BEATRICE TIMILLERO
Dedicato a chi cambia pelle
Siamo sempre legati solo a un’impressione.
Avanziamo svelti divorando il tempo che resta, lasciandoci rincorrere dalla solita idea: la Sindone non è che uno straccio. Quello in cui crediamo troppo spesso si distorce e muta, alimentando la consueta domanda: cosa rimane? Vestiti raccolti in fretta per coprire le macerie; scatole vuote, scatole piene, sempre e solo scatole; una nota a margine il cui tratto ruggisce furioso – leggimi per ricordarti di te.
Cosa rimane? in questo caso è una mostra nella quale le impressioni di sé sfilano, assieme a quelle di mondi corrotti, pregandoci di non abbandonare l’ultima traccia superstite (sì, ma quale?). Così, tra le mura di Spazio Buho, tre artisti veneziani uniscono le forze nel tentativo di imbrigliare un eco, componendo una sinfonia che deve essere valutata nella sua unità e non come opera collettiva. Ilaria Miotto, Dario Filippis e Alessio Bertolo, quindi, grazie all’antico rito trasformano la materia in simulacro, creando un percorso in cui diventa sempre più chiaro che quel poco che rimane è ciò che veneriamo.
State vicini.
Immaginate di entrare nello Spazio e vedere distese di crisalidi umane, epidermidi farcite di vento lasciate a marcire.
Cosa è successo in questa casa? Gli abitanti sono fuggiti di corsa, sgomitando per rinascere, oppure sono cambiati a poco a poco togliendo spazio alla propria armatura? Al cospetto della mano gli esoscheletri tremano, rabbrividisce la fibrosità in memoria di un tepore consunto. Inutile chiedersi quando la pelle sia stata indossata, cosa abbia vissuto. Ora è secca e dura, schiacciata dalla polvere, un’unica robusta cicatrice.
Sulla sinistra la porta cigola dopo tanti letarghi. Nella stanza decine di urne scure si stringono in una teca. Sono piccole, la forma di un pugno, eppure la violenza del numero intimidisce lo sguardo. L’aria è rarefatta e la visione proibita, l’impulso quello di scoperchiare ogni singola pandora alla ricerca di un senso. Basterebbe aprirne una per perdere il controllo, per restare intrappolati
nella maledizione del significante. Lo scrigno appare granuloso, solido, una testimonianza dell’equilibrio tra il pieno e la sua conseguenza. La teca si apre, una custodia si spezza; all’interno? Niente. Si snoda la spirale alla ricerca del contenuto.
[Dove?].
Mille anni dopo l’anima si accorge di avere ancora un corpo. Scricchiolano le gambe scendendo la vecchia scala della cantina. In lontananza solo una luce – è una lampadina che pende dal soffitto. A ogni passo le onde del buio rimasto si infrangono contro quello che rimane, desiderose di allontanare la riva dal loro mistero. Il breve chiarore è una guida insufficiente; questa volta però resistere è fondamentale. L’alternativa è perdere tutte le parole che si siano mai
posate sulla punta della lingua, accontentarsi delle idee precise. La lotta infuria, ad ogni metro il buio si insinua per prendersi la nostra umanità.
La luce si spegne. Graffiano sul muro i palmi stanchi, scavano la parete come fosse la sabbia più prossima al mare. Strato dopo strato la materia si ricompone, si mescola, asciuga i disegni fatti con le dita. Perché cambiare sembra così ingiusto? Dall’albero al sasso tutto cresce e si consuma, la forma finita esiste solo a partire dalle mani dell’uomo…
Tornare sulla stessa strada è facile. Torino è fredda e a tratti antipatica, l’aria vera rompe l’incantesimo e ci fa precipitare nella solita vita. La domanda tuttavia non si può più confinare, ci accompagna e ci costringe ad affrontare lo specchio eterno. La risposta è ovunque, nascosta in bella vista, si confonde nelle trame della città. Perché infondo, cosa rimane?, lo sai solo tu.
Cosa rimane è un progetto espositivo di Ilaria Miotto, Alessio Bertolo e Dario Filippis, a cura di Spazio Buho, presso Via Gaspare Saccarelli 11A.
Il progetto sarà visitabile dal 17 al 19 dicembre.Opening venerdì 17 dicembre dalle h17, il 18 e 19 dicembre sarà possibile visitare la mostra dalle ore 12 alle 20.