THE BURNED

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Racconto a quattro mani di Nausicaa e Thirteen

A cura di Anna Casartelli e Nicole Colombo

…non lo so, a volte mi sembra di non essere connesso con me stesso, di ritrovarmi di fronte ad una persona che non conosco, qualcuno di vagamente familiare ma di cui non riconosco lucidamente i confini. Forse penso troppo, e dovrei solo finire questa maledetta birra incoraggiante e andare a scambiare due chiacchiere con qualcuno… però è difficile presentarsi davvero con qualcuno se stai vivendo il dubbio cosmico di non essere sicuro di sapere chi sei… forse una tequila mi aiuterà…

Le luci del locale restituiscono costantemente la sensazione di immersione nelle profondità. Il buio, intervallato da qualche luce al neon azzurra o rossa, sembra coccolare e allo stesso tempo inglobare le persone che stanno partecipando alla festa. In parte li protegge e in parte gli dà la possibilità di reinventarsi per una notte, celando quello che deve essere celato ed esaltando quelle che devono essere le loro migliori qualità.

Per me non è esattamente così. Trovo in questo buio pace e quiete, la rappresentazione di ciò che accade dentro di me, una discesa nel profondo, nel buio, accompagnata da qualche spiraglio di luce qua e là che costantemente mi mette alla prova. 

Poi la vedo. Quegli stivali bianchi fino al ginocchio riflettono le luci del locale e lei, con movimenti sinuosi, si mangia lo spazio. Sobbalzo non appena si avvicina al bancone ignara del mio disagio.

“Hey ciao, io sono Nausicaa! Che palle sta festa non mi sto divertendo granchè, sarà colpa della musica, o della gente…”

Rimasi colpito. In fondo anche lei stava vivendo parte del mio stesso disagio, chissà se si è avvicinata al bancone per recuperare un po’ di coraggio liquido pensai; di certo non era una possibilità quella che si fosse avvicinata proprio per parlare con me.

“Hey ciao a te, io sono Thirteen e si, nemmeno io mi sto divertendo granché. Ho pensato che un paio di birre potessero aiutarmi ma devo ammettere che non sta funzionando…”

…non lo so, a volte mi sembra di essere fuori da me. Ho gli occhi chiusi, la musica è abbastanza alta da coprire il rumore dei pensieri. Tengo il ritmo con i fianchi. I bassi risuonano nella cassa toracica. Lei chiama e il corpo risponde, vibro, vivo. Sì, mi sento viva. Sono io, eppure non sono sempre io a vedermi da qui? Attrice e spettatrice della mia esistenza, mi guardo con desiderio, desiderando.  A fianco a me due rivetheads si avvinghiano in modo discutibile, barcollando addosso a me di tanto in tanto. Vero che da fuori la vita ha un altro aspetto, persino tu. Tu, tu-io? Tu chi? Perdermi così… perdermi così è così bello… poter essere tutto e niente, qui e fuori da qui. Apri gli occhi però ora, Nausicaa, apri gli occhi!

Abbasso lo sguardo, lo rialzo. la rivet, ubriaca persa, inizia ad urlarmi nell’orecchio “Oddio scusami! Sono sbronza marcia cazzo!” Il mio gin tonic è totalmente rovesciato sulla mia maglietta. 

Respira, prendila con filosofia.

Lei mi guarda in modo strano, alza le mani al cielo e dondola via strattonando lui per la maglietta.

È successo di nuovo, ma non posso farci nulla, se una situazione mi infastidisce me lo si legge in faccia. E non devo aver fatto la faccia di una che la prende con filosofia.

Decido che il gin tonic lo voglio a costo di rituffarmi nella folla – fino a quel momento mi sembrava lontanissima – magari se mi avvicino al bancone con aria disinvolta me lo faccio pure offrire.

Le luci sono fredde e calde, le basse frequenze mi pulsano nel petto, i capelli iniziano ad appiccicarsi alla schiena. Mi dicono spesso di tagliarli, ma a me piacciono così. Ogni centimetro è segmento di una memoria alla quale non sono ancora pronta a rinunciare.

Sento il ritmo, mi lascio contagiare. Respiro profondamente, mi immergo. Mi destreggio tra corpi sudati, per nulla turbata dal fatto di trovarmi da sola in mezzo a così tanti sconosciuti. Non è da me, chissà. Stanotte c’è un’aria diversa.

Lo vedo, è lì, come un’oasi nel deserto, il bancone. Cerco di farmi largo, dritta verso il mio obiettivo e poi… e poi sento qualcosa, come un brivido che dallo stomaco sale alla nuca. Non rispondo di me. Dacché il mio sguardo era dritto ora, di colpo, cambia direzione, come intrappolato da non so quale forza. E lì, tra me e la mia attenzione, intravedo due spalle larghe. É appoggiato ad un estremo del piano bar, chissà cosa sta bevendo.

Non sono più dentro di me perché mi vedo avanzare decisa, con un passo insospettabilmente leggero e sicuro.

Ehi.. Nausicaa ma che diavolo stai facendo, ma sei scema?!

Mi avvicino con nonchalance, mi appoggio con le braccia conserte al suo fianco. Mi sporgo verso una dei baristi, mi giro verso di lui.

Gli parlo.

Sono davvero io?

Mi guarda con lo sguardo di chi non crede del tutto a cosa sta sentendo, e lo capisco perché io che mi sto guardando non mi riconosco. 

Ha degli occhi profondi, intensi e pieni di tristezza. Risplendono di una luce opaca, che li rendono anche accoglienti. 

Capisco subito che è da solo, proprio come me. Mi riferisco a quella solitudine che ti mangia vivo, quella che ti risucchia e quella che ti culla. Quella nemica-amica che fa compagnia anche e soprattutto quando non è richiesta.

C’è qualcosa in lui che mi ricorda me, qualcosa di tremendamente familiare. Qualcosa che so di conoscere, ma di cui non ricordo il nome.

Tiene in mano un bicchiere vuoto.

“Che dici, ce ne facciamo uno per sopravvivere alla serata?”

È sorpreso, glielo leggo in faccia, e lo sono anche io. Io, che sto nel mio, io che non do confidenza, che il mio mondo lo tengo per me, io che sono qui, ma sono anche lì con lui e non riesco ad avere il controllo maledizione, posso solo guardare. 

Quel caldo coraggio distillato ci rende momentaneamente attori protagonisti di una storia improbabile fino a qualche minuto prima. Nel buio entrambi troviamo pace e complicità. Per quanto tempo sono rimasto seduto sul divano di casa chiedendomi 

Che faccio vado? o forse non vado? non ne ho voglia…. ma se poi non vado dovrò combattere con la mia FOMO per tutta la sera e per tutti i due o tre giorni seguenti… un down senza nemmeno aver fatto serata…. cosa preferisco dei due?” e ora mi ritrovo qui, a dire “bhe forse meglio così vedi Thirteen! sei sempre il solito, guarda, forse hai conosciuto qualcuno di molto più simile a te del previsto…

Quanti discorsi che sviscero solitario nella mia mente, e mentre io mi perdo in questa sequela di cazzate, lei mi sta facendo danzare sulla pista. Continuo a vivere momenti come questo, momenti in cui non sono presente nel mio corpo. La mente diventa un incredibile universo di possibilità e scenari, divagazioni e ricordi mentre il corpo prosegue nella realtà, vive, si muove, anarchico. 

Quei capelli rossi… il tempo era come se avesse rallentato solo per sottolineare la sinuosità dei movimenti che facevano. 

Ogni passo è un passo in più verso qualcosa di lui che mi sta dando, senza dire niente. Balliamo con gli occhi chiusi, ricordandoci che ci siamo solo di tanto in tanto per non perdere il contatto. Sento la sua pelle umida sotto le dita, sento lui e sento me stessa, come se fossimo una cosa sola, come se la sua esistenza fosse la prova esatta della mia.

Come se in questo attimo riuscissimo a darci un senso entrambi.

Ci sono giorni in cui mi sveglio e non riesco ad alzarmi. Guardo il soffitto e mi chiedo che cazzo di senso ha tutto questo muoversi nello spazio come monadi impazzite, che senso ha lavorare dieci ore al giorno per un stipendio che a malapena ti permette di sopravvivere, che senso hanno le relazioni dove tutto è mediato, le tasse, le code in posta, le guerre, il miele nel caffè e i sandali con le calze. A volte trovo la forza per tirarmi su, altri, è come se una montagna si adagiasse su di me con tutto il suo peso.

Siamo io e lui, ora. Non ci sfioriamo più, ogni gesto cerca di trattenerci sull’altro un po’ di più, ci cerchiamo, ci scopriamo, ci sentiamo. 

Sono io o sei sempre tu? Io non sento più la differenza.. in quegli occhi.. c’è una luce bellissima.. bruciano.

E in fondo in fondo, oltre quel magico riflesso, ci sono io.


Collage di immagini: Thirteen, The BurnedNausicaa ph credits Luca Matarazzo