FEDERICO PALUMBO X GIULIO ALVIGINI
Il mio intento è quello di fare una non-recensione; o meglio, come direbbe Marco Senaldi, una non-non-recensione, all’interno della quale, nel suo doppio ribaltamento, si trova il senso di una negazione che rende possibile e plausibile una postulazione critica di significato.
Ciò che leggerete è davvero una lode alla fuffa, un prendersi per il culo fra amici/colleghi mentre si va a lavoro insieme – per smezzare la benzina – parlando di gnocca, calcio e soprattutto sfogandosi e sfottendo quel vecchio idiota del capo.
Ecco, ora che ho l’attenzione – in ordine – sia di coloro che prendono troppo sul serio il mondo dell’arte e sia di quelli che invece se ne sbattono beatamente (ma non ingenuamente) le palle, posso provare a parlare del Manuale per giovani artisti (italiani semplici) di Giulio Alvigini, edito da Postmedia books (esatto, quella casa editrice che ti fa ricordare le bibliografie dei corsi che hai frequentato in Accademia o che hai citato anche solo una volta per darti un tono e provare a rimorchiare) per Sartoria Editoriale.
Il mio intento è quello di non fare una recensione – nel senso classico del termine – perché il libro dovete comprarlo e, soprattutto, non può essere recensito. In primis perché, a mio parere, andrebbe contro al senso intrinseco che sta alla base della pubblicazione e finirebbe per sembrare una gara tra chi vorrebbe pagare il conto della cena e chi lo pagherà davvero (Giulio è quello che me l’ha offerta, il mio ruolo è quello di far finta di volerla pagare, per buona educazione, tirando fuori il bancomat, molto lentamente, ma sapendo che lo rimetterò presto nel mio portafogli). In secondo luogo perché dovete comprarlo. Ah, questo l’avevo già detto? Giuro che Giulio non mi dà una percentuale sulle vendite. Non siamo mica su Artribune.
Di conseguenza, non volendo fare una recensione (in questo senso, invece, io e lui ci eravamo accordati, e speriamo non se la prenda) parlerò dell’autore e di cosa significhi una pubblicazione di tale blasone. D’altronde trovatemi un critico, oggi, che parla, nello specifico, del lavoro dell’artista e che non metta invece in piedi una scorribanda intellettuale buttando fuori tutto quello che sa sull’argomento.
Quindi, volendo giocare rispettando queste regole, che tanto poi non seguirò, desidero provare a definire Giulio, il giullare dell’arte italiana come lui stesso ama battezzarsi. Chi è Giulio? E soprattutto: chi è diventato dopo una pubblicazione del genere?
Mi pongo quindi delle domande intellettualmente di un certo livello: può essere definito il Maurizio Sarri dell’arte italiana? Il Maurizio Sarri di quando allenava la Juventus?
Questa similitudine può anche essere frutto di una serie di discorsi calcistici che spesso, durante le nostre conversazioni, prendono il sopravvento mettendo a lato le pallose teorie dell’arte. O comunque, quest’ultime, meno infoianti di quelle che minano la fede calcistica. Sarri si è prima fatto voler bene dai tifosi napoletani forse non tanto – o non esclusivamente – per il bel giuoco ma per aver continuamente preso a sportellate la Juventus, quella che il Movimento 5 Stelle reputerebbe come ‘casta’, o che la Lega chiamerebbe ‘Europa comunista delle lobby bancarie’. Bene, dopo aver attaccato il Palazzo (così Sarri definiva l’ambiente juventino) decide di insediarvisi. Firma il contratto per i bianconeri e va a vincere il campionato più brutto degli ultimi anni (e da interista, fidatevi: ce ne sono stati sì di pessimi, ma mai quanto quello!).
Cosa c’entra, direte voi, tutto questo con Giulio? Bè, da Giovane Artista Italiano Semplice capace di perculare il Palazzo dell’arte e in grado di metterne in ridicolo i meccanismi “segreti” (sì, ma non ditelo in giro, tipo) che lo regolano, è ora diventato parte di quel gruppo. Il suo libro, edito da Postmedia books, effettivamente equivale a firmare il contratto con la Juventus per un Giovane Artista Italiano Semplice e, stabilendosi all’interno di quella sfera che lui stesso ha sempre preso in giro, lo sfottò rischia ora di perdere la sua carica propulsiva.
Però aspettate un secondo: Giulio è un artista, non un critico. E tiene a debita distanza la tentazione di una critica istituzionale, postconcettuale e/o postmarxista. Non gli interessa né fare ramanzine e neanche istruirci. Oh, non è Joseph Beuys, per intenderci.
La sua linea di ricerca è, come sempre, più sottile. E data tale sottigliezza, questa può perciò subire fraintendimenti, come d’altronde spesso accade. Il cinismo e la conseguente (o antecedente, vedete un po’ voi) presa di coscienza è il vero nucleo che alimenta la cellula dell’arte di Giulio. Se ripenso all’intervista che gli ho fatto mesi fa e che apriva il progetto Osservatorio Futura, già lì, si parlava della capacità e della possibilità di piegare il media utilizzato. Giulio non è un net artist e così come utilizza, a suo piacimento, il linguaggio dei meme e così come produce e assembla gli oggettini (lui stesso li definisce così) artistici che solitamente espone, si è adesso lanciato nella stesura di un saggio che non è un saggio. Di un testo che non è un testo. Di un manuale che non è un manuale. E si ritorna alla frase di apertura di queste non-non-definizioni… Insomma, ha realizzato un libro d’artista che può essere tutto, e mai niente. Ed effettivamente, leggendolo, ci può sembrare davvero di trovarci di fronte a un’attività performativa, mediale e mediatica.
Adesso mi sembra chiaro: Giulio è, allora, il Maurizio Sarri dell’arte contemporanea: se ripenso alle sue conferenze stampa da allenatore della Juventus, mi accorgo che esse erano profondamente autocritiche e autoironiche, quasi esprimessero un senso di incredulità nell’essere lì, ad allenare quel club. Dichiarazioni che potevano essere rilette in un: “Eh ou, la Juve continuo a non sopportarla, ma devo pur vincere qualcosa in Italia”. Che si potrebbe anche leggere come un “se non riesci a sconfiggerli, alleati con loro”.
Giulio però durante gli anni ha sempre millantato un’imminente pubblicazione con Postmedia books. E alla fine questa è effettivamente arrivata. Ci ha presi per il culo tutti? Non lo so, e non è poi così importante saperlo! Anche, e soprattutto, se continuerà a farlo. Perché se è pur vero che ammettere di avere un problema è l’inizio di un percorso che porta alla soluzione dello stesso, oggi, nel mondo dell’arte, questo non basta più. Non siamo mica alcolisti. Ma siamo comunque dipendenti da vizietti malsani: quante volte ci troviamo a evidenziare i problemi che reggono il ‘sistema’ ma continuiamo ad accettarli supinamente? A tal proposito mi viene in mente un’opera di Giulio: i metodi di pagamento del Giovane Artista Italiano Semplice, ovvero il di-dietro. Ecco, sta qui la forza di Giulio: rappresentare perfettamente e con un linguaggio a noi comune (quello della comunicazione, dei meme e dell’internet) questioni complesse, noiose, ma di vitale importanza per chi sogna di fare questo mestiere. Manifestando apertamente un’impossibilità nel reagire ma che è, al tempo stesso, una reazione vera e propria.
In fondo, tutto il lavoro di Giulio potrebbe essere tradotto in un “Il sistema dell’arte a prova di idioti”. Cioè, se non lo capisci guardando i meme e leggendo il suo libro (che, tra l’altro, ha come sottotitolo non a caso Meme e sistema dell’arte italiano), forse sei realmente un idiota. Oppure, più semplicemente – e negativamente – in malafede.
Cambierà il mondo questo libro? Non credo. Che poi, come fa a cambiare il mondo un libro sull’arte… sono i boomer dell’arte italiana a smarronarci con frasi del tipo “l’arte salverà il mondo”. I più sgamati, come Giulio, non gli credono. Anzi, li prende in giro; e giustamente mi viene da dire. A lui basta salvare il suo di mondo. Legittimare la propria ricerca – che ormai va avanti da parecchi anni e aveva bisogno di una svolta – a livello istituzionale.
Quindi, auto-rispondendomi, non senza un certo grado di bipolarismo: no, Giulio non è il Maurizio Sarri dell’arte italiana. Ma solo perché quest’ultimo finì esonerato dopo una sola stagione portandosi a casa un piccolo scudettino. Giulio, invece, vincerà la Champions League. Oppure, nel “peggiore-migliore” dei casi, il suo libro avrà una ristampa. E poi un’altra ancora. Finendo ad insegnare in Accademia e diventando base per i meme di chi, a sua volta, lo ripagherà con la sua stessa moneta. Conferma dell’essere, ormai, arrivato.
P.S. ovvio, un po’ lo sto lecchinando e sono di parte: lo chiamo Giulio per esprimere e far vedere a tutti voi che lo conosco personalmente, che ci mandiamo i meme su whatsapp e che organizziamo le cene. E poi devo, per forza di cose, ringraziarlo pubblicamente: ci curerà una rubrica a partire da dicembre, e non lo pagheremo, perciò fatemi restare in buoni rapporti con lui. Ma tanto lo sapete meglio di me, in Italia funziona così.
P.P.S. Tutti i meme che vedete qui li abbiamo realizzati noi di Osservatorio Futura. Ma non volevamo certo mancare di rispetto a Giulio – o ad altri. Desideravamo piuttosto mettere in pratica quel “Lo potevo fare anch’io” bonamiano, e provare a fare i simpatici. Se non ci credete, ri-leggete il primo P.S.
P.P.P.S. Oh, Gianni, se vuoi io ci sono. Il mio numero telefonico è 3463664419. Ho pronta – tra le altre cose – una tesi da pubblicare se ti interessa, un po’ pallosa ma secondo me figa. Sono un fan sfegatato di Postmedia books e una volta ti ho sentito durante un intervento a Brera. Sei un grande.
Chiamami!
“Il futuro non siamo noi”, Giulio Alvigini X Federico Palumbo