PREDA O CACCIATORE NON MI INTERESSA, MA SVUOTA LE TASCHE!

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LUCA CECCHERINI X FEDERICO PALUMBO

L’iconicità di un’immagine spesso è tutto. Soprattutto nell’arte. Con questo termine intendo parlare di quella forza e di quell’impatto che decreta il completo funzionamento percettivo e ‘concettuale’ di un’immagine, anche a distanza di tempo e di luogo dalla nascita della stessa. Capace di resistere, insomma, al giudice più stronzo che ci sia: il tempo. E dunque alla morte.  

Spesso viene (giustamente, a mio giudizio) citata l’immortalità dell’arte. L’immagine che essa plasma del suo corpo è infatti fuori dal tempo poiché, puntando tutto su quell’iconicità di cui si parlava poca fa, può permettersi il lusso di andare oltre la narrazione e al di là quindi delle categorie stagnanti che ancorano l’anima dell’opera, svicolandosi dalle assegnazioni di un ruolo inversamente secondario: specchio di un tempo. Preciso e finito. E soprattutto per sempre quello. 

Essere specchio del proprio tempo è comunque caratteristica importante, che spesso decreta la buona riuscita di un lavoro. Ma non è il fine ultimo; o comunque non l’unico. Ecco che l’insieme delle cose è il mezzo con il quale l’opera può arrivare al suo grado massimo.  

Luca Ceccherini, Il sonno del Santo, 35 x 35 cm, olio su tela – courtesy dell’artista

“Generalmente lavoro con immagini appartenenti ad un iconologia culturalmente condivisa, elementi iconici depositati in un retaggio comune e senza tempo. Riferendomi ad immagini religiose o di tradizione vado a lavorare su specifiche simbologie, con l’obbiettivo di privarle inizialmente del loro valore letterale. L’immagine così scomposta perde la specificità della propria narrativa culturale, restando al tempo stesso sia un simbolo riconosciuto sia un contenitore per nuovi significati.  

Il mio interesse sta nel ricercare un’immagine che sia in grado di poter sopravvivere  indipendentemente dal suo precedente significato, trovando al tempo stesso nuove tracce e nuove coordinate, in un differente ordine narrativo. 

In un processo di questo tipo l’accostamento di più immagini diventa una componente  fondamentale alla formazione di un nuovo glossario simbolico, che trova comunque le sue radici in un passato arcaico e indefinito”.  

Descrive così Luca Ceccherini il proprio lavoro. Saltano immediatamente all’occhio alcuni elementi: la ricerca e la rielaborazione, attraverso l’esportazione, di un’iconicità simbolo e fuori dal tempo, in grado di caricarsi sulle spalle il peso del passato (la sua riconoscibilità) e quello di un presente-futuro (la sua rielaborazione e dunque la nuova vita che acquisisce qui nel nuovo ordine narrativo). Anche l’elemento della narrazione è allora particolarmente interessante: il prelievo, dicevamo, di elementi iconici del passato fa sì che la frattura con la narrazione primaria e originaria sia ora insanabile. Senza però quel grado tragico che appesantirebbe il tutto. Nuovamente, quindi, la narrazione: ora questi simboli si offrono a inediti discorsi costruibili, nati sul terreno fertile di quella frattura di partenza che si libera dal “peso retorico” originario. Ecco  quel nuovo glossario simbolico del quale l’artista parla. 

L’iconicità, per noi italiani e per Ceccherini, aretino di nascita, altro non è che il costante confronto con il bagaglio di storia dell’arte che da sempre ci accompagna. Mi torna ora in mente la  differenza fra la Pop Art americana e quella italiana (sempre che riusciamo a farci andare bene questa etichetta molto labile). Gli Stati Uniti, paese dalla storia molto più giovane rispetto alla nostra, guardando indietro alla ricerca di simboli iconici può solamente trovare le grandi dive del cinema, la Coca Cola o altri elementi provenienti da quella società di massa che l’ha resa grande. Molto diverso dal procedimento italiano: i simboli identitari sono per noi il David di Michelangelo, il  Colosseo, la Venere di Botticelli. Insomma, la storia dell’arte e la grande iconografia ad essa legata.  

Lungi da me assimilare la pittura di Ceccherini al discorso pop, anche perché il suo lavoro si muove in direzioni diametralmente opposte, e la pasta della pittura sopra le sue tele ne è un chiaro esempio. Provo però a comprendere la fascinazione verso artisti come Paolo Uccello e Piero Della Francesca. Scrivevo così nel ‘foglio di sala’ per la mostra Saluti dal Confine: “Luca  Ceccherini all’interno delle sue opere (Ritratto in adolescenza, 2021; Cinta muraria, 2021) ‘rivisita’ la celebre Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. La ripresa storica del conflitto ‘di confine’ tra senesi e fiorentini diventa qui pretesto per dipingere. Ancora, la battaglia svuotata da ogni connotazione storica è intesa come matrice primaria che spinge il gesto pittorico e la stessa citazione a Paolo Uccello, fonte dalla quale attingere per l’artista, insieme a Piero Della Francesca,  è confine effimero fra passato e presente. La scelta di confrontarsi con immagini iconiche, pensate appositamente per essere inserite in un contesto di avvenimenti narrati, permette all’artista di operare per sottrazione.

Luca Ceccherini, Fuga, 235 x 170 cm, olio su tela – courtesy of the artist

Frammentando le immagini trattate in una costellazione di elementi, Ceccherini va a creare una linea narrativa che si manifesta esclusivamente per accostamento di idee. Inserire o evidenziare un elemento di lettura interno di un immagine permette così di rendere accessibile e riconoscibile il contesto da cui è stata estrapolata, evidenziando il tracciato iconologico a cui essa appartiene”. Ecco che anche la costellazione si  inserisce all’interno della sfera narrativa di cui si è già parlato in precedenza. Tele di diverse dimensioni sono pensate come serie da fruire insieme, quasi come vignette di una stessa storia (inedita) da far scorrere una dopo l’altra. Non si sta ovviamente parlando di un ordine narrativo ‘preciso’ e quindi didascalico; le opere, infatti, rispondo esclusivamente all’esigenza di formulazione di una nuova narrazione iconica e immaginifica. 

Anche la copertina che ha realizzato per noi e che inaugura il mese di luglio è solamente una ‘parte’ dell’insieme. Che funziona sì singolarmente, ma che è comunque pensata per essere affiancata ad altri elementi. Ecco emergere il tema della caccia: Ceccherini mi parla infatti delle sue ultime fascinazioni che in questo periodo si stanno facendo sempre più evidenti.  

“L’immaginario visivo legato alla caccia si accosta ad elementi magici, che presuppongono uno scenario da dominare, attraverso arti dell’inganno più o meno misteriose e invisibili, arti implicite nella pratica della pittura. La posta in gioco è quella della presenza: possibilità di presenza dell’immagine; presenza stessa, tout court. Un’idea, insomma, che molto si accosta alle simbologie arcaiche e alla visione di magismo dell’antropologo italiano Ernesto de Martino. Le immagini simboliche in questo caso diventano vere e proprie icone della presenza in grado di esercitare così la propria affermazione.  

Si tratta di uno scenario in cui i ruoli oscillano continuamente: cacciatori e cacciati, predatori e prede, termini che in pittura si traducono in una rete di strategie costellata da trucchi e da sottigliezze; da apparizioni e da dissimulazioni. Una sorta di gioco tramite il quale il pittore e l’immagine entrano in dialogo”.  

Luca Ceccherini, Fuoco, 40 X 40 cm, olio su tela – courtesy of the artist

Ecco rendermi conto di una cosa in particolare: il macro tema della caccia è forse onnipresente nel lavoro di Ceccherini e assimilabile alla sua pratica in generale. Nelle ultime opere, dicevamo, è tema narrativo. Mentre nelle altre è comunque utilizzato come modus operandi. Ecco che il prelievo e la rielaborazione hanno al loro interno (fisiologicamente) una doppia natura di giochi d’opposti, riconducibili alla caccia: apparizione e dissimulazione; agguato e protezione; scippo e conservazione. Insomma, speculazione critiche o meno, sembra trattarsi di una pratica assimilabile alla pittura – e in particolare a questa – e Ceccherini, inconsapevolmente o meno, la lascia libera di azionarsi e manifestarsi. 

Teniamo conto adesso di un’altra cosa: “gli studiosi di cultura visuale – pur nella varietà dei loro approcci metodologici – condividono la convinzione che il senso di un’immagine non sia mai dato una volta per tutte, né possa essere ricondotto alla sola intenzione autoriale, ma scaturisca di volta in volta dall’incontro o dallo scontro di molteplici fattori: la picture come oggetto sensibilmente percepibile e intersoggettivamente accessibile; le intenzioni dei produttori e dei committenti; le condizioni storiche, geografiche e in generale culturali della ricezione; le cornici istituzionali e i discorsi che si elaborano intorno alle immagini; la dimensione mediale della produzione, manipolazione, trasmissione e distribuzione degli oggetti iconici; le caratteristiche dei fruitori (che a loro volta possono riutilizzare una medesima immagine per usi differenti da quelli per i quali era stata realizzata, risignificandola)”(1). Sulla base degli ‘ultimi’ studi dei visual cultures comprendiamo facilmente la libertà che le immagini interiormente possiedono e l’ampio respiro che possono donare al fare artistico. Altrettanto bene capiamo la possibilità d’azione che l’artista possiede di fronte ad esse.  

L’immenso e traboccante vaso della storia dell’arte è lì ben visibile agli artisti. Questi ultimi possono prendere e lavorare con ciò che più gli pare. Non senza un grado aggressivo, forse figlio di quell’istinto da cacciatore (che è al tempo stesso preda di quelle stesse immagini che gli provocano interesse) che lo spinge a saccheggiare il mondo iconografico. 

Luca Ceccherini, allora, si muove in questa giungla pronto a intrappolare la preda, conscio del fatto che, un giorno, potrebbe essere lui a cascare in trappola. Perché in fondo si sa, è questa una delle più grandi forze delle immagini e dell’arte.

Luca Ceccherini, Pavone bianco, 30 x 30 cm, olio su tela – courtesy of the artist
Luca Ceccherini, Dente di leone, 30 x 30 cm, olio su tela – courtesy of the artist
Luca Ceccherini, Rose, 30 x 30 cm, olio su tela – courtesy of the artist
Luca Ceccherini, Vreccale, 30 x 30 cm, olio su tela – courtesy of the artist

 Note:

(1) A. Pinotti e A. Somaini, Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Einaudi, Torino (2016), p. 224.