AMICŒ MIŒ, o Che Strano il Mondo d’Estate

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LUCA RUBEGNI

In questo periodo è arrivata quella che in Francia chiamano la canicule, ovvero il caldo torrido e soffocante, che in una città come Parigi ti toglie il respiro.  

A me però ricorda tanto Roma, le lunghe notti afose dove non si dorme e dove il giorno sembra essere  remoto, dove tutto si ferma e si vive per le strade ed il giorno ci si rifugia all’interno degli edifici con l’aria  condizionata, oppure in luoghi freschi.  

Io non ho mai avuto il condizionatore ed, onestamente, il caldo non mi è mai dispiaciuto, lo tollero.  Mi ricorda anche un po’ la vita notturna di Istanbul, città che non dorme mai, piena di luci, di contraddizione,  di fascino e di mare, che ti rimane dentro.  

Il Bosforo ti cattura, è ipnotico.  

Fatto sta che non ho molto di cui parlare, ultimamente attendo solo le vacanze, che saranno italiane e quindi  composte prevalentemente da gelato, spritz rigorosamente con il Cynar e tanti sogni passeggeri.  Passeggeri un po’ come tutti noi, immersi nelle nostre quotidianità che qualche volta rompiamo, ne usciamo  fuori e pensiamo di aver trovato la chiave di volta al nostro malessere esistenziale, salvo poi renderci conto  che l’ordinario tutto sommato non ci dispiace e che la vita “comune”, con tutte le definizioni che possiamo  dare a questa parola, ci serve.  

Comune è il fatto che d’estate si cerca sempre altro, forse perché ci si sente più vivi e tutto è più colorato e  sensuale, si ha voglia di trasformanti. O forse è solo perché l’estate segna il principio della fine dell’anno,  quell’anno scolastico che io non riesco mai a togliermi di dosso, la pausa d’Agosto che mette in pausa tutto,  ci trasporta in altre terre, ci fa vivere altre vite e poi, velocemente ci tuffa nel nuovo principio settembrino del  “everything is gonna change”.  

Onestamente l’estate per me è nostalgia, poi grazie all’ausilio di Stranger Things lo è ancora di più (da figlio  degli anni ’90 cresciuto a Blockbuster e sale da giochi) quella serie non fa che trasportami dolcemente in un  tempo che non esiste, e che vorrei mi fosse appartenuto di più.  

Forse sono i quasi trenta, sono in procinto di avere quella crisi personale per la quale non sono più giovane,  ho smesso di essere un ragazzo e sono diventato un jeune homme, come mi appellano alcuni anziani qui in  Francia.  

Un uomo, giovane, ma pur sempre un uomo, quindi atto a comportarsi come tale.  

Vi dirò: mica male.  

Improvvisamente incomincio ad abituare il mio palato interiore a quel senso di libertà di essere oramai tutto  sommato compiuto, al fregarmene se non rispondo ad un messaggio, al non dover forzatamente dare  spiegazioni, al non scusarmi tanto per, allo stare solo quando ne ho voglia, al fumare in mutande in finestra  anche a mezzanotte, al cominciare a conoscere come funzionano i dottori ed i periodi di detox. Al dire non  c’ho voglia quando veramente non mi va di fare qualche cosa, al cedere alla pigrizia dell’agiatezza  utilizzando qualche soldo in più, perché diciamocelo: arrivare in aeroporto e prendere subito un taxi che ti  lascia sotto casa è un piacere profondo che ti fa sentire realizzato in una certa misura.  

Poi meglio ancora, il poter fregarsene di tante cose, primo per tutti forse proprio l’aspetto fisico, che diventa  con il tempo assoggettato ad un gusto talmente differente dall’adolescenza che quasi ti fa dubitare veramente  di te stesso. A 19 anni cercavo la perfezione, adesso il dettaglio della singolarità diventa motivo di attrazione,  l’imperfezione intesa come assenza di artificialità, di costrizione al canone ed alla moda, l’unicità dell’essere  quello che si è, punto.  

Ovvio, questo non è un elogio al disfacimento corporeo, io mi curo e ci tengo, però la bellezza si manifesta  in forme nuove e lascia dietro quell’ideale ingenuo di bello solo perché riporta ad altro, solo perché è acerbo.  

Certo la giovinezza è favolosa, magnifica e seducente, ma anche molto stupida. Bisogna saper mantenerla  solo nei termini dell’energia e della positività alla vita, caratteri che non andrebbero mai abbandonati. Ma  occorre poi farla crescere e maturare, così da trasformarsi in esperienza e quindi conoscenza di se stessi.  

Voi vi aspetterete che io finisca dicendo che ognuno è bello, che Tu sei bello o bella e che il piacere è  soggettivo e che “perché voi valete!” ( thanks L’Oréal) è verità. 

Assolutamente no, i brutti ci sono e come, poveri loro ma madre natura non sempre è gentile, e se si nasce  brutti, si rimane tali. Poi magari si è le persone più buone del mondo e tanto di cappello, però sta di fatto che  la vita sarà leggermente più difficile.  

Viva la bruttezza quindi, purché siano gli altri ad averla, a me piace pensare di non esserlo.  Che tanto poi, ognuno nel suo piccolo guardandosi allo specchio da solo, qualche volta ha pensato:  «ammazza che figo/a.»  

Dunque viva la fighezza soggettiva che non fa mai male, e se questa estate vi sentirete non molto belli,  pensate ha chi ritiene che il corsivo parlato sia la soluzione a tutto, è orrendo, eppure piace.  Come diceva il sommo maestro Nino Frassica: «Non è bello ciò che è bello, ma che bello, che bello, che  bello!».