INTERVISTA CON LA NEW MEDIA ART

MARTA M. ACCIARO

Autore: (a cura di) Marco Mancuso

Titolo: Intervista con la New Media Art

Casa Editrice: Mimesis

Pagine: 485

Prezzo: 32 euro



Carla Lonzi scrive (o trascrive) “Autoritratto” nel 1969.

Hans Ulrich Obrist pubblica parte dei suoi colloqui nel 2003.

Marco Mancuso riunisce alcuni collaboratori di Digicult, per i quindici anni della propria attività, e crea un volume di dialoghi.

Ciò che accomuna questi tre splendidi libri è la potenza enorme dell’usare la conversazione al fine di fare critica. Sebbene siano differenti le modalità e le esperienze da cui ognun* di loro è partito, è impossibile non rintracciare questo fil rouge.

Lonzi registra in analogico ore di parole e di idee, facendo operazione di assemblaggio nella costituzione dell’opera.

Obrist sistematizza, una dietro l’altra, una selezione di dialoghi in modo assolutamente eterogeneo, miscelando architettura, moda, arte, design, filosofia, ecc.

Mancuso fa invece un’operazione differente e più organizzata, per dare la possibilità al lettore di mantenere un ordine mentale, suddividendo il libro in sezioni. Le sezioni in totale sono dieci, ognuna introdotta da un* collaborat* di Digicult, in cui vengono presentati articoli (due per ogni quinquennio dal 2005 al 2019) pubblicati sulla medesima piattaforma proprio in questi anni. La struttura è lineare, i temi coinvolgenti e non si lascia nulla al caso: dall’architettura al suono, dal post-cinema al design, da internet al teatro, vi è il tentativo di esplicare con una prassi concreta e non solo a livello teorico, quella che si definisce New Media Art.

Di cosa stiamo parlando? Ci dice Mancuso nell’introduzione, “il termine New Media Art è di per sé un vettore di complessità che riteniamo ormai consistente per la sua valenza interdisciplinare e che ha come centro nevralgico l’uso delle tecnologie e la vicinanza con la ricerca scientifica” (p.18) […] l’aspetto tecnologico e quello artistico si sono intrecciati lungo diversi orizzonti che sono diventati veri e propri ambiti di riflessione sui nuovi media in senso ampio: il medium […] è divenuto contemporaneamente strumento di raccolta, di elaborazione, di produzione e di condivisione dell’informazione nonché spazio e oggetto della progettazione stessa” (p.19).

Digicult si è posto dal 2005, anno della sua fondazione, come contenitore in cui sviluppare attività d’informazione, di analisi, di ricerca e di approfondimento sul tema della New Media Art, nell’ “utopia dell’interdisciplinarietà”, come rilascia detto Mancuso nella presentazione del volume per L’Indiscreto (2021).

“La diretta voce degli artisti è importante. È interessante attraverso le voci degli artisti come le pratiche disciplinari si sono evolute o involute” (idem). Dunque Mancuso dà, nel modo più orizzontale possibile, atto estremamente e felicemente politico, la possibilità di una ricezione della critica non intesa come nella prima metà del ‘900 (penso ad Argan) quale illazione sull’opera dell’artista, ma come (penso appunto a Lonzi e Obrist) modo conoscitivo, modo interrogativo, modo filosofico di costituzione relazionale, connessione comunitaria tra le figure che si occupano di discipline culturali.

“Orizzontale”, appunto, è termine che ritorna molto negli interventi de* collaborat*. Ritorna spesso anche il termine “rizoma”: questo libro si pone proprio come un rizoma se “non c’è tra ciò di cui un libro parla e la maniera in cui è fatto. Il libro non ha più nemmeno oggetto. In quanto concatenamento, è se stesso solamente in connessione con altri concatenamenti” (Deleuze e Guattari, Mille Piani, edizione Castello, p.49).

Il volume vuole “proporre al lettore sia un panorama di ciò che è Digicult, un punto di osservazione prospettico che rispecchi quello del suo ideatore e curatore [Mancuso], sia le sue temografie più significative, intese le aree disciplinari che articolano un discorso organico e organizzato su di una struttura molteplice e straordinariamente aperta, priva di contorni definiti”. E mi ritrovo talmente d’accordo con Francesco Bergamo (p.21) da consigliare la lettura di quello che rimarrà un caposaldo della sperimentazione interdisciplinare che dagli anni ’90 del ‘900 continua a divenire.