GOMMA AMERICANA

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LUCA RUBEGNI

Birth of a Nation theatrical poster – selected by Luca Rubegni

Caro Luca,  

è un vero piacere poter contribuire a far crescere questa rubrica. 

Desidero condividere alcuni ragionamenti che sono frutto di discussioni fatte tra più persone,  perciò, manterrò un tono impersonale. 

Sempre più spesso, le onde intransigenti della “cancel culture” vanno infrangendosi sul mondo  dell’arte, quasi a determinarne un’incompatibilità tra alcuni personaggi e la società odierna.  Potremmo usare tanti esempi, alcuni davvero altisonanti, ma in questa circostanza è più facile citare l’ultimo ed improbabile caso, Philip Guston. 

La polemica suscitata dalla sospensione della retrospettiva “Philip Guston Now” è un buon esempio per notare degli atteggiamenti, sempre più comuni negli organismi culturali, che difficilmente si sarebbero verificati anche solo vent’anni prima. 

Probabilmente, i direttori dei musei si erano allarmati di eventuali dispute, legate al gruppo di  dipinti parodistici sul Ku Klux Klan, consci anche delle recenti manifestazioni di movimenti quali  Black Lives Matter. 

Non a caso, la baraonda mediatica, verté perlopiù sul come potesse essere percepita da un  pubblico eterogeneo l’uso di immagini generalmente associate alla storia afroamericana, dipinte  da un pittore non di colore. 

Sottolineando, inoltre, il suo “appropriarsi” di quelle immagini; sebbene Guston fosse del tutto  giustificato, biograficamente, a fare dei riferimenti sul Klan. 

Il risultato plausibile è che questa censura preventiva abbia risolto qualunque eventuale  pregiudizio riguardo le immagini dei cappucci, liberando la mostra – quando aprirà – da future  diatribe etico-morali. 

Questo discorso non vuole aderire o condannare la decisione presa dai musei, bensì precisare  che i parametri con cui è stata posticipata l’esibizione non sono mai appartenuti all’arte fino ad  ora. Inizialmente, l’evento mirava a celebrare i cinquant’anni dalla prima esposizione, con cui  Guston tornò ad essere un pittore figurativo. 

Le immagini, anche a quel tempo, destarono grandi turbamenti. 

La differenza è che i forti dissensi si fondavano ancora su dettami estetici e formali; nessuno è  mai entrato nel merito delle sue scelte iconografiche, né se fosse legittimo per lui utilizzarle. Di solito la comicità permette agli autori di destreggiarsi anche in argomenti molto aspri, dando  per scontato che non si condivida, necessariamente, ciò che ė stato rappresentato. Eppure, la pungente ironia di Guston, non è bastata a salvarlo.  

CP 


Caro Cristiano,  

ti ringrazio fin da subito per aver deciso di condividere con me queste tue riflessioni riguardanti il  “Caso Guston”. So che stai per l’appunto svolgendo una ricerca approfondita su questo artista e  sulle dinamiche social-culturali che si sono venute a creare attorno a lui nell’anno passato.  Condivido appieno i tuoi interrogativi sul come il mondo dell’arte abbia adottato un certo  trasformismo ortodosso su questioni che un tempo erano quantomeno estranee al tessuto  culturale. Va precisato però che non è proprio una novità l’atto della censura nel mondo dell’arte,  in quanto, paradossalmente, è una prassi comune portata avanti da tutti quegli ambienti socialdemocratici che per paura di possibili incomprensioni mediatiche, eliminano ciò che non è  uniforme al pensiero di moda corrente. Ciò è dovuto molto probabilmente al precario equilibrio dell’ideologia democratica, che essendo composta da minoranze eterogenee che si uniscono e si  mescolano sotto valori piuttosto ampi, non trova mai una direzione unitaria e rischia sempre di  scontentare qualcuno per favorire qualcun altro. Da qui si crea una certa difficolta decisionale.  Come posso non offendere il movimento afro-americano, che al momento è il nervo scoperto  delle tensioni sociali occidentali, senza però adottare misure da regime sovietico?  

Probabilmente l’idea di rimandare la mostra di Philip Guston non è del tutto sbagliata, vista anche  la situazione globale che non permette di poter accedere ai luoghi della cultura come eravamo  abituati noi. Chissà se dietro alla decisone sensibile non si nasconda semplicemente un mero  calcolo economico; quanto perdiamo se inauguriamo queste mostre in giro per il mondo e poi per  via del Covid-19 nessuno o pochi vengono a vederle, rispetto al quantitativo numerico che ci  serve per guadagnarci doverosamente? 

Inoltre, caso curioso, la scelta di post-porre Guston a tempi migliori, ha fatto sì incendiare il  panorama culturale artistico occidentale, svelando un certo sbigottimento dinanzi alla scelta  presa, ma allo stesso tempo ha portato le quotazioni dei suoi quadri a schizzare verso le stelle,  spingendo numerosi collezionisti ad accaparrarsi molti suoi lavori. 

Per cui, se da un lato ha subito la beffa della censura, dall’altro chi ne cura i meri interessi  economici ne ha solo che beneficiato, a dimostrazione che l’arte trova sempre le sue strade per  manifestarsi. 

Detto questo, ovvio che non posso non essere indignato anch’io per la scusante attuata nei  confronti della sua non-mostra. Il fatto di non voler ferire in nessun modo il movimento Black Lives  Matter vista la presenza di alcuni uomini incappucciati di bianco, male si sposa con la biografia  del nostro pittore. 

Guston nacque a Montréal, ma la sua famiglia, e quindi lui stesso, erano ebrei ucraini fuggiti in  Canada a seguito dei pogrom russi di Odessa. Inoltre nel 1919, si spostarono a Los Angeles, dove  in quanto ebrei dell’est Europa, si trovarono a dover affrontare l’odio razziale del Ku Klux Klan  stesso. 

Perciò, se veramente nel nostro tempo si volesse parlare di cultura e di società in maniera seria,  Guston sarebbe l’esempio perfetto di come un individuo soggetto di persecuzioni razziali varie,  sia divenuto, grazie al proprio impegno e lavoro, uno degli artisti più influenti del secolo scorso. Ma chiaro che, oramai, certi discorsi non fanno più audience, meglio spostare l’attenzione sulle  masse inferocite. 

Piccola curiosità storica: 

Il ben noto Ku Klux Klan, all’origine non era proprio ideologicamente come lo conosciamo noi. Il  primo movimento nacque nel 1865, subito dopo la fine della guerra civile americana, negli stati  appartenenti alla ex Confederazione degli stati del Sud. Da notare come, all’epoca, il sud degli  Stati Uniti era democratico, in quanto il Partito era vicino alle cause dei grandi proprietari terrieri schiavisti; mentre il nord, generò l’attuale Partito repubblicano, antischiavista e borghese, che  partorirà poi Lincoln. 

Questo ci deve far riflettere su come nel corso della storia, le idee ed i loro contenuti, siano ad  appannaggio di chiunque, e la loro riappropriazione è sempre possibile, alterandone i colori o le  forme.  

Con ciò non voglio schierarmi dalla parte di nessuno, ma vorrei fosse possibile riflettere sul  concetto che abbiamo noi di verità, di opinione. 

Purtroppo avere un’idea pura e giusta, è praticamente impossibile, e il promuoverla come unica  direzione di verità, rischia di far rinascere atteggiamenti da regime totalitario. Occorre sempre  molta attenzione nel valutare le cose, nel capire quali siano i fatti antecedenti agli eventi e come si  possa analizzare e capire nel profondo ogni tipo di questione.  

È però un lavoro difficile, che richiede tempo e voglia di conoscere, per cui spesso è più facile  chiudere un occhio e accontentare chi strilla più forte. 

Cristina Campo diceva che «La parola, è un tremendo pericolo, soprattutto per chi l’adopera, ed è  scritto che di ciascuna dovremmo renderne conto», ed io non posso che non essere d’accordo  con lei.  

LR