistema. Qual è il rapporto?

F.A.: Chiariamo prima di tutto cosa vuol dire indipendente, perché tante volte è una scusa per stare dentro al sistema e ritagliarsi uno spazio. Spesso queste realtà vogliono essere delle mini-gallerie.

Indipendente vuol dire libero. Se come artista una galleria prova a indirizzare il mio lavoro, devo avere la fermezza e l’onestà intellettuale di dire di no. Se vuoi invitare a riflettere e generare un cambiamento mettendo “un po’ di sale in zucca” alle persone, devi fare dei ragionamenti diversi, liberi.

Insomma, sei indipendente quando te ne sbatti: ciò vale sia per gli artisti che per gli spazi. Invece questo ambiente è fatto di arrivisti e ciò è dato dal fatto che ci sono poche possibilità. Quando stai per annegare, preso dal panico, tiri giù anche chi è vicino a te…lo facciamo tutti.

G.A.: Mi sono sempre chiesta cosa voglia dire “spazio indipendente”. Indipendente per me che sono un artista o per te che sei uno spazio? Sono libero di progettare o indipendente economicamente? A Marsiglia gli spazi, come abbiamo già detto, sono sovvenzionati dallo Stato, c’è una libertà di manovra completamente diversa.

F.A.: Sì poi lavorare in questo campo [indipendente] è stressante: lavori 6 volte di più ma con meno soldi e ti devi inventare nuove regole.

Comunque il problema è che si pensa ancora troppo a scimmiottare il sistema istituzionale, ad essere presente alla settimana dell’arte o a mettere la tacca sulla cintura, piuttosto che progettare davvero.

F.D.: Per chiudere, Covid a parte, ci sarà un’evoluzione di Leftovers? Sicuramente non con Marsiglia (ride)

G.A.: Sì, non ci siamo più confrontati con Marsiglia. Comunque il progetto era chiuso, doveva solo essere allestito. Il Covid ha certamente influito, non si può non tenere in considerazione questa evoluzione e fare finta di nulla. Bisognerebbe ritornare  e lavorare sulle conseguenze relative a questa pandemia. É un dramma che purtroppo ha intaccato tanti aspetti della nostra quotidianità e sicuramente varrebbe la pena di approfondire.

F.A.: Con il Covid il lavoro ha preso un altro senso autonomamente, ormai la gente senza lavoro è sempre di più e Leftover parla anche di questo: di fame. Magari così è anche più utile.

Comunque il Covid ci ha tagliato le gambe. Quando c’è la morte viene bisogno di vivere, non c’è bisogno di appendere un quadro al muro. La produzione artistica adesso deve diventare un bisogno. Quello che verrà fuori ora dovrà essere il risultato di pura necessità e spero che sia rivoluzionario e di rottura, come dopo ogni grossa crisi, che esprima il primo vero bisogno di oggi: la libertà.


Tutti i materiali fotografici sono cortesia dell’artista e rappresentano materiale d’archivio del progetto.