NEL REGNO DEL KITSCH IMPERA LA DITTATTURA DEL CUORE

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STUDIO TONNATO X FRANCESCA DISCONZI

Epitaffio di un Amore, 2018, Neon e plexiglass - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Epitaffio di un Amore, 2018, Neon e plexiglass – courtesy of the artists
Epitaffio di un Amore, 2018, performance - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Epitaffio di un Amore, 2018, performance – courtesy of the artists

FRANCESCA DISCONZI

Nel regno del kitsch impera la dittatura del cuore, scrive Milan Kundera nel suo romanzo più celebre, L’insostenibile leggerezza dell’Essere.

Lo scrittore prosegue: I sentimenti suscitati dal kitsch devono essere, ovviamente, tali da poter essere condivisi da una grande quantità di persone. Per questo il kitsch non può dipendere da una situazione insolita, ma è collegato alle immagini fondamentali che le persone hanno inculcate nelle memoria.

Il kitsch è l’eliminazione assoluta della merda, ossia della cosa più lontana che esiste dalla creazione e che ci fa sentire lontani dalla perfezione di Dio. Nel romanzo di Kundera è il personaggio di Sabina a formulare questo pensiero, definendo le feci come l’inaccettabile della creazione

Il potere del kitsch è distrarre dalla merda, spesso con un intrattenimento eccessivamente sentimentale, quasi grottesco (per questo tante volte la TV è kitsch, così come il web).

 Sognami, 2019, Neon, teca plexiglass e acciaio, performance - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Sognami, 2019, Neon, teca plexiglass e acciaio, performance – courtesy of the artists

Kitsch è il lavoro di Studio Tonnato, duo artistico (Federico Leoni + Giordano Magnani) che ha realizzato la nostra copertina di novembre.

Al centro del lavoro proposto c’è il mitico Albano Carrisi, idolo dei nostri nonni e noto alla nostra generazione per le apparizioni in TV (sempre cantando “Felicità”) e il suo triangolo amoroso con Loredana Lecciso e Romina Power – un’immagine ben inculcata nella memoria -.

Nel lavoro di Studio Tonnato il kitsch si coniuga al linguaggio della rete e dei social (kitsch per eccellenza). Questi – con meme and co – dettano nuovi standard estetici, figli della cultura del remix. Se il postmoderno è la cifra degli anni Ottanta, il remix è quella degli anni Novanta, dei Duemila, e probabilmente anche del prossimo decennio (Lev Manovich, Software Culture).

Studio Tonnato indaga “ciò che accade dietro la luce del display”, nel “bug che rompe il sistema” servendosi del linguaggio postmediale, ibridandolo e distorcendolo. Il loro lavoro si colloca tra realtà e finzione lasciandoci con l’interrogativo tipico dell’era della postverità: cos’è realtà, cosa diventa realtà?

Cito a tal proposito “Squilli Romantici” progetto nato su Instagram durante il periodo del lockdown, quando il web è stato unico luogo plausibile d’incontro. Una rivisitazione (remix, appunto) dei call center hot anni ’90/inizio 2000 che si rivolge alle persone sole, invitando (cito testualmente lo statement) a “diventare amanti attivi: chiamate, condividete, scrivete. Fate sapere che ci siete, belle anime

Squilli Romantici, 2020, Instagram - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Squilli Romantici, 2020, Instagram – courtesy of the artists
Romantic Rings, 2020, Rivista - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Romantic Rings, 2020, Rivista – courtesy of the artists

Gli stessi sentimenti edulcorati permeano “Tramonti Bollenti”, un libro / romanzo d’artista edito nel 2019 in collaborazione con UnoTre. 

In questo lavoro – un remix dei fotoromanzi anni ‘90 – tutto ciò che viene narrato potrebbe essere vero oppure no, a partire dall’autore Dominique Positano “Le persone erroneamente mi definiscono scrittore, le persone però hanno cuori pigri, annoiati, cuori con piccole targhe incomprensibili tipo Autogrill albanese.”

Si aprono così le porte a un antico interrogativo: “Sogno o son desto?” lasciandoci senza coordinate o spiragli di senso. 

Tramonti Bollenti, 2019, libro d'artista - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Tramonti Bollenti, 2019, libro d’artista – courtesy of the artists

Lo stesso interrogativo permea il testo prodotto per Osservatorio Futura, racconto di un rituale d’iniziazione tramite la prova del Tonno di Fuoco: 

“ L’idolo malevolo è bruciato! – Urlai a gran voce. Il mio socio completò la frase – è bruciato fuori e dentro di noi – E poi insieme in un coretto molto da scuola elementare – L’artiglio accaldato l’ha colpito con la sua furia, evviva evviva! Qualche colpo di tosse prima della risposta in coro – Evviva evviva, Sia lodato il Grande Tonno –

Siamo lieti di presentarvelo in esclusiva:

STUDIO TONNATO

La stanza era illuminata da delle candele della madonna, non in senso letterale, le candele non erano a forma di Madonna o sponsorizzate dalla beata vergine. Facevano una luce della madonna, potentissime, colorate, azzurrine tendenti al viola, rosse e blu, un carnevale di candele, candele devastanti. Rendevano gli incontri meno medioevali e più cyberpunk,  un’altra mia idea di cui andavo particolarmente fiero. Ma non bastava. 

Lo strato di pelle che proteggeva le mie palle sudate dentro la tunica, si stava assottigliando, con la promessa di un rotolamento di testicoli sul mogano lucidato del pavimento. Eravamo li da ormai un ora e mezzo e mi stavo rompendo le palle.  

Il gran sacerdote aveva celebrato il passaggio di livello degli adepti Giaguari di livello 4, che ora guarda un po’, si scoprivano Giaguari di livello 5. Poi aveva battezzato un nuovo adepto spogliandolo, come da rito, di tutti i vestiti e sottoponendolo alla prova del Tonno di Fuoco. Per l’amor di Dio il Tonno di Fuoco è sempre Il Tonno di Fuoco, però alla ventesima volta che lo  vedi ti passa un po’ il gusto della sorpresa, per non parlare del gusto del tonno. Alcuni adepti non lo mangiano più per parecchio tempo.  

In che cosa consiste la famigerata prova? Nulla di articolato, come tutti i riti di passaggio che siano dei pompieri, degli scout o di un cartello di droga colombiano. Servono a testare coraggio e dedizione, non che a creare un legame con gli altri adepti e a farti fare qualche risata, io almeno all’inizio mi spaccavo in due dal ridere. Loro si spaccavano in due e basta. Il Tonno di Fuoco non faceva eccezione. Il gran sacerdote prendeva un tonno di piccole  dimensioni, che poi spesso era una trota salmonata o un salmone di fiume (il salmone di fuoco?) e lo infilava vivo nel deretano del nuovo arrivato. Perché di fuoco? Nessun motivo,  immagino perché bruci parecchio un pesce vivo in culo. 

Immagino, perché io non ho mai fatto questa prova, io l’ho istituita. Io sono il Gran Maestro, Il primo Sacerdote Dorato, ho una corona in testa. Uno dei due Kings of the Castle, fondatori dello StudioTonnato, setta religiosa in via di espansione, comandanti della bagnarola, grandi ammiragli delle mie palle annoiate, Grandi Giaguari di decimo livello.

E quindi col cazzo che mi faccio mettere un salmone in culo, la differenza tra il capo e un dipendente, sta proprio in questa semplice regola, chi si fa mettere salmoni nel sedere e chi no. 

Non ne potevo più di salmoni vivi in culo alla gente, a differenza del mio socio, l’altro primo Sacerdote Dorato, che ancora oggi a distanza di tempo provava un certo piacere nel vedere quella pinna scodinzolare fuori da notai e avvocati. Io mi godo solo quando ci sono delle donne, almeno si vedono due zinne e un po’ di passera. Mi annoiavo a morte, le fiammelle  delle candele ballavano a ritmo delle mie palle flosce che ondeggiavano manco fossero alghe sott’acqua, o sott’olio. 

Che altro c’è?- Chiesi al gran sacerdote, una donna di cento quaranta chili vestita da Bulma di Dragonball armata di salmoni. –Siamo quasi alla fine grande Sacerdote Dorato- disse sottovoce  –Anche perché ieri la pescheria era chiusa e ho quasi finito i salmoni-. –Ottimo, sia lodato il  grande Tonno- Sia lodato il grande Tonno- rispose la Bulma obesa.

Il mio socio si alzò in piedi, brandiva un lanciafiamme d’oro e aveva occhi spiritati. Non che mi preoccupasse ma in quel momento pensai che forse la noia era arrivata ad un capolinea spiritato. Impugnai pure io il mio lanciafiamme e accompagnati dal coro rituale, che consiste nella canzone di Dragonball GT cantata da un coro di omosessuali intonatissimi, facemmo  fuoco sull’Idolo Malevolo.  

Dare fuoco all’Idolo Malevolo invece non mi stancava mai, ma perché di fondo mi piaceva da matti usare il lanciafiamme, una figata pazzesca che giustifica da sola la fondazione del culto. Io l’ho sempre detto all’altro sacerdote dorato: piuttosto togliamo tutti i riti, le feste, le orge, i  compleanni, i sacrifici umani, ma non togliamo i lanciafiamme. Gira tutto intorno a quello per quanto mi riguarda. Lì si racchiudeva lo spirito della setta, fiamme libere e salmoni negli sfinteri. L’idolo Malevolo doveva bruciare in un inferno caldissimo e fumoso. Ce lo portammo a colpi di lanciafiamme. Come godevo madonna, come godo il lanciafiamme. Il coro cantava in mezzo alla tosse Le gesta di Goku alle prese con i draghi delle sette sfere. Anche noi tossivamo come matti, tripudio di tosse, la stanza era al chiuso e bruciare la roba non è mai una grande mossa. Per fortuna due adepti Giaguari di livello 2 si preoccuparono di aprire tutto e spegnere l’incendio con secchiate d’acqua ed estintori. Una fumara impressionante, gente che stava per soffocare intossicata, quarantacinque gradi fuori dalle  tuniche, novanta dentro. Ma erano le regole del rito. Erano state scritte così dai due fondatori, i sacerdoti dorati, e così dovevano restare nei secoli.  

Dell’Idolo Malevolo restava poco e nulla. La statua in faggio di Roberto Benigni era ridotta ad una maschera di fumo, un sorriso bastardo deformato dalla nostra potenza di fuoco. Dai figlio di puttana, perché non provi adesso a spiegarmi la bellezza della vita o a fare una battuta su Berlusconi. Dai, fallo adesso. Pensavo tra me e me nel fumo. 

Facemmo passare una mezzoretta, ora si respirava decisamente meglio. Un adepto Giaguaro di livello 3 era stato male. Io avevo proposto di sbatterlo in un fosso per liberarci di quel debole figlio di puttana. Alla fine avevano optato per il pronto soccorso. C’eravamo. La cerimonia era arrivata alla fine, le guardie reali, ovvero i miei servitori personali vestiti da Power Ranger Blu, si liberarono dell’Idolo Malevolo accompagnati da urla corali e insulti diretti verso la scultura.  

L’idolo malevolo è bruciato!- Urlai a gran voce. Il mio socio completò la frase –è bruciato fuori e dentro di noi– E poi insieme in un coretto molto da scuola elementare –L’artiglio accaldato l’ha colpito con la sua furia, evviva evviva! Qualche colpo di tosse prima della risposta in coro – Evviva evviva, Sia lodato il Grande Tonno-.  

I Power Ranger Blu tornarono con un carrello dei gelati, distribuirono Calippo all’amarena e Maxi Bon a tutti i Giaguari e la cerimonia fu terminata. Tutti erano felici credo, a parte la new entry che tra un Tonno di Fuoco e un’intossicazione da fumo doveva aver passato una brutta serata. I finocchi cantarono la canzone di fine rito, Fiki Fiki di Gianni Drudi. Il gran sacerdote si esibì in un twerking grottesco a lume di candela e capimmo che era ora di levare le tende. I Power Ranger Blu mi svestirono sensualmente, i Rossi svestirono l’altro Gran Maestro in maniera decisamente meno sexy. Prima di montare sulla mia Porche fiammata rosa rimasi a pensare, a riflettere un attimo su quello che era successo. Proprio in quel momento arrivai ad esprimere quelle che erano state solamente riflessioni non ancora espresse, guardai il mio socio che forse stava pensando la stessa cosa e parlai –Comunque non so se hai visto che candele? Sono davvero delle candele della madon…-. Un dito mi fermò le labbra, era il mio socio  –è quello che stavo per dire io- Sgasai con la Porche con ancora in testa la corona.

Caccia e peschissima, 2019 - Studio Tonnato - courtesy of the artists
Caccia e peschissima, 2019 – courtesy of the artists