RAJA KHAIRALLAH X FRANCESCA VITALE
Raja Khairallah, nasce a Torino nel 1987, diplomata in scenografia all’Accademia Albertina di Belle Arti, lavora con la fotografia.
L’essere umano, oggetto della sua ricerca, è immortalato in una commistione di spiritualità e materialità. Sfruttando questa antinomia, la sua tecnica accosta il buio più totale alla luce estrema in un atto catartico che tende a decostruire l’idea di una visione chiara e distinta in una visione introspettiva della propria coscienza.
Francesca Vitale: Qual è stato il tuo primo approccio alla fotografia? La consideri una passione innata oppure prima di giungerci volevi intraprendere altre strade?
Raja Khairallah: Quando ero più piccola ero ossessionata dall’archeologia e dall’egittologia. Mia madre ha vissuto in Africa per diverso tempo lavorando con un gruppo di antropologi. Ho sempre ascoltato i suoi racconti e successivamente ho avuto la fortuna di poter viaggiare molto con lei. Possiedo a casa diversi manufatti di arte africana, oggetti antichi. Sono sempre stata attratta dalle maschere funerarie, dai feticci. La passione per la fotografia è nata proprio guardando alcune foto scattate da mia madre durante i suoi viaggi, così a quindici anni ho iniziato a fotografare anche io i luoghi che visitavo. Poi mi sono resa conto che preferivo vivere quei momenti ma, nel frattempo, la fotografia era diventata una parte importante di espressione per me, così ho iniziato a costruirmi i miei mondi, le mie storie e a fotografarli.
Negli ultimi anni ho iniziato anche a lavorare con il video che però nei miei lavori vedo come un’estensione di una fotografia, una sorta di foto in movimento.
F.V.: So che sei appassionata di cinema… C’è un film in particolare che potrebbe rappresentare te e la tua arte?
R.K.: Ce ne sono diversi, Lynch in generale con le sue atmosfere oniriche e surreali. Un film in particolare non saprei, probabilmente La vie nouvelle di Grandrieux.
F.V.: Qual è stata la tua più grande soddisfazione?
R.K.: Forse l’essere autodidatta. Il fatto di aver affinato nel tempo una mia tecnica partendo dall’errore. Negli errori ho trovato spesso le cose più interessanti. Non ho mai posto come limite la tecnica a discapito dell’istinto.
F.V.: Alcuni tuoi lavori sono al momento esposti, come li hai selezionati? E come scegli i soggetti da ritrarre?
R.K.: Cerco un’intensità dell’immagine, quando i corpi si trasformano in figure mostruose ma potenti e luminose.
Non amo fotografare soggetti che rispecchino il canone di bellezza contemporaneo ma che siano in grado di vivere liberamente la propria fisicità e che ne abbiano il pieno controllo.
F.V.: Hai un metodo in particolare per creare le tue opere? Come fosse un rito.
R.K.: Sicuramente partendo da una ricerca, oltre che della modella, anche dei materiali (tessuti e piccoli oggetti) e degli accostamenti di colore. Ho una vera predilezione per le calze da donna, quelle in nylon di quegli orribili color pelle, quelle che compri al mercato “due confezioni a un euro”; sono anche loro protagoniste nei miei scatti e sono diventate nel tempo i miei feticci, a volte usate come oggetto di seduzione arricciate su un piede, a volte buttate in un angolo riprendendo forme falliche, sono quasi nature morte, sono lì, ferme ma non arredano lo spazio, ne sono protagoniste insieme al soggetto ritratto.
Poi, sicuramente, c’è il lavoro nel momento dello scatto che invece serve a me per superare dei miei limiti.
È una sorta di meditazione; per quanto riguarda la fotografia c’è il lasciarsi andare, cosa che non faccio mai nella vita di tutti i giorni, scattare una foto che dura un minuto e non avere il controllo su ciò che sarà il risultato finale, l’aspettare, l’avere pazienza.
In molti lavori video la lentezza e la precisione in cui creo e muovo le forme intorno ai soggetti ripresi, di nuovo la pazienza ma in questo caso l’opposto che nelle foto, il controllo totale di ogni singolo movimento.
F. Quali sono, tra altri artisti, opere, film o libri, le tue più grandi ispirazioni?
R. Le ispirazioni arrivano da tutto, da un colore, da un odore, dalla nausea, da un paio di guanti di gomma, da un suono o un rumore, da una parola, dal feticismo per un oggetto. Quando progetto qualcosa di nuovo combino frasi, immagini e suoni che dal mio punto di vista hanno un collegamento e mi lascio ispirare. Il mito di Medea, da Euripide a Pasolini a Lars Von Trier, Eliogabalo di Artaud, Bataille, il Cristo velato di Sanmartino, le icone bizantine.