FEDERICA MARIA GIALLOMBARDO X LIDIA FLAMIA
Federica Maria Giallombardo, classe 1993, si laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi di ricerca di Filologia Italiana sull’epistolario di Vittorio Alfieri.
Collabora con la Fondazione Centro Studi Alfieriani e con Palazzo Alfieri. Si occupa di critica d’arte e di curatela contemporanea, scrive per Artribune, Arte e Critica e presto anche su Limina.
Attualmente collabora con l’artista Agostino Arrivabene al progetto editoriale Dante SettecenTO del Comitato Dantesco di Torino.
Lidia Flamia: Nel 2016 ti sei laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi di ricerca di Filologia Italiana sull’epistolario di Vittorio Alfieri. Attualmente sei curatrice e critica d’arte. Quanto incide la tua formazione letteraria nell’ottica dell’analisi critica delle opere d’arte contemporanea?
Federica Maria Giallombardo: Nell’esperienza estetica, in ogni arte sono contenute, attraverso la memoria, tutte le altre arti. Quando scrivo un testo critico, penso alla maniera grazie alla quale l’idea potrà fissarsi nel testo. Il potere della parola scritta è illimitato, eternizzante e nobilitante:
proprio per questo dovrebbero occuparsi di critica d’arte solamente coloro che la considerano non esclusivamente un modo di sentire e di pensare, ma anche un vero e proprio genere letterario.
Parecchi critici sono innanzitutto dei brillanti scrittori; un’arma a doppio taglio nel momento in cui la parola si svende per descrivere un’opera che non ne è all’altezza. Fare critica significa scegliere la parola precisa, puntuale e spirituale per descrivere il mondo; ogni scelta avviene con il sacrificio di innumerevoli silenzi – parafraso appunto un importante scrittore: una sola parola contro tutte le altre. È lo stesso principio della Filologia, come affermava il grande Gianfranco Contini.
Letteratura, Pittura, Scultura, Musica: sono facce dello stesso poliedro e un “campo” non esclude l’altro; anzi, è necessario che le discipline siano legate tra loro per capire e interpretare le trame segrete della realtà. Riguardo alla mia peculiare formazione, non vorrei annoiare i lettori: dirò qui solamente che senza di essa non sarei giunta fino a qui – e spero di approfondire ancora, per spingermi sempre più lontano.
L.F.: Dal tuo punto di vista, la critica militante svolge un ruolo decisivo in Italia?
F.M.G.: L’arte contemporanea, in generale, boccheggia; necessita di un nuovo spirito critico. Io e molti altri giovani studiosi vogliamo fornire nuova linfa; ma non è affatto facile. Non sarò diplomatica come al solito, tanto ne sono tutti a conoscenza: sull’arte contemporanea che tenta di
distinguersi – mi riferisco ad artisti emergenti e talentuosi o ai redivivi mai considerati fino in fondo, soprattutto italiani e in particolare a Torino – si spande una coltre di cautela e diffidenza da parte dei galleristi, dei collezionisti e in generale del “sistema” dell’arte. È un circolo vizioso, che si ripete con modalità simili anche per critici e curatori: se non sei inserito in un determinato comparto stagno sociale e culturale (perfino “mondano”), non vieni considerato seriamente. Non si fraintenda: è giusto costruire e attraversare il proprio cursus honorum e non pretendere il successo immediato e il benestare degli intellettuali navigati; ma è frustrante non essere presi sul serio o non essere affatto considerati per promuovere la solita filiera sicura, che non genera altro
che testi, mostre e cataloghi stereotipati, con idee poco differenziate tra loro. Una sclerotizzazione che ammorba diversi campi lavorativi in Italia; una cautela assolutamente non necessaria e dannosa, che soffoca l’originalità e la tenacia della nostra generazione. Come critica d’arte, spesso vorrei mollare tutto e dedicarmi esclusivamente alla ricerca universitaria; ma le soddisfazioni ottenute e le persone “consistenti” incontrate malgrado gli ostacoli, nonché la consapevolezza di aver tentato di fornire una visione nuova, che aborre la mediocrità, di un’opera o di un fenomeno, ripagano dei tanti atteggiamenti provinciali e ottusi riscontrati.
L.F.: Cosa ne pensi dell’Artification of Luxury?
F.M.G.: L’arte è universale; il lusso no: dovrebbe essere la grande discriminante. Nella nostra odierna condizione, tuttavia, ha ancora senso definire “lusso” con l’accezione di “sfoggio di costosa distinzione senza scopi pratici particolari”? Servirebbe un’intervista apposta per questa
domanda. Se guardo al passato – al mio caro Medioevo – arte e artigianato si può dire che coincidessero: nelle botteghe, orafi e “artisti” (come noi li definiamo; ma non erano ancora chiamati così) collaboravano tra loro e con sarti, architetti e falegnami per la costruzione delle cattedrali. Sul crinale tra “arte” e “artigianato” si sono interrogati i più importanti studiosi e gli stessi artisti; ognuno ha cercato di definire “arte” anche sullo scarto rilevato rispetto all’artigianato. Oggi forse servirebbe ricostruire le fondamenta: ridare forma alle due definizioni e, solo allora, parlare di “artification of luxury”. La moda è arte, ad esempio? Dipenderà dalla definizione che verrà fornita; una descrizione che, prendendo le mosse dall’epoca in cui è redatta, seguirà dettami coerenti e non sarà percepita come limitante o ingiusta. Sono fiduciosa; ma, vista la confusione e il rifiuto di modelli, non è ancora il tempo adatto – ci stiamo soltanto sbracciando, come i primi della classe o come i bagnanti in procinto di annegare.
L.F.: In qualità di curatrice quanto è importante instaurare un legame con gli artisti, fondato sull’ascolto e sullo scambio di idee?
F.M.G.: L’altro giorno, parlando con amici, ho detto: “Ci sono curatori che pensano prima all’artista e poi a trovare un luogo adatto per esporre le opere; altri che prima cercano una galleria a cui affiliarsi e di conseguenza rintracciano artisti in linea con lo spazio”. Sono due approcci che rimandano allo stesso risultato; è la prospettiva di partenza a essere differente. Sarò sentimentale: il rapporto con l’artista è il punto di partenza e l’orizzonte su cui si allineano idee e pensieri comuni. Quando decido di seguire un artista, mi dedico completamente a lui: svolgiamo ricerche insieme; lo proteggo; lo incoraggio; lo aiuto a sviscerare ogni pensiero, che traduco in parola scritta; gli invio input tecnici e spunti di riflessione. Soprattutto, cerco di renderlo consapevole
della sua funzione indispensabile nella società e nella storia; come ripeto continuamente, l’artista è l’unico, oltre agli dei e alle madri, che “crea”. Benché lo utilizzino tutti e malgrado mi sia ormai abituata a non storcere il naso quando lo leggo o lo sento, muoio dentro quando le opere vengono
definite “lavori”. L’opera d’arte deve essere innalzata su ogni altro manufatto umano già dalla scelta dei termini – le parole sono importanti; mi rimetto alle parole della prima risposta.
Comunque, è un legame che erigo con la massima lealtà – e con momenti di severità, per i quali sempre mi ringraziano a posteriori! Bisogna avvicinarsi il più possibile allo sguardo dell’artista (che poi è la sua mente, il suo cuore); è un privilegio di cui mi ritengo estremamente fortunata e di cui sono profondamente grata.
L.F.: Parlaci del progetto editoriale che verrà pubblicato nel 2021 in onore dell’anniversario Dantesco, in collaborazione con l’artista Agostino Arrivabene.
F.M.G.: L’edizione illustrata da Agostino Arrivabene (parte dei progetti del Comitato dantesco torinese, istituito tra i membri più importanti della critica e della filologia dantesca italiana e internazionale) si preannuncia un evento quasi “epocale”: la sua visione dei paesaggi e dei personaggi danteschi influenzerà quella delle generazioni a seguire, come fecero le immagini di Doré, a oggi insuperato. La nostra è una sfida non indifferente; non solo per la mole di studio e di apporto creativo, ma anche – ed è un aspetto che non riusciamo ad approfondire abbastanza nelleinterviste – per la collaborazione sincera, multifocale, dotta e illuminata tra Agostino, Hapax Editore e me. Il processo è a grandi linee questo: selezioniamo un canto; io lo leggo, lo parafraso e studio le corrispondenze tra l’episodio del canto e la storia, la letteratura e l’arte figurativa; Agostino e io ci confrontiamo per delineare le pose e le fisionomie dei personaggi e del paesaggio; Agostino procede seguendo il frutto del nostro confronto, aggiungendo con libera interpretazione i particolari omessi dalla Commedia. Durante e dopo tale processo, Hapax ci consiglia e ci aiuta, considerando le linee editoriali e tipografiche da seguire per rendere il risultato migliore. Le tre parti sono ugualmente indispensabili; giornalmente, le nostre singole esperienze e conoscenze si rimescolano dando vita a un pensiero condiviso, che viene convogliato nella sapiente pittura di Agostino. Un rapporto solido e leale, di cui vado sentitamente fiera.
L.F.: Lavorando nel settore ti è capitato di incontrare personalità deludenti sotto il profilo professionale?
F.M.G.: Certamente! Credo sia normale in ogni campo lavorativo. Di gente inetta ne è pieno il mondo; e spesso è la stessa gente che non lascia emergere chi invece vale. Spesso le persone – vale per qualsiasi rapporto di lavoro – fraintendono il comportamento di chi è sicuro delle proprie capacità, ottenute e guadagnate con impegno e studio, al punto da non avere bisogno di cinismo o altezzosità per mostrarsi tenace o “di carattere”. Vorrei fosse chiaro una volta per tutte che non bisogna scambiare la gentilezza per ingenuità; e che la diplomazia e le buone maniere non coincidono con la falsità né con il perbenismo. Serve molta forza d’animo per superare, con sincera e positiva disposizione, le pulsioni negative; e sono necessarie autoironia e intelligenza (due facce della stessa medaglia) per trasformare l’impulsività in accortezza e in cortesia. Una volta un importante imprenditore e collezionista mi ha detto: “Devi essere più stronza, devi mettere da parte la tua sensibilità; altrimenti ti prenderanno per fessa!”. Io sono rimasta inizialmente in silenzio, poi ho risposto: “Perché devo cambiare la mia naturale indole per gli altri?
Perché, per evitare fraintendimenti da parte di gente debole e mediocre, devo abbassarmi al loro livello, rendendo i miei comportamenti dozzinali? Io non voglio plasmare il mio carattere a immagine e somiglianza di chi ritiene “fessa” una persona gentile. Mi farò valere a un livello superiore, dove la forza d’animo e la consistenza intellettuale vengono misurate con altri metri di giudizio”. Così ho fatto da allora in avanti – e ciò mi ha portato a collaborare con Agostino e Hapax; non male, no?
L.F.: Nel panorama torinese quali artisti contemporanei ritieni tra i più interessanti?
F.M.G.: Ce ne sarebbero, fortunatamente, parecchi. Temo gli elenchi: non vorrei appiattire personalità diverse accostandole tra loro così, come meri nomi e cognomi, senza il respiro adatto per spiegare le mie e le loro ragioni. Andrò a trittici. Tra i giovanissimi, anche se non torinesi
d’origine, ammiro Caterina Morigi, Davide Sgambaro ed Edoardo Piermattei; li reputo tra i più “sicuri” della propria estetica e delle proprie potenzialità – e Caterina è una delle artiste più colte e preparate che io abbia mai conosciuto. Ne citerò altri tre, nati piemontesi: Guglielmo Castelli, Andrea Respino e Nicus Lucà (quest’ultimo a me caro per un ricordo che nemmeno lui conosce).
L.F.: Un artista tra quelli citati con il quale vorresti collaborare?
F.M.G.: Guglielmo è stato il primo artista a credere in me in qualità di critica d’arte, e tutt’ora conserviamo un legame; gliene sarò per sempre riconoscente. Con Caterina, forse, daremo alla luce qualcosa (il discorso si è interrotto a causa degli impegni e del Covid); mi piacerebbe concretizzare questa possibilità.
L.F.: La tua più grande ambizione?
F.M.G.: È pericoloso chiederlo a persone che hanno come modelli Dante, Petrarca e Alfieri!
L.F.: Vorrei concludere l’intervista condividendo con te una riflessione di Albert Camus tratta da Il mito di Sisifo (1942):
“Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe”