DANIEL CARLETTO (CHARLIE) X FRANCESCA VITALE
Lettori di Osservatorio Futura, vi presento oggi la mia chiacchierata con l’artista Daniel Carletto (Charlie aka @charliedirukka), classe 1994 e laureato all’Accademia Albertina di Torino. Frequentando spesso lo studio in cui lavorava, ci siamo ritrovati più volte a parlare del mondo con cui dobbiamo confrontarci noi giovani appassionati e addetti ai lavori, con discussioni che a volte ci portano allo scontro, ma spesso ci trovano d’accordo.
Oltre a spizzichi di tutto questo, nello specifico Charlie, nella seguente intervista, mi racconta del suo ultimo progetto e del suo modus operandi, autodefinendosi banale e leggero all’interno di una generazione che spesso, però, andando a rafforzare gli opposti, scivola (anche senza volerlo) in noiosi cliché.
Francesca Vitale: Charlie, molte volte ci siamo trovati a discutere dei tuoi lavori. Da dove possiamo iniziare nel parlare di questi?
Daniel Carletto (Charlie): Ti faccio subito una premessa. Sto notando sempre di più che ultimamente esiste una smania, una fretta di voler fare l’artista, per dare tutto e subito in un futuro immediato. Per il mio modo di fare mi sembra quasi paradossale. Al contrario io, negli ultimi periodi, sto un po’ archiviando il mio lavoro perché ho necessità di approfondirlo, di strutturarlo meglio.
L’Accademia quasi ti obbliga a produrre qualcosa semplicemente perché è richiesto di farlo e inizialmente, una volta arrivato lì, ho incominciato a sperimentare. Nel mio caso ho finalmente trovato qualcosa che davvero mi convinceva e su cui poi mi sono concentrato.
FV: Mi racconti un po’ come sono collegati tra di loro i tuoi lavori? Esiste un filo conduttore in comune, oppure si tratta sempre di serie?
DC: Volendo raggruppare i miei lavori, possono sì essere considerati in serie, ma quello che più mi preme alla fine è il filo conduttore: la forma dei miei lavori, la tecnica, come sono costruiti a livello di immagine.
FV: Quindi si potrebbe dire che le serie sono diverse come tematiche generali ma segui sempre le stesse modalità operative.
DC: Sì esatto, una serie di opere possono essere relative alle Instagram stories, altre magari a dei post, ma in realtà sono tutti esperimenti e prove, non c’è un vero e proprio lavoro, è ancora tutto in fase di costruzione; è per questo infatti che tendo ad essere molto riservato sulla mia produzione. L’ultimo lavoro che ho pubblicato tramite Instagram lo reputo di per sé concluso.
FV: Intendi quello del 1 Novembre?
DC: Proprio quello, che ho poi pubblicato quel giorno.
È un progetto a cui ho lavorato per parecchi mesi, nell’arco dello scorso anno. Racconta l’ambito del rapper-super star che muore giovanissimo e così facendo rimane eterno. Ho voluto cogliere il concetto di prendere in blocco molti di questi personaggi per poi sbatterli sulla mia pagina Instagram su piccole dimensioni creando alla fine, grazie alle facce tutte molto simili, un pattern.
Da quando è nata l’idea del lavoro inizialmente non sapevo che utilità dargli o a cosa sarebbe servito: era un progetto che non aveva uno scopo. È stato più tardi che ho scoperto il suo fine. È il primo esperimento di un lavoro costruito a 360 gradi. C’è l’idea, la realizzazione e infine la messa in scena.
Ho pensato prima di tutto a un tema, alla fine è arrivato il motivo per cui farlo e un contesto storico (nel senso blando del termine) a cui associarlo.
Siamo sommersi da un’ondata di musica pop e trap arrivata con forza anche qui, che rende il pubblico italiano molto più consapevole sulla natura del genere.
L’ultimo punto fondamentale è il fascino della morte che aleggia intorno a questi personaggi, che dimostrano veridicità completa solo nel momento in cui cessano di esistere (tutti molto giovani e con morti violente). Così facendo diventano leggende.
Questo è il motivo della scelta di quella data per pubblicare in blocco tutte le opere. Per me il cerchio si chiude lì.
Dopo la pubblicazione le opere sono infine state stampate, catalogate e archiviate.
FV: Di morti giovani “leggendari” ne è pieno anche il mondo dell’arte.
DC: Quello che mi premeva di più era riuscire a raccontare con le immagini le storie di personaggi che dopo i soldi, il successo, la fama e il senso di rivalsa sociale, per continuare a mantenere la loro immagine, muoiono brutalmente.
In termini artistici, certo possiamo paragonare questi personaggi a Basquiat o a Keith Haring ad esempio, i quali continuano a dimostrare qualcosa del personaggio e della loro arte anche attraverso la propria morte (il primo di overdose, e l’altro malato di AIDS). Proprio questo concetto finale è in sé la parte veramente riflessiva del lavoro.
FV: Oltretutto anche esteticamente e scenicamente fa un bell’effetto vedere nel complesso il tuo progetto pubblicato sulla tua pagina Instagram.
DC: Sì certo. Poi mi è sempre piaciuto trattare in questo modo il mio profilo. Magari per i prossimi lavori cancellerò tutto e ripubblicherò qualcosa di diverso. C’è chi è molto attaccato ai suoi file, ma io no. Considero il mio profilo Instagram come un semplice spazio, e dentro a questo posso fare quello che voglio.
FV: Forse è più un utilizzo da “mostra temporanea” che decidi di allestire e disallestire, piuttosto che un archivio, che è la modalità classica utilizzata dagli utenti di social come Instagram.
DC: Infatti ultimamente la mia produzione si è per così dire “stoppata”, anche se in realtà sto continuando a lavorare nonostante pubblicamente non mostri quasi nulla.
FV: E non mi puoi dire qualcosa riguardo alle tue prossime pubblicazioni?
DC: I prossimi saranno lavori a cui sto pensando da sempre e sto cercando di capire un po’ come posizionarli, come esporli ma anche come crearli, operando io sempre su progettazione. Inizialmente li strutturo e li disegno dal computer, voglio però capire meglio come ottimizzarli, che tele utilizzare, che supporti, etc…
Vorrei anche ricreare delle figure 3D, lavorare sulla scultura, sull’installazione, sullo spazio.
FV: Anche perché tu per ora hai lavorato solo su tela?
DC: Sì esatto. Su tela o stampato, comunque tutto in 2D.
Quello che vorrei veramente fare è ampliare il raggio.
La smania e la fretta di cui ti parlavo prima, quella di voler fare tutto e subito, influisce poi negativamente sul pensiero, sulla qualità dell’opera. Io mi ritrovo adesso in una situazione in cui preferisco dare respiro al mio lavoro e poter creare così un ambiente più sicuro per le mie opere.
Lavorando su pratiche “banali” dal mondo dello spettacolo ai social e al web, mi chiedo spesso che rilevanza possa avere quello che faccio.
Sono tanti gli interrogativi sui quali ragiono e sono uno che preferisce dare spazio e respiro alle proprie idee prima di buttarmi a capofitto.
Quello su cui punto di più in assoluto è una visione a lungo termine e non vivere sempre alla giornata.
FV: Quindi cosa ne pensi del rapporto tra arte e social?
DC: Il fulcro principale è, secondo me, proprio il rapporto che c’è con i social in generale. Sono partito quasi giocando, per divertimento, poi piano piano sono state comprese le vere potenzialità. Il social è una piattaforma su cui
Chiunque si “prostituisce” e vende (chi più e chi meno) una parte di sé sul web risultando anche a volte ridicolo per la professione che fa. Tutto questo però fa parte del business.
Molti artisti secondo me stanno pensando a una strada manageriale e imprenditoriale tramite i social, a volte facendolo in modo giusto. Certo è che spesso e volentieri è la “poesia” che ne risente, però che ci vuoi fare, è il mondo che cambia.
FV: Cosa ne pensi dell’arte dei giovani di adesso, dell’arte della tua generazione?
DC: Secondo me stiamo facendo, chi più chi meno, un percorso interessante ma di cantiere, pur considerando il fatto che purtroppo molti non hanno le risorse economiche che permettono di poter fare veramente cosa si vuole.
Woc sicuramente è uno di quelli che funziona maggiormente, avendo trovato committenze e un suo pubblico, riesce a gestire il tutto più a livello manageriale.
Altri, come ad esempio Ermanno Brosio e Luca Ferrero, lavorano come me principalmente di cantiere, magari non mostrando sempre i propri lavori ma dedicando loro comunque molto tempo ed energie.
FV: E invece quelli già un po’ più affermati? Molti anche torinesi ed ex studenti dell’Accademia adesso si stanno occupando di mostre in gallerie anche famose, qui a Torino e in giro per l’Italia.
DC: Secondo me dipende un po’ anche dal fatto di cui ti parlavo prima.
Chi vuole far tutto subito e di corsa lo fa. L’arte è una cosa anche molto empatica, a volte per apprezzarla non c’è per forza bisogno di studiarla, è una questione di gusto. E se sei una persona che ha gusto, riesci anche a trasmetterlo, un po’ ovunque, qualunque cosa tu faccia. Ci sono alcuni dei giovani che hanno a parer mio sensibilità artistica da vendere (vedi ad esempio Guglielmo Castelli e le sue opere), altri invece dipingono o fanno opere calpestando a destra e sinistra un po’ di cliché che saltano subito all’occhio a chi ha studiato arte e bazzica nel mondo delle esposizioni.
Poi certo, si sa, il mondo dell’arte contemporanea è anche fatto di conoscenze: posso essere anche bravo, ma ci sono volte in cui i contatti sociali sono un bel calcio in culo!
FV: Erroneamente guardando i tuoi lavori la quadrettatura viene spesso rimandata ai pixel degli schermi, quando in realtà non è cosi.
DC: Io non ho mai fatto il liceo artistico, ho imparato un altro modo di disegnare. Il pixel nasce da vari esperimenti, c’è sempre stato. Fin dalle prime prove mi ha convinto, seppur non abbia significati o una funzione particolare. Il pixel è sempre stato alla base dell’immagine. Ho fatto degli esperimenti, mi convinceva e l’ho tenuto.
Ha una forma semplicemente riassuntiva perché ti permette di suddividere un’immagine più dettagliata semplificandola. Se penso al mio lavoro i pixel li rimando a una funzione puramente pratica.
FV: Deriva anche dal tuo percorso di studi da geometra?
DC: Sì sicuramente può aver influenzato. Poi anche in famiglia vivo da sempre in questo contesto con mio padre architetto e mia madre geometra, alla fine in casa questo è l’argomento principale.
FV: Solitamente quanto tempo impieghi a cercare le immagini e come avviene il processo di selezione?
DC: Le immagini escono così, dal mio elevato consumo di Instagram e dei social. Poi quando ho iniziato il mio ultimo progetto mi sono volutamente concentrato su quei personaggi un po’ superficiali di cui parlavo prima, erano loro quelli che mi interessavano di più. Sono stato affascinato dal loro sfoggiare la ricchezza sui social con diamanti e macchine di lusso, sempre con qualcosa di nuovo da dire.
Mi piace nella mia arte parlare di cose leggere. A me certi personaggi servono perché sono colorati, hanno movenze che mi riportano al self portrait o al “moon walk” camminando, mostrandosi. Li screenshotto guardando anche i colori, i vestiti, cosa toccano o cosa fanno.
Adesso ho una quarantina di lavori progettati ridotti, in attesa di uno scopo!