CARLO CORONA
in molte città italiane il fenomeno degli artist-run spaces è preminente, anche se quantitativamente non sono in tanti. Per esempio, ci sono moltissime realtà gestite anche da giovani curatori e critici che sono nate con l’intento di concretizzare le prime esperienze professionali e poi, magari, di trasformare il progetto in una galleria.
Prima di andare a censire gli artist-run spaces, vale la pena raccontare qualcosa di altre ricerche, complesse e diverse da luogo a luogo, ma tutte riconducibili al vasto fermento in atto.
A Torino abbiamo, ad esempio, l’art project Treti Galaxie, un collettivo artistico e curatoriale il cui obiettivo è accompagnare la ricerca degli artisti rispettandone idee e progetti e supportandoli nel produrre e sviluppare mostre nella maniera più completa (1). Il nome del collettivo significa “terza galassia”, cioè un’altra realtà rispetto al mondo delle gallerie, delle istituzioni e degli spazi no profit, verso la scoperta della città e delle sue espressioni culturali e sociali. La ricerca intrapresa osserva in che modo l’arte possa avere il potere di rinnovare la vita di chi ne fa esperienza.
Una possibilità che il futuro potrebbe congiungere i nostri desideri e l’impegno artistico, nonché etico, politico e sociale, sarebbe trasferire l’artist-run space in uno spazio esterno alla città, dove poter ospitare artisti in residenza, stare a contatto con la natura e dove far fronte a future situazioni di emergenza. Una delle ricerche più sentite – in particolare da Mucho Mas!, un artist-run space anch’esso con sede a Torino e fondato da Luca Vianello e Silvia Mangosio – è rivolta alla metodologia di applicazione e al ruolo dell’immagine contemporanea. Mucho Mas! è uno spazio che espone artisti emergenti, italiani e internazionali, il cui l’obiettivo è mostrare uno «sguardo ampio, trasversale e critico della fotografia (2)» e in che modo il concetto di icona (3) stia subendo un processo di mutazione. Che cos’è il cambiamento? A quali direzioni ci porta?
Per esempio, le mostre si pongono ai confini della fotografia, sulla soglia di una rivoluzione collocabile nelle profondità non verbali. Mucho Mas! presenta un’indagine nel panorama della fotografia contemporanea, con un focus particolare su tutto ciò che muta e si trasforma. Sulla soglia tra interno ed esterno, tra pieno e vuoto, si espongono fotografie che si fanno sempre più astratte, non solo nel contenuto non figurativo ma nella loro essenza: l’immagine, ridotta a puro pixel, rappresenta la forma iconica di un nuovo linguaggio.
La fotografia è intesa come archivio, come documentazione, come ripetizione meccanica di ciò che non potrà ripetersi esistenzialmente, ma anche come trasformazione del soggetto in oggetto (4). In particolare, viene sottolineata la capacità della fotografia di andare oltre la semplice rappresentazione, integrando lo studium dell’immagine, individuato da Roland Barthes. Se l’immagine fotografica è un’emulazione della realtà passata, Barthes chiama punctum quell’elemento fondamentale, imprevedibile e dinamico, un dettaglio fatale nella foto, che ferisce, punge lo spettatore (5) . Infatti, si propongono artisti i quali indagano sull’infinita contrapposizione tra ciò che viene fotografato e la realtà, esplorando i confini tra realtà e finzione e quindi guardando fino a che punto le persone si fidano delle immagini la cui “realtà” è difficile da valutare. Questa modalità ci permette di comprendere in che modo l’immagine contemporanea fa riflettere sulla possibilità transitoria del linguaggio in una direzione dove scultura, pittura, video, performance si intersecano continuamente. Se le forme e i contenuti che si innescano, rafforzano o sminuiscono i confini tra fotografia e arte, anche il contesto è inteso a valorizzare la fotografia come opera d’arte.
Gli artisti proposti indagano elementi attraverso frammenti di mondo, post-produzione digitale e analogica, il che coinvolge il tutto in un processo discontinuo, continuo e produttivo per dare a ogni immagine una densità uniforme e completa che, in un secondo momento, interagisce con la realtà. Questa interazione rende la scultura, la pittura, il video, la performance e la musica un insieme intrecciato, dove forme e contenuti si innestano, mentre altre volte si rafforzano e altre si sminuiscono. La mimesi formale inganna l’occhio perché la dimensione contribuisce a cogliere un maggior grado di somiglianza con l’originale. A seguito di un meticoloso campionamento delle sfumature presenti nelle rappresentazioni, d’altro canto il processo produttivo ha sperimentato la reale capacità della materia di racchiudere l’imitazione.
Continuando troviamo Almanac, anch’esso a Torino, uno spazio no profit che opera con l’obiettivo di attivare un dialogo indirizzato alla comprensione delle ricerche artistiche recenti verso nuove modalità di pensiero, laddove le intenzioni sono prettamente incentrate verso un «cambiamento culturale attraverso collaborazioni creative (6)». Il nome Almanac si riferisce proprio a una temporalità, a una continuità e al susseguirsi delle stagioni: sottolineando l’interesse al rapportarsi al presente e farlo risuonare nei progetti.
Fondato da Guido Santandrea, Astrid Korporaal e Francesca von Zedtwitz-Arnim, Almanac ha trovato la sua prima sede nel quartiere di Dalston, a est di Londra. La volontà dei tre fondatori era di offrire uno spazio a giovani artisti per accrescere e per maturare le loro ricerche con un programma di mostre personali e un programma complementare di eventi che potessero articolare i contenuti dei progetti presentati e facilitarne la comprensione. Da allora sono state prodotte oltre cinquanta personali e il programma si è sviluppato chiedendosi quali fossero le urgenze e le tematiche di cui era necessario parlare (7). Le opere esposte dialogano con lo spazio attraverso la curatela e con interventi site specific di artisti intenti a valorizzare le opere all’interno del progetto espositivo. Invece, nella sua sede a Torino, Almanac ha iniziato a presentare un programma di due personali in parallelo, una con un artista internazionale e una con giovani italiani, spesso alla prima personale.
Le collaborazioni creative convergono in esposizioni spettacolari ed esperienziali attraverso opere che creano un agglomerato di spazi, reali e immaginari, in un’integrazione potenziale. Le esposizioni riportano una realtà in cui la visita diventa un processo di interazione tra il visitatore e gli oggetti. Il visitatore è protagonista, attivamente coinvolto a conoscere la propria interiorità. Differentemente dalle collezioni museali, spesso autoreferenziali, si sviluppano invece linee per un’evoluzione del contenitore in ambienti dinamici. Lo spazio dell’opera trasfigura l’ambiente in un complesso strumento con cui il pubblico viene completamente avvolto e inglobato sentendosi parte del tutto. Nelle mostre presentate, si affronta la vita dei materiali nella loro interazione attraverso pratiche e concettualizzazioni molto diverse che riguardano il contesto cosciente degli oggetti e la loro esperienza. Lo spazio espositivo diventa un contenitore per catene di attivazione del materiale. L’integrità e gli attributi riconoscibili delle sostanze sono messi in discussione da una metodologia inquinata dell’arte del paesaggio, creando stratificazioni che possono a malapena contenere la marea di idee visive. Le potenziali onde di associazione creano increspature, consentendo a sciami di diverse trame di emergere con i cambiamenti delle stagioni. Si costruisce così un’immagine dei materiali in cui lo spazio diventa una capsula atemporale attraverso atmosfere luminose e, talvolta, attraverso dialoghi e monologhi in sottofondo come se ci stessero salutando o accompagnando (8).
Affrontando questioni relative alla politica dell’identità, rappresentazione e visibilità, Almanac mira a esplorare e immaginare le possibilità di riconfigurare il reale. Una posizione di eguaglianza ed emancipazione è al centro al programma, attraverso tematiche legate a studi di genere, al contatto con l’altro, al rapporto tra soggetto e oggetto, sperimentando come l’arte possa ridefinire nuove relazioni tra soggetto e corpo, con l’ambiente e le norme che ne definiscono dinamiche e interazioni. Non mancano le linee di ricerca che collegano studi di genere, postcoloniali ed ecologia (9).
Gli ambienti di Almanac diventano dei mondi distorti che riflettono sul rapporto tra soggettività ed esteriorità che viene compromesso e ridefinito; da questo rapporto si instaurano nuove relazioni a partire da elementi esistenti, della loro realtà e natura e fittizie, mentre lo sguardo si addentra in una temporalità rovesciata di un paesaggio urbano. Queste visioni delineano una riflessione comunitaria che mira a localizzare la nostra posizione e la nostra relazione in uno spazio condiviso, prima che si perda la consistenza simbolica e figurativa della realtà.
Note:
1. Cfr. Treti Galaxie, About, in «Treti Galaxie», s.a., https://www.tretigalaxie.com/it/about/ (ultima consultazione 23 Luglio 2021)
2. Mucho Mas!, About, in «Mucho Mas!», s.a. http://www.muchomas.gallery/index.php/about/ (ultima consultazione 23 luglio 2021).
3. Dal gr. biz. εἰκόνα, gr. class. εἰκών -όνος «immagine». Cfr. Treccani, Icona, in «Treccani», s.a., https://www.treccani.it/vocabolario/icona/ (ultima consultazione 24 Luglio 2021).
4. Cfr. Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003.
5. Ivi.
6. Almanac, About, in «Almanac», s.a. https://almanacprojects.com/contact (ultima consultazione 24 luglio 2021)
7. Cfr. Dario Moalli, Osservatorio non profit. Almanac, in «Artribune», 17 febbraio 2019, https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/who-is-who/2019/02/almanac-spazio-non-profit/ (ultima consultazione 4 marzo 2022).
8. Ivi.
9. Ivi.