AMBRA CASTAGNETTI X FRANCESCA VITALE
Ambra Castagnetti, classe 1993, è una giovane artista nata a Genova che vive e lavora a Milano.
Ha frequentato l’indirizzo di pittura e Visual Arts alla NABA per la quale ha presentato “Desert Dogs”, il suo cortometraggio di tesi curato da Adrian Paci. Tra le sue numerose mostre ricordiamo quella attualmente in corso, “APHROS”, alla Galleria Rolando Anselmi di Roma, e “Black Milk” all’Atelier Modigliani a Parigi. Tra quelle del 2020, “Angelus” a Palazzo Monti a Brescia e il group show “Ora che il ghiaccio è rotto, parliamo” allo spazio Rouge di Milano.
Per quanto riguarda le residenze, Ambra Castagnetti ha partecipato di recente al workshop de La Biennale a Venezia “Milk of Dreams”, curata da Cecilia Alemanni, con la sua installazione performativa “Dependency”.
Francesca Vitale: Ciao Ambra, ti ringrazio molto per aver accettato di parlare dei tuoi lavori e della tua arte, a me e ai nostri lettori. Guardando il tuo portfolio e pensando ai continui rimandi delle tue opere, mi viene spontaneo chiederti da che cosa ti lasci di più ispirare per le tue produzioni.
Ambra Castagnetti: Ciao Francesca, se dovessi rispondere di getto alla tua domanda, ti direi che l’ispirazione principale è per me il cinema e in generale il suo modo di comunicare per immagini e la sua impronta narrativa, che permette la creazioni di mondi possibili. Sono registi come David Cronenberg, Werner Herzog e Andrej Tarkovskij a ispirarmi maggiormente e quest’ultimo in modo particolare, avendo basato il mio scritto di tesi, che si concentra sulla logica della poesia, sul suo “Scolpire il tempo. Riflessioni sul cinema”.
Il mio lavoro si basava sul parallelismo tra la scultura e il cinema di cui parla Tarkovskij spiegando il suo modo di modellare la narrativa cinematografica scolpendo il tempo attraverso le immagini. In questo modo la logica della poesia si contrappone alla logica razionale creandone una terza non dimostrabile ma, attraverso il cinema, rappresentabile. Cose reali e di una reale logica possono essere collegate tra di loro attraverso connessioni poetiche e lunghissimi piani sequenza, come Tarkovskij fa in “Stalker” o in “Nostalghia” ad esempio.
F.V.: È affascinante il modo in cui alcuni registi riescano a far si che sia il tempo stesso personaggio e protagonista del film. Mi fai pensare a quando Antonioni in “Cronache di un amore” rappresenta attraverso il tempo che scorre, il luogo di un incontro mai avvenuto. L’uomo non è rappresentato perché non è lui ad essere il protagonista della scena.
A.C.: Esattamente. Questa logica del tempo nella rappresentazione a immagini l’ho poi sviluppata nel cortometraggio “Desert Dogs”, in cui la narrativa è presentata non tanto con trama e parole, quanto più con sensazioni e atmosfere. Ho capito e messo in pratica non solo i tempi di pausa, ma anche i silenzi e il vuoto.
F.V.: In una delle frasi viene detto “Everyday we woke up and it was a new day and at the same time it was a always same day”; mi fa venire in mente la differenza tra tempo ciclico e tempo lineare in cui al primo viene attribuito l’immagine della cultura dell’antica Grecia, in cui la vita dell’uomo si basava sul tempo ciclico della natura, che è infatti considerato il tempo dell’eternità…
A.C.: Io vedo infatti, nel tempo cronologico quello ciclico. È interessante il pensiero del tempo dal punto di vista religioso, quindi prenderlo sotto una visione fatalistica, soprattutto pensando invece a quanto sia differente questo pensiero in altre religioni e in filosofia, ad esempio quella buddista, in cui il tempo è sempre circolare (concetti come il karma o la reincarnazione).
F.V.: Il tuo relatore di tesi e curatore di “Desert Dogs” è stato un grande dell’arte contemporanea, Adrian Paci. Come è stato lavorare con lui?
A.C.: Lui è diventato per me una figura di riferimento. Oltre che per “Desert Dogs” , chiedo spesso a lui consigli per i miei lavori, mi aiuta molto. Per quanto riguarda il cortometraggio, le riprese sono state tutte realizzate da me. Andavo a trovare Paci circa una volta al mese e avvenivano sempre bellissime conversazioni e discussioni sul lavoro. Avevo inizialmente circa quattro ore di girato e con i suoi consigli e ai suoi indirizzamenti sono riuscita a editarlo al meglio.
Sono riuscita alla fine a ottenere proprio quello che volevo: una narrazione non cronologica, ma dialogica tra i diversi elementi.
F.V.: Parlando invece in senso più tecnico, come ti relazioni e selezioni i vari elementi che si ritrovano nelle tue opere scultoree e nelle tue installazioni?
A.C.: In generale sono tutti oggetti che trovo lungo la mia strada. L’interesse per il mondo animale e vegetale è molto forte; è quindi molto comune che io trovi oggetti che mi potrebbero servire, da una passeggiata nel bosco a, per esempio, una visita in un mercatino.
È forte la connessione con il mio privato. Durante il mio processo di ideazione dell’opera guardo e uso oggetti che ho intorno, da casa mia, al mio studio. Mi interessa creare relazioni di causa-effetto tra le cose, accostando elementi che in natura non si incontrerebbero mai, creando sempre una nuova fiction. Nei serpenti che avvolgono i corpi a loro volta stretti dalle corde, ci rivedo l’alternanza tra vivente e non vivente. Il corpo diventa scultura e l’oggetto inanimato, tramite un’automazione prende vita. Le categorie possono cambiare, si può attribuire un’anima agli oggetti. Un altro forte interesse lo ritrovo nello studio dell’antichità in cui l’uomo ragionava tramite un pensiero animista e il corpo si poteva trasformare in qualsiasi cosa o oggetto. Attribuisco a questo passaggio la fluidità del mondo, gli atomi in continua relazione tra di loro.
F.V.: È per questo motivo che scegli spesso il serpente, animale fluido per eccellenza sia per la sua configurazione estetica, che per il suo cambio pelle?
A.C.: Certo! anche se non lo considero come rappresentazione della natura, in realtà o ne attribuisco un simbolismo particolare: lo vedo più come una presenza. Nel mio immaginario, il serpente è l’insieme di spine dorsali che si avvolgono e contorcono, che possono costringere o liberare.
F.V.: Tra le tue opere che ho visto, mi è rimasta particolarmente impressa “Anika”. Me ne potresti parlare?
A.C.: Con “Anika” è stata la prima volta che ho inserito una ceramica in un’installazione. L’ho realizzata ispirandomi a un geode che avevo trovato nel deserto del Sinai durante le riprese di “Desert Dogs”. L’inserimento dei cuscini e dello specchio è infatti dovuto anche all’immaginario delle dune e delle allucinazioni perenni che provoca il deserto, con la perdita di punti di riferimento e di controllo sullo spazio e le forti variazioni climatiche.
F.V.: Tra le tue ultime inaugurazioni e lavori c’è la mostra nella galleria di Rolando Anselmi a Roma lo scorso 23 Ottobre e La Biennale College Art workshop 2022. Mi racconteresti i lavori che hai presentato?
A.C.: Il titolo della mostra da Anselmi è “Aphros” e raccoglie un po’ in sé tutto il significato delle opere. Il termine infatti sta ad indicare la schiuma del mare nella mitologia greca dalla quale nasce Afrodite. La materia da cui possono crearsi le forme, è allo stesso tempo potenza e assenza della stessa; questo è il concetto che si lega maggiormente alla scultura mentre, per quanto riguarda le tecniche, ancora una volta mi sono lasciata ispirare dall’antichità, usando le due tra le metodologie più antiche: la fusione al bronzo e la cottura della ceramica. Oltre a un pannello che è l’insieme di cinque tavole lavorato tramite patine, ho presentato “tauromachia”, riprendo la tecnica antica del calco delle ossa. Infine ci sono lavori scultorei con ancora una volta la figura del serpente che richiama al senso di costrizione e dominazione del corpo. Proprio in questo ultimo concetto si trova poi il collegamento con il mio lavoro pensato per la Biennale per il quale sono partita da un testo di Nancy Scheper Hughes. Quest’ultimo si concentra sul concetto di incorporazione attiva delle costrizioni societaria, ossia il modo in cui, chiunque può liberarsi da costrizioni pre-impostate attraverso la consapevolezza di quello che ci sta accadendo. Nell’istallazione performativa che ho realizzato i corpi vengono infatti attivati dalle sculture e viceversa.