LE CANNIBALE X RICCARDO RAMELLO
Riccardo Ramello: Le Cannibale ieri e oggi, raccontateci un po’ come siete arrivati fin qui e come state vivendo questo periodo di stop e riflessione forzata dovuta al Covid?
Marco: Le Cannibale è una storia lunga oltre 10 anni e più di 400 eventi. Ci siamo evoluti coerentemente con il nostro mondo che cambiava, poi il nostro racconto si è interrotto un anno fa. è stato ed è tuttora un periodo molto difficile, lieti però di aver saputo resistere e di aver potuto comunque lasciare il segno con eventi importanti duranti gli ultimi dodici mesi (una rassegna alla piscina Cozzi e alla Piscina Romano, i concerti al Castello Sforzesco, la riapertura dello Scalo di Porta Genova etc.). Abbiamo lavorato finché abbiamo potuto, rispettando le norme di sicurezza e garantendo allo stesso tempo stimoli e contenuti. Ora stiamo riprogrammando il futuro con la stessa attitudine. Non ci aspettiamo un 2021 sfavillante, speriamo possa essere un anno dove torniamo a giocare le nostre carte come sappiamo fare, reinventandoci e creando contenuti che possano rispondere alle esigenze del momento. Stiamo rivedendo alcuni aspetti interni alla nostra realtà, evolvendo alcuni brand e progetti, rinnovandoci in taluni aspetti e stiamo buttando le basi per aprirci nuovi percorsi che ci interessa portare avanti nei prossimi anni. Temporaneamente rallentati, reinventati nelle nostre prime incarnazioni, andremo avanti malgrado tutto con la certezza e la volontà di alzare sempre più lo standard qualitativo delle nostre proposte con la speranza che la primavera e l’estate possano rappresentare il momento della ripartenza anche del nostro settore
R.R.: Negli anni avete esplorato spazi e concept molto diversi tra loro, proponendo format eterogenei: dalle serate al Tunnel, agli eventi in Triennale, Club Prohibido, fino al Wunder Mrkt, il progetto Classica Elettronica Fantastica (bellissimo nome tra l’altro) e Reverso Festival. Quali sono i pro e i contro di un approccio così fluido?
Marco: Abbiamo una forte identità nonostante l’eterogeneità delle proposte che portiamo avanti: ciò che accomuna tutti questi progetti che hai citato è l’approccio e i valori che ci contraddistinguono. Ormai tanti anni fa abbiamo capito che il nostro pubblico non voleva un’unica esperienza, richiedendoci sempre di più. Voleva ballare, ma allo stesso tempo voleva anche partecipare ad un concerto, voleva impiegare il tempo libero anche con una mostra, con un market o parlando di cinema, voleva essere suggestionato dalla musica, ma anche dall’ambiente, dalla scoperta di nuovi luoghi e nuove forme d’arte. Ma credimi, non abbiamo mai ragionato esclusivamente valutando i pro e contro! Abbiamo voluto dare varietà al nostro lavoro perchè in primis è quello che desideravamo fare. Probabilmente Le Cannibale non esisterebbe più se avesse continuato a fare quello che faceva 10 anni fa, proprio perchè in primis noi avremmo perso l’amore e la dedizione in ciò che facciamo, ed è un aspetto fondamentale per chi come noi ha avuto la fortuna di trasformare la propria passione in lavoro.
Ovviamente tentiamo di interpretare ogni giorno il mondo che ci circonda e ci siamo evoluti rispetto ad una realtà che è profondamente mutata in questi 10 anni e l’approccio che definisci “fluido” è stata la nostra personale risposta. Ci sono PRO come la capacità di soddisfare vari “bisogni” della nostra clientela, la possibilità di accompagnarli per un numero maggiore di anni, il privilegio di avere interlocutori variegati e stimolanti. Ci sono anche molti CONTRO ovviamente: di “brand awareness” in primis, capita che migliaia di persone partecipi a differenti eventi senza essere consapevole della regia unica. Poi è certamente più difficile fidelizzare il pubblico, proponendo di volta in volta contenuti culturali di natura diversa, è più complicato comunicare, produrre, progettare eventi così differenti o più in generale relazionarci ogni ⅘ giorni con interlocutori diversi, arti diverse, regolamenti diversi, finalità e pubblici differenti.
R.R.: Il clubbing anni 90 partiva spesso dalla fidelizzazione agli spazi che diventavano iconici, dei simboli in cui riconoscersi e formare la propria identità: ora sembra essere il concept ad avere un ruolo più rilevante, cos’è cambiato?
Albert: Ti invito a riflettere su come le nostre stesse vite siano state trasformate radicalmente nel giro di circa vent’anni da due enormi novità. La prima è internet – rivoluzione assoluta dei linguaggi di comunicazione, lo scorporarsi dell’identità e del soggetto, la targettizzazione massima dei contenuti da proporre ad un pubblico attentamente identificato ma ricercato su scala mondiale. La seconda è il low-cost travelling: il treno che io prendevo per andare al Maffia, a Bologna, o a Milano e che la generazione prima della mia utilizzava per ascoltare i set di Baldelli viene rimpiazzato dagli aerei low-cost che portano italiani in giro per l’europa per un weekend, nuovi consumatori della Berlino clubbing experience. La trasformazione di cui tu parli vede il contenuto sostituito dall’ esperienza. Questa però non è una condanna da parte mia, semplicemente una osservazione di dinamiche che cambiano effettivamente.
Siamo tenuti a far esprimere i contenuti all’interno di contesti altrettanto interessanti per massimizzarne il potenziale, semplicemente. Ecco perchè Le Cannibale cerca di offrire musica di valore, in contesti sorprendenti e spettacolari, esperienze uniche che di base garantiscano alla sua clientela di prendere parte ad una esperienza che tendenzialmente ‘vale la pena di vivere’. Credo che oltre al concept i luoghi che ospitano gli eventi abbiano assunto un peso specifico molto rilevante nel generare interesse, e che l’evento “one of” in questo momento abbia dei vantaggi rispetto ai luoghi la cui fruizione appare essere ripetibile.
R.R.: Al momento siete tra i pochi promoters di clubnights che continuano a proporre commistioni tra arte, performance e varie espressioni di musica elettronica – salvo che questo concetto possa ancora funzionare oggi – arrivando anche a incontrare il lavoro di artisti come Marina Abramović. Da cosa nasce questa continua esplorazione?
Marco: Tutto nasce dall’incontro tra me ed Albert: sono passati tanti anni, siamo diventati una società e una realtà importante, ma Le Cannibale era, è e rimane una realtà “molto personale”. Intendo dire che il nostro lavoro racconta molto di ciò che siamo come individui: amiamo profondamente la musica, ma ci cibiamo anche di molte altre passioni come l’arte contemporanea, l’architettura, la storia, la sociologia, il cinema, la politica. Sin dal primo giorno, dai primi party al Tunnel abbiamo provato a parlare di cinema, di performance, abbiamo collaborato con giovani artisti, registi. Ora è semplicemente tutto più visibile: siamo cresciuti, abbiamo alzato il livello della proposta, abbiamo studiato e approfondito, abbiamo abbattuto muri e siamo diventati più credibili. Adesso creiamo eventi dove arte, musica, cultura e intrattenimento incrociano le proprie rotte dando vita a situazioni fuori dal comune, appuntamenti capaci di offrire qualcosa in più al pubblico, facendo scoprire nuovi luoghi, suoni, parti sconosciute della città. Le Cannibale parla soprattutto con la musica, partendo dall’elettronica d’avanguardia fino a raggiungere la classica sperimentale o la italo disco, ma non solo. Abbiamo dialogato con l’arte contemporanea e con l’arte sacra, abbiamo collaborato con festival di video arte e mostre di ogni tipo, abbiamo lavorato con il design e inventato rassegne musicali sul legame tra musica e cinema, abbiamo prodotto festival internazionali di fotografia e qualche incursione nel mondo del teatro. La collaborazione con la mostra di Marina Abramović è stata una bella soddisfazione, avremmo dovuto ripeterla a Modena e Napoli, ma il COVID ci ha bloccati. Vediamo cosa ci riserva il futuro, nel frattempo ci teniamo strette le nostre collaborazioni con il Padiglione d’Arte Contemporanea con cui promuoviamo Performing PAC e quella con Video Sound Art e nel frattempo prepariamo qualche sorpresa.
R.R.: Quali sono le maggiori difficoltà incontrate?
Albert: Dobbiamo costantemente confrontarci con le duplici dinamiche di universi finora non abituati a dialogare. Maggiore è il coinvolgimento attivo di entrambe le dimensioni, maggiore è il risultato. Allo stesso tempo è un dato di fatto che nello spostare l’obbiettivo e nel cambiare radicalmente il linguaggio di alcuni dei nostri progetti ci troviamo a dover elaborare strategie differenti per coinvolgere il pubblico, rispondendo ad eventuali critiche derivanti dalla trasformazione in divenire della nostra proposta che viene riposizionata sempre più spesso fuori dai tradizionali confini del mondo della musica e del clubbing. Tendenzialmente abbiamo rilevato entusiasmo da parte della nostra clientela e la volontà – da parte di chi ci segue – ad informarsi sui contenuti nuovi che andiamo a proporre.
In alcuni casi ci siamo trovati a confrontarci con chi semplicemente vorrebbe continuare a “ballare in pista come sempre”, cosa che non abbiamo smesso di fare assieme al nostro pubblico, ma che sempre più spesso facciamo in modo inusuale…sappiamo di non poter accontentare tutti, ma la diversità di natura rappresentata dai nostri progetti offre una serie di possibilità secondo me interessanti.
R.R.: Arte contemporanea e clubbing purtroppo sono due mondi che si parlano sempre meno, siamo lontani anni luce da quella sinergia che vedeva personaggi come Andy Warhol, Basquiat o Keith Haring essere partecipanti attivi delle clubnight Newyorkesi, disegnando flyer, progettando allestimenti, scenografie e installazioni nei club. Cosa è successo?
Albert: Ci è capitato di lavorare con giovani artisti attivi in campi più o meno vicini al nostro in passato: è molto stimolante quando è possibile trovare un punto d’incontro da cui partire per influenzarsi reciprocamente. Questo accade nelle collaborazioni che prendono la forma di eventi ma anche in aspetti meno visibili del nostro lavoro. Io e Marco abbiamo ad esempio alte pretese per quanto riguarda la grafica che accompagna i nostri progetti e per questo motivo da anni abbiamo cercato di farci seguire da studi grafici capaci di offrirci supporto e soprattutto stimoli, interpretando Le Cannibale secondo nuovi linguaggi creativi.
Ci sono ovviamente tuttora artisti che frequentano gli eventi musicali, così come noi frequentiamo il mondo dell’arte più o meno regolarmente: concordo con la tua considerazione su quanto questi universi non siano estremamente contaminati l’uno dall’altro al giorno d’oggi ma penso che sia una situazione generica dove forse si è maggiormente prudenti rispetto ad un tempo nel gestire i propri linguaggi e la loro concreta espressione .
R.R.: Ma soprattutto, cosa si potrebbe fare per incoraggiare un ricongiungimento tra clubbing e altre forme artistiche ed espressive?
Albert: Clubbing e arte possono dialogare tramite un processo collaborativo se le parti percepiscono il valore competitivo di una proposta trasversale che includa entrambe le dimensioni e la loro interazione, creata al fine di suscitare grande interesse da parte del pubblico, sempre più esigente in termini di contenuto ed esperienza ad essa connessa.
R.R.: Se vi chiedessi con quale artista di arte contemporanea vorreste collaborare, chi scegliereste? E in quale spazio?
Marco: Troppo difficile citare un solo artista o spazio. Sognerei di lavorare con Michelangelo Pistoletto e Bruce Nauman, o ancora meglio con Francis Bacon, Mark Rothko o Keith Haring, ma per gli ultimi tre sono nato purtroppo troppo tardi. Ci sono alcuni musei a Milano che bramo, ma più in generale vorrei lavorare maggiormente con l’immenso patrimonio artistico e monumentale italiano. Il mio sogno è un format di festival e rassegne musicali nei parchi d’arte italiani. Sono un pò troppo ambizioso, lo so!
Albert: Avendo portato avanti studi su performance art e body art, mi piacerebbe lavorare finalmente con Ron Athey – artista che stimo immensamente – oppure con La Fura dels Baus: credo che poche esperienze siano paragonabili a quella che ho vissuto – nella tua Torino, tra l’altro – la prima volta che ho potuto prender parte ad un evento di quest’ultimi. Ma “mi accontenterei” di una collaborazione a Palermo con Jenny Saville (lasciamo scegliere a lei il luogo), o di organizzare un evento dedicato all’incontro di musica ed arte a Las Pozas nella foresta pluviale vicino a Xilitla (Messico). Scegli tu la destinazione e ricordati di prenotarci subito i biglietti aerei…io intanto vado a preparare la valigia.