Osservatorio Futura interessante luogo e concetto no profit di Torino messo in piedi da un piccolo gruppo di giovani curatori (Francesca Disconzi, Federico Palumbo, Virginia Valle, Matteo Gari, Francesca Vitale) mi invita a scrivere, per la loro piattaforma online, qualche riflessione sull’arte e mestiere del curatore, partendo dalla mia esperienza personale in relazione a come vedo quella di chi intraprende quest’avventura in tempi recenti.
Ho già avuto modo di raccontare in altre occasioni i miei inizi abbastanza casuali e particolari in relazione ai curatori della mia generazione, in quanto fino agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, almeno in Italia, non c’erano scuole e/o corsi per curatori. Allora chi voleva intraprendere questa carriera doveva affiancarsi a un curatore senior che nella maggior parte dei casi, tranne pochissimi come Celant, erano dei docenti di Storia dell’Arte presso università e accademie e la professione di curatore d’arte era, in generale, qualcosa che si affiancava quella del professore per cui si diventava in università assistenti come ad esempio Francesca Alinovi e Roberto Daolio lo erano di Renato Barilli, o Laura Cherubini e Antonio Davossa in qualche modo di Bonito Oliva, la prima più di Maurizio Fagiolo e così via. Inoltre, se questi miei allora giovani colleghi avevano coscienza della figura del curatore, io, nella mia naivetè, ne sapevo poco o nulla.
Infatti studiavo al DAMS di Bologna per diventare storico dell’Arte. Fu solo a causa di un mio amico artista e compagno di studi damsiani, Luigi Mastrangelo, che entrai in contatto nell’ambiente curatoriale ed è forse per questo che ho messo e metto sempre al primo posto la relazione con gli artisti, come quando nel 1992 vidi i primi straordinari disegni di Vanessa Beecroft.
Per questo credo che la dimensione dell’irregolarità militante vada sempre preservata e praticata, cosa che consiglio a chi oggi si appresta ad entrare in questo campo, passando attraverso le scuole per curatrici e curatori.
Come vedete, non ho ancora parlato della figura del critico, ma solo di quella del curatore, non perché la figura del critico si sia estinta, ma in quanto ha subito sia una trasformazione e soprattutto una marginalizzazione. Anche qui, se guardiamo a quanto accadeva almeno fino agli anni ottanta, ci rendiamo conto che allora la figura del critico e del curatore era nella maggior parte unica. Restando sempre agli esempi fatti sopra vediamo che in autori come Renato Barilli, Bonito Oliva, Maurizio Calvesi Germano Celant, Tommaso Trini Filiberto Menna, e altri l’esercizio critico attraverso libri, articoli era prioritario come risulta evidente dalle loro biografie.
All’epoca, cioè fino agli anni ottanta, un testo critico di autori come quelli che abbiamo citato era fondamentale, la presentazione scritta di un artista era affermativa di valore. Oggi sappiamo bene che questo non ha più così tanta importanza, contano più la partecipazione a certe mostre e in certi musei, esporre in certe gallerie e anche le quotazioni delle opere, nonché i risultati d’asta. Per far capire questo passaggio basti dire che, soprattutto fino alla fine degli anni settanta – inizio ottanta, se le opere di un artista raggiungevano prezzi elevati, specialmente se ottenuti in breve tempo, destava sospetto. Lo stesso dicasi delle aste, in quanto se un artista vedeva andare una sua opera all’asta si affrettava con il suo gallerista o in prima persona a ricomperarla prima che questa potesse essere acquistata da altri..
Ciò era dovuto anche al fatto che si viveva in un’epoca in cui l’ideologia marxista permeava la cultura, ideologia che considerava il denaro, l’economia come il diavolo. Come sappiamo dagli anni novanta in poi molte opere vengono messa all’asta con l’intento di far lievitare i prezzi non solo per speculazione economica, ma quale valore aggiunto culturale. Con questo non voglio dire che dobbiamo consegnarci mani e piedi esclusivamente alla curatela e al mercato, solo mettere l’arte in prospettiva storica.
Comunque sono proprio tali mutamenti a rendere necessari gli spazi curatoriali no profit come Osservatorio Futura che praticano una militanza anche dal punto di vista critico con la loro rivista online, oltre che con le mostre dal vero. Infatti ciò su cui riflettiamo e facciamo oggi non può esimersi da tenere conto di quanto sta pandemicamente succedendo non solo dal punto di vista della malattia, la cui lotta è naturalmente prioritraria, ma dal grande impiego della virtualità che i lockdown hanno sviluppato. Ho visto in questo anche una opportunità, tant’è che una delle mie ultime produzioni è anche quella di lavorare con il cosiddetto mondo dell’online con IL MARCIAPIEDE DELL’ARTE [img 11], studio visit online con l’intento di sfruttare questa tecnologia a favore degli altri. Vale a dire che, essendo gli studio visit aperti a tutti via facebook e youtube, questo da la possibilità a chiunque di vedere studi a cui non avrebbe mai avuto accesso e dialogare con l’artista durate la diretta. Va sottolineato che proprio per il rapporto che ritengo fecondo, sia per me che per le nuove generazioni, in ogni puntata ospito una giovane curatrice, o curatore. O altre rubriche come RadioLibrArte che si può seguire su: www.radioarte.it. Si tratta di una rubrica che si occupa di libri, quindi di cartaceo, in un mondo che va smaterializzandosi.
Anche per l’ambito delle mostre la virtualità offre interessanti opportunità come ho potuto sperimentare con PerPorPourForVirZum, mostra online realizzata per la settimana dei Diritti Umani promossa in novembre dall’OPL (Ordine degli Psicologi della Lombardia) che potete vedere cliccando su questo link: https//:www.opl.it/psicologia-diritti-umani/mostra2021
Questa mostra è, non solo un commento alla problematica dei Diritti Umani, ma anche una sperimentazione sul piano curatoriale, perché credo che essa offra molte opportunità di ulteriori sviluppi sia per la curatela che per l’arte.
Voglio dire che il mio modo di procedere è sempre in progress, non bisogna mai accontentarsi di quanto si è raggiunto, ma rimetterlo in discussione e spostare l’asticella sempre oltre. “Buttare il cuore oltre l’ostacolo” come dice Baudelaire. Per questo non sono legato a una mostra in particolare, perché in ognuna cerco di trovare, aggiungere qualcosa d’altro. Ad esempio, quando non avevo molte opportunità di fare mostre, 1992, mi inventai Territorio Italiano, Progetto d’eternità per l’arte contemporanea. Una mostra di progetti per luoghi italiani da parte di trenta artisti internazionali, progetti permanenti che poi avrei cercato di realizzare. A oggi ne ho realizzati 7: Garutti (Hotel Palace Bologna), Accardi (Pieve di Santa Maria Novella, Radda in Chianti,), gruppo Irwin (Hotel Ambasciatori, Firenze), Sozo Shimamoto (Torri di San Gimignano), Alfredo Pirri (sede ARCI, Roma), Dimitris Kozaris RAI3, Armleder (fiume Po a Piacenza).
Questa mostra-progetto è pure un interessante banco di esercitazione, perché ci mette alla prova su vari piani dalla scelta dell’artista, ricerca fondi, permessi e tanto altro, per invito giovani curatori che fossero interessati a collaborare a questo progetto contattandomi.
Ma se questa è una mostra di cosiddetta arte pubblica anche la storia dell’arte va messa alla prova come quando mi invitarono a curare la quarta edizione di Fuori Uso nel 1994. In questo caso tornavo a Vasari e alle leggende di cui è intriso il suo libro Le Vite de’ più “Eccellenti Pittori, Scultori e Architettori”. In questa prima, per me, edizione, ne avrei curate altre cinque nel corso degli anni, feci una mostra che chiamai Opera Prima, in cui mettevo in relazione opere del periodo maturo con una “opera” realizzata quando ancora non si consideravano artisti realizzate all’asilo, o alle elementari, medie, liceo, … per mostrarne la continuità. Difatti nella copertina del catalogo misi la nota immagine dei pastelli Giotto Fila in cui si vede Cimabue mentre osserva Giotto pastorello che disegna le sue pecorelle.
All’interno l’opera prima e l’opera dopo erano a confronto su due pagine con sotto testi di riferimento, tra questi: Cindy Sherman, Enzo Cucchi, Vito Acconci Getulio Alviani, Wim Delvoye e molti altri. e molti altri. Questo per dire che tutto va progettato e riprogettato come quando ho fatto la mostra di Andy Warhol alla GAMeC. Per questa non solo ho tappezzato tutte le pareti di carta stagnola dando l’impressione della Factory e mettendo in essa in relazione opere realizzate dall’artista in vita e quelle considerate “after Warhol” in quanto stampate con gli stessi telai macchinari ecc dopo la sua morte. Questo pone un interessante problema concettuale legato all’idea dell’originalità che l’artista ha messo da sempre in discussione. Inoltre ho utilizzato come seduta non le panche del museo, ma le sedio a sdraio di Damien Hirst acquistabili online per pochi euro
Ma c’era un altro problema quello del catalogo, perché fare un ennesimo catalogo di Wharhol che senso ha? Lo ha nel momento in cui ho fatto diventare il catalogo un libro di artisti, chiedendo a tutti gli artisti che avevo esposto negli anni di progettare una pagina su Warhol. Lo stesso vale per Pistoletto, che come sappiamo fa della differenza e condivisione il centro della sua opera. Qui ho deciso nella mostra “Immagini in più Oggetti in meno”, con due tipologie di opere (quadri specchianti e oggetti) che racchiudono tutta la poetica dell’artista, di fare un catalogo collettivo per tematiche coinvolgendo dei giovani curatori che scrivessero su quelle tematiche pistolettiane e ho coinvolto anche gli operatori-mediatori museali della GAMeC che provengono da 30 paesi e che si esprimono in 30 lingue diverse. Loro hanno scritto delle tematiche nella loro lingua: italiano, russo, cinese, ebraico, giapponese, arabo, ecc, offrendoci un repertorio testuale della differenza.
Tornando alle origini, o giù di lì, credo che vada ricostruito la relazione tra le generazioni che dagli anni ottanta in avanti, almeno in Italia, si è interrotta. Per questo verso la fine degli anni ottanta feci una mostra a Volpaia in Toscana intitolata 10 Capitoli di Realtà in cui mettevo in relazione opere di 10 artisti giovani con altrettanti maestri come, ad esempio: Arienti con Ontani, Boetti con Pietroiusti, Mondino con Martegani e così via. Per il catalogo volli delle conversazioni tra le accoppiate, ognuno con un critico quali: Chiari – Falci Bakargiev, Gilardi – Mazzuccconi – Vettese, Paolini . Levi – Parmesani in modo che non fosse un semplice accostare di opere, ma anche di poetiche, consapevolezze, condivisioni, un processo da parte mia ancora in atto.
AmedeoMarteganiAldoMondinoElenaPontiggiaCorrradoLeviGiulioPaoliniLoredanaParmesaniStefanoArientiLuigiOntaniRosmaScuteriSalvatoreFalciGiuseppeChiariCarolynChristovBakargievAnnieRattiCarlaAccardiGiovanBattistaSalernoCesarePietrroiustiAlighieroBoettiMarcoMazzucconiPieroGilardiAngelaVetteseAlfedoPirriVettorPisaniGiorgioMaraglianoPierluigiPusoleSalvoGiulioCiavolielloMassimoKaufmannHidetoshiNagasawaFrancescaPasini.