WOC X FRANCESCA VITALE
Lettori di Osservatorio Futura, vi presento qui di seguito il testo dedicato alla mostra di Woc “Nessuno è solo”, frutto della conversazione con l’artista.
Oltre a raccontarmi la storia di ogni singola opera abbiamo insieme ragionato su quanto ogni lavoro, oltre alla sua pura estetica, nasconda in sé collegamenti a concetti legati non solo a temi della storia dell’arte ma anche a cinema, attualità e filosofia.
Ha inaugurato lo scorso 30 settembre la mostra “Nessuno è solo” del giovane artista torinese Woc, presentata alla Noire Gallery di Torino.
Le opere esposte occupano tutto il piano superiore dello spazio e raccontano allo spettatore parte del percorso tematico dell’artista. Dopo circa un anno di lavoro, Woc continua a seguire il fil rouge che collega tutta la sua produzione e, se solitamente mostra allo spettatore, proprio come Warhol faceva con le sue Marilyn, immagini mediatiche capaci di appropriarsi di un’ideale comune a chiunque, con questa nuova produzione l’artista ci descrive perfettamente l’estremizzazione di questo stesso concetto.
Provando infatti a definire un percorso lineare delle sue opere, Woc ha iniziato mostrandoci riproduzioni iconiche così presenti nei social e nell’immaginario collettivo da diventare per certi versi degli archetipi visivi, in cui chiunque si può rivedere, riconoscere o esprimere un’opinione a riguardo. La conseguenza logica della rappresentazione di certe tipologie di immagini l’hanno avuta invece la serie di ritratti di personaggi diventati ormai iconici seppur estremamente negativi. Come Warhol mostrava al popolo americano degli anni ’60 la diva allo stesso livello della first lady qualche attimo prima di vederla nel tentativo di raccogliere i resti del marito, così Woc ci mostra un ig stories allo stesso piano di efferati serial killer riconducibili all’immaginario italiano come Olindo e Rosa.
Con questa ultima esposizione il dialogo con l’artista continua. Se lo spettatore si sente in dovere di definire idolo e icona un personaggio pubblico o, estremizzando ancora di più, una semplice immagine, adesso Woc lo spiazza presentando la prima serie di “morti”.
Come un attento chirurgo l’artista seleziona tre morti “spettacolari” e spettacolarizzate. La prima è la morte dell’icona pop per eccellenza, quella di Michael Jackson, accertata a causa del Propofol, farmaco usato durante le operazioni, principale agente di induzione dell’anestesia, forma estrema della stessa sensazione che un concerto provoca nell’osservatore. L’immagine immediatamente riconoscibile dell’ambulanza che porta via il cadavere è stata considerata fino a quel momento “l’evento mediatico più grande di sempre” coinvolgendo il re indiscusso del pop, figura anche spesso associata a un immaginario misterioso e inquietante. L’idolatrare e perciò rendere merce la morte di un idolo-dio trova il suo culmine nella morte mediatica di quello che dai fedeli viene considerato l’essere vivente più vicino al creatore: il papa. La morte di papa Giovanni Paolo II, (così alta e aulica da coinvolgere il Padreterno che durante la cerimonia sfoglia attraverso il vento le pagine della bibbia), ha raccolto, come l’uomo in volo dell’11 settembre, l’intero mondo davanti alla televisione. Racconta l’immagine della morte del dio in terra, un piano ancora più alto e superiore, che, associato a Michael Jackson, diventa la morte, anch’essa, di un dio del pop. La terza opera rappresenta uno dei più grandi car crash mediatici; Cronenberg nel suo “crash” ci mostrava un feticismo legato all’eccitazione sessuale del metallo e della carne nell’incidente stradale, qui Woc ci mostra un altro tipo di eccitazione legata però allo stesso tipo di feticismo visivo: lo schianto in macchina di Ayrton Senna. Sappiamo che è mostruoso e violento, ma non possiamo smettere di guardare. È il peep show di Paris Texas; non vorremmo, ci sentiamo male al pensiero ma non possiamo distogliere lo sguardo.
Grazie all’idea dell’allestimento, le “morti” dialogano perfettamente con l’altra serie che troviamo di fronte, quella dei “concerti”. L’estetizzazione della morte trasportata a evento mediatico ci porta automaticamente a un altro fenomeno che raggruppa la folla, ma questa volta lo vediamo da una prospettiva diversa. Siamo infatti dall’altra parte, siamo noi sull’olimpo del palco, siamo noi le divinità apparse con un deus ex machina che parlano, guardano e esistono davanti alla folla. Nel caso delle due opere più esterne il gregge di persone è una massa informe, un tutt’uno che viene però contestualizzato dall’opera centrale in cui si riescono a riconoscere più indistintamente figure e volti. Concettualmente i “concerti” si possono ricondurre alla seconda sala in cui l’artista presenta una serie di riproduzioni delle immagini stampate sui cd, forse in questo caso una serie più personale, rappresentando questi, fasi della vita e del lavoro dell’artista. Ognuno si rapporta alla propria esperienza e per ognuno un oggetto come un cd rappresenta qualcosa di diverso e di unico nel suo genere. È proprio in quel momento che però si sente il bisogno della folla. La massa dei concerti è una sola. Milioni di persone per Vasco, Renato Zero o per Tiziano Ferro con un unico obiettivo comune: guardare dal vivo in carne e ossa un idolo sempre e solo idolatrato da lontano. L’irraggiungibile e il senso di frustrazione nel non arrivare mai davvero a quel palco, a quel dio, è quello che rende la massa una comunità. Il dio diventa icona che la massa trasforma in immagine da feticizzare, da guardare, da sognare. Il non essere raggiungibile perché troppo in alto è il concetto che tiene vivo il desiderio e l’eccitazione dello spettatore. E allora davvero nessuno è solo, nessuno è solo tranne il dio, che abbiamo capito non essere immortale neanche lui. Un semplice essere umano elevato alla potenza di un’icona, diventa pop, parla alle masse, le coinvolge, decreta le sue decisioni, le sue volontà. L’idolo non è immortale, ma il semplice smettere di esistere non impedirà alla folla di idolatrarlo. Forse è proprio questo il passaggio ulteriore: immersi nella folla, nell’adorazione della stessa immagine, della stessa musica, dello stesso concerto e della stessa morte, nessuno è solo.