UNA SPLENDIDA GIORNATA

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LUCA RUBEGNI

 «Splash!», non so perché eppure con l’arrivo di Giugno mi viene in mente la colonna sonora del Gabibbo su Striscia la Notizia, con quella pernacchietta simpatica per dichiara effettivamente l’arrivo dell’estate. E quanto ci è mancata l’estate!  

Tutto è più bello, più morbido, leggere e sognante come solo questa stagione piena di luce sa essere. Andare a mangiare “deux boules de glace” sulle rive della Senna e guardare i battelli carichi di turisti che passano mentre il sole si riflette sulle acque del fiume e sentirsi tutto sommato completi non ha eguali. In più anche il corpo fisiologicamente fa dei bei progressi; si mangia meno perché fa più caldo ed i cibi si  trasformano in frutte fresche, insalate, paste leggere, pesce appena appena cotto e poi vino fresco e spritz a volontà (a me piace con il Cynar per chi avesse curiosità e purtroppo qui a Parigi è quasi introvabile).  

Lo splash delle piscine e dei primi tuffi al mare suona però anche come la torta spalmata in faccia alla Giocanda che un simpatico costumista manifestante ha lanciato qualche giorno fa nel Louvre. Motivo del gesto attenzione e voglia di farsi vedere diranno i più; gesto di protesta contro la società corrotta e patriarcale che lucra sulla cultura, diranno i meno; momento der cojone lo direbbe mio padre che da buon romano ha l’occhio lungo e ne ha fatta d’esperienza nell’Urbe.  

Fatto sta che questa torta sul viso a lei nemmeno l’ha sfiorata, fortunatamente protetta da centimetri di vetro infrangibile che ne preservano lo stato e la salute. Però ci fa capire come colpire i simboli sia ancora il solo mezzo per destare un po’ d’allarme e far alzare le teste dai cellulari o staccarli dalle centinai di remote notizie che quotidianamente ci arrivano addosso, come una marea inarrestabile che ci travolge e ci sommerge (ora vedrete che non si potrà più portare una torta con se in aeroporto o in luoghi affollati, rischio terrorismo diabetico).  

La stessa torta in faccia sembra averla ricevuta, moralmente, l’Ucraina, che nonostante la guerra ha vinto l’Eurovision (unica vittoria certa forse fino a questo momento) e che ha l’amaro retrogusto di un bel pacco da parte dell’Occidente, che pur di non esporsi, regala il cioccolatino ma nasconde la mano.  

Ma si sa che la diplomazia è un’arma lenta e che la guerra su larga scala non la vuole nessuno, o forse pochi. Sta di fatto che ad oggi io non so quasi nulla di cosa realmente stia accadendo lì e l’interesse che la notizia mi aveva suscitato agli inizi, adesso quasi non mi tange più.  

A mio malgrado devo dire, e non senza rendermi conto dell’inumano essere che sono diventato, che tutto al giorno d’oggi è percepito in maniera distante, lontana, irreale. Uno spazio geografico calcolabile in kilometri ci separa dal conflitto bellico, eppure sembra appartenere ad una terra lontanissima, un mondo altro, diventa una voce che ogni giorno risuona nell’aria ma si perde in eco. Perché siamo troppo carichi di tutto ciò, troppo informati – e male per giunta -, tutto è velocissimo e nulla ha più davvero un peso, un’importanza.  

E tutti ne siamo responsabili.  

Non si tiri indietro con sdegno intellettuale lo snob radical che battendosi il pugno sul petto affermi il contrario: tutti siamo complici di questa ineluttabile carenza d’attenzione, di assenza di percezione rispetto al mondo. Dopo il Covid non ci siamo per nulla ricongiunti, ma bensì abbiamo accettato le lunghe distanze mentali. L’altro lasciamolo al di là, ch’è meglio.  

Nei prossimi articoli poi vi parlerò del mio viaggio ad Istanbul e di altre riflessioni estive che verranno nei mesi futuri. Nel frattempo, ovunque voi siate, se verso il vespro, un una giornata di piacevole Sole, vi trovaste per caso a passeggiare in solitudine nel caos delle grandi città, sparatevi il brano di Vasco che da il titolo a questo articolo. Esperienza nostalgica assicurata.  

Buon cornetto Algida a tutti.