LA PAROLA D’ORDINE È COLLABORAZIONE

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SPAZIO INFERNOTTO X FEDERICO PALUMBO

Sempre più spesso è facile entrare nei discorsi che riflettono la situazione artistica attuale sostenendo che “la pandemia ha fatto sì che si creasse effervescenza, molto spesso proposta da realtà che (ri)partono dal ‘basso’, indipendenti”.

Quanto sia vera questa frase non lo so. So però che in parte, a questa cosa, ci credo molto. Basti pensare a Torino, la nostra città, e alle realtà che subito dopo il primo lockdown sono emerse. Non lo abbiamo mai nascosto: il Covid-19 è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche per Osservatorio Futura. Oltre noi, però, gli amici di ViaGulli37; Ventunesimo – che ancora non abbiamo avuto il piacere di conoscere di persona -; e Spazio Infernotto, con il quale si è instaurato un rapporto di cooperazione che ha visto l’uscita di diversi articoli di approfondimento nel corso di questi mesi.

D’altronde, questo tema di fioritura di spazi indipendenti sul territorio è davvero argomento di dibattito. L’altro giorno Raffaele Cirianni – artista con cui collaboriamo – sosteneva proprio questo. È lui, insomma, che mi ha messo la pulce nell’orecchio. E che mi ha fatto ragionare: quattro progetti nuovi, inediti, indipendenti, volti alla valorizzazione degli artisti più giovani, con caratteristiche ben strutturate e diverse tra loro, non sono pochi. Ed è, soprattutto, un segnale.

Spazio Infernotto è sicuramente uno degli spazi che più ha subito il peso derivato dalle varie chiusure. Come leggerete fra poco si sono però sapute destreggiare tra un dpcm e l’altro. La stessa artista in mostra, Francesca Mussi – tra l’altro milanese e non torinese – ha raccontato delle difficoltà anche proprio di spostamento, date dal periodo.

È vero, tutti abbiamo subito il contraccolpo della pandemia. Ma chi, come noi (e per noi intendo in generale i progetti e gli spazi giovani) oltre a questo deve anche fare i conti con problematiche che ci trasciniamo da anni dietro, come e cosa dovrebbe fare per reagire davvero e poter sopravvivere?

Sembrerà una domanda quasi stupida. E alcuni potrebbero rispondere “Bè, inaugurare un progetto artistico in questo periodo è da pazzi, e siete cretini voi, quindi beccatevi le chiusure”; altri, invece, potrebbero confortarci dicendo di tenere duro “che tanto anche le gallerie storiche sono chiuse, e prima o poi si ripartirà”. Di conseguenza mi chiedo se siamo semplicemente pazzi o se ci piace lamentarci. Forse, in realtà, non è nessuna delle due cose.

Forse siamo semplicemente stufi e vogliamo lavorare. Senza dover elemosinare spazi che in realtà dovrebbero spettarci. Pandemia o non pandemia. Sistema o non sistema.

Quindi sì, l’apertura di questi quattro progetti (ricordo, parlo qui solo di Torino, ma si può allargare il discorso anche ad altre realtà e città, per fortuna) è sintomatico. Ed è una reazione fisiologica. Sta a noi non chiuderci in noi stessi.

Nell’intervista che segue, concludendo, ben emerge il nodo della questione, il punto nevralgico e la base dalla quale ripartire se davvero vogliamo sopportare tutti i problemi esterni a noi, che vanno dal Covid-19 al più duraturo virus del sistema artistico logoro ed elitario che ha colpito molti soggetti a noi vicino. Stiamo parlando della collaborazione. E non una cooperazione fine a sé stessa; ma sentita, partecipata, attiva. Viva.

Insomma, il tempo è galantuomo e più avanti capiremo se tutti noi siamo stati soltanto una reazione immediata e fine a sé stessa, oppure una risposta strutturata per la creazione di una nuova, fluida, strada da poter percorrere da noi giovani.


Ristrutturazione dello spazio, 2019 – courtesy Spazio Infernotto

Federico Palumbo: Ci siamo conosciuti in pieno lockdown. Ricordo che lo spazio era stato appena aperto. Una prima uscita durata molto poco a causa della pandemia. Per non rimanere in preda agli eventi esterni, e quindi con le mani in mano, avete iniziato a pubblicare sulla vostra pagina micro approfondimenti e soprattutto opere di diversi artisti emergenti. Viene dunque da pensare che stesse iniziando a “costruire una schiera di artisti di fiducia”, che potenzialmente potevano essere i protagonisti delle successive mostre all’interno del vostro spazio.

Di conseguenza, vi domando innanzitutto una cosa: come mai avete scelto Francesca Mussi per (ri)partire con la vostra programmazione? Credo che la scelta di un artista piuttosto che di un altro sia davvero importante, nonché determinante, soprattutto in un periodo come questo, fatto da lunghi stop e frenetiche ripartenze.

Spazio Infernotto: Sicuramente l’apertura di Infernotto non è stata delle più fortunate, tuttavia i momenti di stallo obbligato ci hanno dato il tempo per riflettere su quello a cui vogliamo lavorare e su quali sono i nostri obiettivi. Essendo uno spazio appena nato, l’unico modo per mantenersi produttive era attivarsi digitalmente proprio per poter intrecciare nuove sinergie e connessioni con una cerchia di artisti di cui ci interessava la ricerca. Sentivamo la necessità di interagire con giovani artisti, lasciando loro la possibilità di presentarsi e raccontarsi con dei takeover tramite la nostra pagina Instagram.

Una delle artiste contattate è stata Francesca Mussi, con la quale fin da subito abbiamo instaurato e mantenuto un contatto. La sua ricerca e la sua sperimentazione ci ha incuriosito, in particolare la sua attenzione riguardo gli spazi in cui espone e lavora. Una connotazione importante per noi, infatti, è la possibilità di interagire con le accezioni particolari del nostro spazio. Quando Mussi ci ha parlato del progetto Heloise, ci è sembrato che potesse rispecchiarsi perfettamente con Infernotto.

FP: Francesca Mussi, all’inizio delle nostre conversazioni, mi raccontò infatti che la fisionomia del vostro spazio, viscerale e sotterraneo, è stata determinante e decisiva per decidere di realizzare la mostra. Effettivamente, quando anch’io sono riuscito a vederlo per la prima volta dal vivo, mi sono resto conto di cosa intendesse dire l’artista. Lo spazio è bellissimo, ma molto particolare. E anche difficile da gestire. Un’arma a doppio taglio insomma. Come vi rapportate con il vostro spazio e com’è nato l’allestimento per la personale di Mussi?

SI: Infernotto è nato direttamente dalle nostre mani. Una volta capito che avremmo potuto definirlo e ristrutturarlo completamente, abbiamo impiegato molte delle nostre energie nel rinnovarlo. Non volevamo cancellare i suoi tipici tratti distintivi, infatti ancora oggi mantiene gli aspetti viscerali e sotterranei di una cantina. Noi stesse siamo consapevoli dei limiti dello spazio, tuttavia cerchiamo di valorizzare queste sue uniche connotazioni, invece che ridurle solamente a vincoli da nascondere.

L’interazione con Mussi è iniziata a partire dall’estate 2020. La progettazione della mostra è stata inizialmente online, in partenza è stato davvero difficile determinare l’allestimento definitivo. L’inaugurazione di Youre the same as me era prevista per novembre, purtroppo però, poi rimandata al febbraio successivo. Proprio per questo motivo l’organizzazione ha subito vari blocchi e abbiamo percepito parecchio sconforto.

La preparazione della mostra è stata quindi altalenante e proprio durante quei mesi di chiusura abbiamo rimesso in discussione l’allestimento. La progettazione effettiva si è concretizzata solamente quando tutte siamo arrivate a Torino. Unico momento in cui la comunicazione è stata consistente ed efficace in relazione allo spazio. Mussi ha riconsiderato l’iniziale progetto, aggiungendo riflessioni e opere inedite. E solo in questo modo è riuscita a percepire l’essenza di Infernotto, appropriandosi di elementi che raccontavano la storia del posto per convertirli con nuove caratteristiche uniche.

Prove di allestimento, ”You are the same as me”, Infernotto, 2021 – courtesy Spazio Infernotto
Prove di allestiemento ”You are the same as me”, Infernotto, 2021 – courtesy Spazio Infernotto

FP: Un altro aspetto che mi incuriosisce molto è sapere che tipo di rapporto avete instaurato con Francesca Mussi e, più in generale, con gli artisti con cui lavorate. Credo che il rapporto umano, e soprattutto la complicità, siano importantissimi per lavorare al meglio, soprattutto quando si va a realizzare una mostra. La vostra stessa struttura è tra l’altro complessa: siete curatrici, ‘galleriste’, direttrici di uno spazio indipendente, o tutte queste cose insieme? O altro? Come vi posizionate all’interno di queste (innumerevoli) etichette?

SI: Il rapporto che abbiamo instaurato con Francesca Mussi sin dall’inizio è stato un confronto alla pari, in cui si riuscivano a condividere riflessioni e interessi reciproci in maniera molto spontanea. Lei è una persona molto dinamica e sicuramente la sua forza propositiva è servita in questi periodi di incertezze.
La modalità di lavoro che abbiamo intrapreso ci ha permesso di riflettere molto sul progetto. Abbiamo sperimentato insieme in modo libero e impulsivo, valutando alla fine la soluzione allestitiva più convincente. In generale vorremmo che si potesse costruire una sana cooperazione caratterizzata da una sincera comunicazione tramite un dialogo aperto. Considerando che comunque tutte le nostre collaborazioni partono sempre dall’interesse e stima che nutriamo per l’artista.

Facciamo difficoltà a definirci con le classiche etichette o ruoli standardizzati. Siamo un team estremamente eterogeneo, possediamo tutte e tre differenti esperienze nel contesto artistico, ma riusciamo sempre a fondere insieme le nostre competenze per gestire ricerche e progetti.

FP: Visto che siamo in tema: siete dunque un team eterogeneo che, finita l’Accademia, hanno deciso di aprire uno spazio indipendente a Torino. I rischi che una scelta del genere comporta li conosciamo benissimo tutti. Quindi vorrei piuttosto sapere quale necessità vi ha spinte nell’intraprendere una scelta professionale del genere. E in che cosa si differenzia il vostro progetto dal resto. Insomma, la vostra visione e missione e i vari step che – anche solo idealmente – Spazio Infernotto dovrà eseguire nel corso del tempo.

SI: Inizialmente eravamo unite dal desiderio di avere uno spazio tutto nostro. Volevamo avere un luogo in cui sentirci libere di sperimentare e maturare, dato che in passato anche noi avevamo difficoltà a trovare luoghi in cui potessimo portare avanti un nostro progetto effettivo. Desideravamo in fondo avere solo un posto per dare modo a noi e ai giovani artisti di esporre, anche per la prima volta.

In futuro vorremmo poter cooperare più concretamente con altre entità artistiche. Sviluppare interazioni costruttive e significative. Magari programmare conversazioni e invitare giovani curatori a collaborare. Inoltre desidereremmo creare sincere sinergie con realtà torinesi, ma non solo. Lavorare in parallelo con loro in modo da organizzare degli eventi dislocati per la città. Ci interessa notevolmente avere la possibilità di crescere, partecipare e costruire uno scambio di conoscenze per poter apprendere dalle esperienze altrui.

FP: Questo desiderio è sicuramente presente in noi, ma crediamo ci sia anche in diverse altre realtà. Di conseguenza, speriamo davvero si possa ragionare maggiormente, da qui in avanti, in ottica di cooperazione e collaborazione.

Come si diceva all’inizio, siete uscite durante un periodo pessimo, scaglionato da lunghissimi periodi di stallo e pochi (e brevi) momenti di riapertura. Quanto è stato snervante, per voi e per l’artista, lavorare in queste condizioni? E, soprattutto, come vi proiettate verso il futuro? Avete già una programmazione più strutturata o qualche progetto da anticiparci?

SI: La situazione pandemica attuale non permette di immaginare scenari migliori nel futuro immediato. E di conseguenza tutti i nostri progetti hanno subito un rallentamento. Ma siamo determinate a portarli avanti, continuando a lavorare. Questo l’abbiamo compreso soprattutto durante l’organizzazione della mostra di Mussi. Oramai è da poco più di un anno che siamo aperte e ci sentiamo di dire che vorremmo poter continuare a mantenere i rapporti con gli/le artisti/e che abbiamo avuto il piacere di conoscere quest’anno; come quando abbiamo realizzato delle mini-interviste insieme ad alcune di loro sulla nostra pagina Instagram. Attualmente non abbiamo una programmazione fissa e definitiva. Tuttavia per la prossima mostra vorremmo interagire con più artisti, per questo ci stiamo dedicando ad una collettiva in previsione dell’estate.

FP: Domanda banale, ma forse non troppo: siete contente del risultato della mostra di Mussi? Insomma, vi piace la mostra?

SI: Data la difficoltà del momento siamo soddisfatte di essere riuscite a portare a termine la programmazione e siamo state estremamente felici del riscontro che ha avuto la mostra. Mussi è riuscita a portare ad Infernotto un progetto eclettico e inclusivo, e di questo le siamo notevolmente grate.

”The same as me” 2021, Foto Installazione, Infernotto, 2021 – courtesy Spazio Infernotto
”The same as me” dettaglio, 2021, Foto Installazione, Infernotto, 2021 – courtesy Spazio Infernotto
”Heloise” 2019-2021, Foto Installazione Infernotto, 2021 – courtesy Spazio Infernotto
”Heloise” 2019-2021, Foto Installazione Infernotto, 2021 – courtesy Spazio Infernotto