MEMORIE DISSOLTE

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MARCO CURIALE X LIDIA FLAMIA

Marco Curiale è nato nel 1998 in Italia, a Torino, dove tutt’ora vive e lavora. Nel 2020 si è laureato in Scultura presso l’Accademia Albertina di Belle Arti. Nei suoi lavori impiega varie tecniche, dalla fotografia alla scultura, fino all’installazione sitespecific per affrontare vari temi che riguardano  specialmente il suo vissuto nella periferia di Torino e l’imprescindibile relazione tra la sua generazione e la cultura online. 


Lidia Flamia: Parlaci della tua formazione. Quali sono i pro e i contro della realtà Accademica?  

Marco Curiale: Negli ultimi tre anni ho potuto esplorare quasi tutti i vari aspetti della vita accademica ed è inutile nascondere il fatto che i lati negativi superano quelli positivi, a partire dalla struttura stessa delle accademie d’arte italiane e dalla loro organizzazione.

Esiste però un  aspetto positivo estremamente utile, non solo per i neofiti ma anche per chi proviene da una scuola artistica, ovvero quello collaborativo. La maggior parte delle tecniche pratiche, dei confronti e degli spunti di riflessione vengono sviluppati tra colleghi di corso che, almeno nel mio caso, sono sempre stati pronti ad aiutare chiunque, instaurando un rapporto più intimo, familiare e cooperativo di quello che potrebbe crearsi con un professore.

Senza nulla togliere alle numerose nozioni insegnate da alcuni docenti di laboratorio che “facilitano” il percorso formativo-artistico degli studenti, ho purtroppo riscontrato molta autoreferenzialità nella maggior parte degli insegnanti, quasi sempre “bloccati” nell’arte di una certa generazione o di un certo stile che si  avvicina di più al loro. Un pro va comunque a chi, oltre ad insegnare, è anche Artista e dunque più attento agli avvenimenti artistici odierni sviluppatisi negli ultimi anni. Sicuramente durante il mio periodo di studi, stare a contatto con gli artisti e i cosiddetti “addetti ai lavori” ha favorito molto la crescita di una ricerca poetica personale. 

L.F.: Quali esperienze visive hanno apportato un’influenza significativa nei tuoi lavori? 

M.C.: Pur studiando la storia dell’arte con grande passione sin dai tempi del liceo non ho mai trovato particolari punti di riferimento nelle arti tradizionali. Mi spiego meglio: sicuramente a livello tecnico ho avuto moltissime influenze da artisti che stimo, sia per quanto riguarda le opere  bidimensionali che quelle tridimensionali; se penso al mio approccio installativo posso dire di essere figlio dei movimenti concettuali —essendo torinese, Arte Povera fra tutti— ma anche della Pop Art.

Mentre invece sul piano delle tematiche e delle ricerche ho sempre trovato più interessante guardare ad altre discipline. Essere continuamente contaminato da artisti che operano in più campi, ora come ora, è essenziale a mio avviso.

Per farti alcuni esempi, fin da piccolo sono stato affascinato dalla cultura pop giapponese, manga e anime sono stati sicuramente una grande ispirazione nello stile di disegno ed è grazie ad essi che ho trovato un’altra grande passione, ovvero quella per l’estetica cyberpunk: Akira di Katsuhiro Otomo è un mio punto di riferimento costante.

Anche moda e musica hanno sempre avuto grande spazio in ciò che faccio, in particolare la cultura hip-hop e lo streetwear; penso alle storiche collaborazioni tra Kanye West e Vanessa Beecroft, George Condo o Takashi Murakami.

Negli ultimi anni invece mi sono appassionato sempre di più alla cultura visiva online, il fenomeno dei meme è quello che mi affascina maggiormente perché capace di interagire con qualsiasi tipo di chiave di lettura, si va da una semplice immagine repostata milioni di volte a video virali su YouTube che vengono dimenticati dopo una settimana. 

DeepFred, 2020, graphite and watercolor on paper, 22 x 22 cm - Marco Curiale - courtesy of the artist
DeepFred, 2020, graphite and watercolor on paper, 22 x 22 cm – courtesy of the artist
DeepFred, 2020, graphite and watercolor on paper, 22 x 22 cm - Marco Curiale - courtesy of the artist
DeepFred, 2020, graphite and watercolor on paper, 22 x 22 cm – courtesy of the artist

L.F.: Qual è il tuo concetto di contemporaneità? 

M.C.: Non sono bravo a rispondere a domande così aperte e difatti evito di pensare a ciò che considero contemporaneo. Se proprio dovessi etichettarla, identificherei la contemporaneità come un qualcosa in continua mutazione ed estremamente ibrido.

Viviamo un periodo nel quale non abbiamo conferme e probabilmente anche solo pensare al futuro fa meno paura che pensare al presente. Nel mio piccolo mi limito a dare una forma a ciò che percepisco quotidianamente, con meno filtri possibili e nel modo che trovo più congruo.

Ecco perché quando provo a dare un senso a quello che faccio, a trovare uno stile comune ai miei lavori o una tematica che li possa racchiudere, finisco sempre con il pensare troppo senza trovare una soluzione adatta; parafrasando una frase di Gipi: “è la contemporaneità che lo domanda”.

Sicuramente il tempo riuscirà a dare una definizione di quello che oggi consideriamo contemporaneo, per adesso io provo solo a creare un’istantanea —o meglio, uno screenshot— di questo momento, consapevole della sua imminente scomparsa. 

L.F.: Before they disappear è un progetto che raccoglie una serie di opere – bidimensionali e tridimensionali – che riflettono, in chiave concettuale, l’obsolescenza cui costantemente dobbiamo far fronte nella società liquida nella quale siamo immersi. Ti va di raccontarci meglio il progetto?  

M.C.: Before They Disappear è stato mio il progetto di tesi triennale in scultura. È un percorso che parte dalla concezione più classica di fotografia per poi arrivare al bombardamento visivo dei nostri giorni, nei quali tempo e attenzione contano sempre meno. Il punto di partenza è stata una  riflessione sul concetto di “ricordo” oggi, in quest’epoca digitale che tende a vivere costantemente nel presente. Ho volutamente dissolto i confini tra bidimensionale e tridimensionale, così come quelli del fisico e del digitale per creare delle opere fluide e prive di etichette.

Molti di questi lavori  hanno subito lunghi iter progettuali e hanno visto luce anche dopo più di un anno, già a partire dall’opera di apertura —Parlami della caducità dei corpi— per la quale ho immerso numerosi tessuti in candeggina fino a farli diventare quasi del tutto bianchi. Questo lavoro è una riflessione sulla fotografia, sulla sua funzione di memento mori ma anche sul concetto di dati personali in un epoca nella quale tutti hanno accesso a qualsiasi informazione.

La seconda opera s’intitola We post Spotify songs on our Ig stories because we don’t know how to talk about our feelings ed è la mia personale ode alla banalità, alla fotografia effimera figlia degli swipe da social network. È un dittico costituito da due fotografie di tramonti riflessi, simbolo di tutte le immagini simili che si ha la sensazione di aver visto e vissuto, mentre l’atto violento di eliminare lo sfondo ne ribalta i punti di vista sbiadendo i confini che separano la rappresentazione fisica e quella digitale.

La serie Subtitles invece strizza l’occhio al cinema e alle serie tv, sono dei bassorilievi in marmo di qualche ipotetico frame repostato online. Ho impostato questi lavori in maniera simile a degli screenshot di scenari immaginari presi da chissà dove nei quali il pattern di ogni lastra narra una determinata situazione mentre i sottotitoli incisi alla sua base provano a decifrare quale sia il messaggio, senza ricevere risposta.

L’ultima serie di lavori è formata da cinque acquerelli su carta nei quali il  linguaggio del web e il bombardamento visivo sovrastano la concezione dell’arte più tradizionale. Il titolo è Deep Fried perché “friggere” nel linguaggio del web indica l’aggiunta di uno strato di filtri e distorsioni sopra un’immagine originale per portarla ad un livello di quasi illeggibilità totale; qui i personaggi iconici dei meme deep fried diventano i protagonisti di questa bizzarra unione fra mondi opposti. Dato che non ho potuto discutere la tesi in accademia ho esposto i lavori nel mio studio e per una ventina di giorni la gente li ha potuti vedere su appuntamento in tutta sicurezza. 

Before they Disappear, studio intallation view, 2020 - Marco Curiale - courtesy of the artist
Before they Disappear, studio intallation view, 2020 – courtesy of the artist
Before they Disappear, studio intallation view, 2020 - Marco Curiale - courtesy of the artist
Before they Disappear, studio intallation view, 2020 – courtesy of the artist
Parlami della caducità dei corpi, 2019/2020, stampa su cotone 125 g e tessuti vari - Marco Curiale - courtesy of the artist
Parlami della caducità dei corpi, 2019/2020, stampa su cotone 125 g e tessuti vari – courtesy of the artist

L.F.: Poco prima del secondo lockdown nazionale, hai realizzato la performance ed installazione  site specific – Chissà dove (2020) – in Barriera di Milano. Qual è la genesi di quest’opera? Quali  reazioni ha scaturito? 

M.C.: Chissà Dove è il lavoro finale del programma di residenza “Opera Viva – Artista di Quartiere”, al quale ho aderito per un mese, nel quartiere Barriera di Milano a Torino. In questo periodo ho cercato un’unione tra quella che è la mia ricerca artistica personale e il concept della residenza,  ovvero identificare una figura artistica, denominata artista di quartiere appunto, che si occupi attivamente, in prima persona, di un territorio circoscritto con azioni di arte pubblica e/o partecipata e che instauri un rapporto serio e duraturo con il tessuto sociale scelto.

L’opera è esposta in una doppia vetrina del Brico Center del quartiere, convertito in uno spazio espositivo chiamato “Linea2”, e nasce dall’idea di far viaggiare mentalmente le persone in un luogo diverso da quello dove sono costrette a stare data l’emergenza sanitaria. Ho dipinto i due box della vetrina di colore verde fluo —il green screen della postproduzione cinematografica— al loro interno ho ospitato 45 persone alle quali ho scattato una foto e poi chiesto dove vorrebbero andare in vacanza. Con una semplice operazione di fotoritocco ho poi sostituito il verde con il luogo  desiderato e, una volta stampati, ho installato i risultati finali nelle due scatole.

Abbiamo inaugurato proprio la sera prima che il Piemonte diventasse zona rossa quindi le reazioni post installazione non le ho potute osservare. Nella fase performativa però sono stato molto sorpreso della disponibilità dei partecipanti; moltissime persone si sono dimostrate entusiaste e si sono  fermate anche dopo aver scattato la foto, raccontando un pizzico della loro vita e della storia legata al luogo che hanno poi scelto per l’opera.

Per me è stata la prima esperienza performativa, sono sempre stato uno che preferisce operare prima e poi osservare il risultato del suo lavoro con  occhi distaccati, ma devo dire che mettersi alla prova con un’azione in prima persona è completamente un altro paio di maniche. L’esperienza è stata molto forte e coinvolgente e non escludo che potrebbe ricapitare, magari con altre meccaniche, in situazioni e contesti differenti. 

Chissà dove (2020), site specific, installation and performance, printed digital artworks on paper, wood, green screen painting, neon - Marco Curiale - courtesy of the artist
Chissà dove (2020), site specific, installation and performance, printed digital artworks on paper, wood, green screen painting, neon – courtesy of the artist

L.F.: Come vedi il futuro dell’arte contemporanea nel Bel Paese?  

M.C.: Abbastanza piatto per il momento, noto una generale ostinazione a perseverare con i meccanismi classici del sistema dell’arte quando si vede ad occhio nudo che è non ha senso continuare ad utilizzare ancora le stesse modalità, il Covid19 lo ha dimostrato a tutti.

Durante quest’anno abbiamo visto mostre di ogni genere: fisiche, online, ibride, in galleria, in spazi  indipendenti e luoghi estranei adibiti a “set artistici” per un breve periodo. Nessuno è però riuscito a delineare un progetto “sicuro”, ad avere la forza di volersi affermare e costruire un’alternativa  artistica concreta.

Ultimamente vedo sempre di più validi artisti e creativi della mia generazione che faticano a trovare un loro posto all’interno del mondo dell’arte, spero davvero che l’arte contemporanea in Italia riesca a svecchiarsi e smetta di essere limitata dal classico meccanismo  fiera/galleria, provando a rinnovarsi e reinventarsi a favore di nuovi artisti e collaborazioni in campi sempre diversi. 

L.F.: Se potessi scegliere un luogo in cui esporre le tue opere quale sarebbe?  

M.C.: Al contrario delle tematiche che tratto non sono interessato a esporre spesso online, a meno che non siano progetti sviluppati in principio per il web. Sicuramente le piattaforme digitali, social compresi, avranno uno sviluppo enorme ed essenziale per l’arte contemporanea ma non le trovo  ancora adatte a dare una giusta dignità ad una mostra o un progetto d’arte contemporanea.

Mi interessa invece trovare possibilità espositive in luoghi con caratteristiche peculiari non concepiti come spazi artistici, adattando e creando opere d’arte a seconda dell’ambiente e delle persone che ne fruiscono, un ottimo esempio sono i piccoli spazi indipendenti sparsi per l’Italia.

Sarebbe divertente intervenire anche in grandi spazi industriali convertiti in ambienti artistici, ad esempio le OGR e l’Hangar Bicocca, o edifici di carattere storico, come le ville in stile liberty abbandonate nella collina torinese; in genere tutti i luoghi che trasudano di storia e dai quali emerge subito il vissuto di un particolare periodo storico, attirano la mia attenzione. 

L.F.: In conclusione, ti andrebbe di rivelarci quali progetti ti aspettano in futuro? 

M.C.: Parallelamente al mio lavoro di grafico-illustratore freelance che continuo a portare avanti, sto sfruttando questi ultimi mesi del 2020 per fare un recap di quello che è successo fino ad ora. Ho appena concluso un triennio accademico che mi ha aperto numerosi percorsi artistici e  decidere quali binari percorrere mi sta prendendo più tempo del previsto.

Ultimamente, nonostante la fiacca quasi imposta dal secondo lockdown, mi è tornata voglia di dipingere ma ho anche intenzione di lavorare su una serie di lavori in ceramica che ho in mente da un po’ di tempo. Per adesso non voglio escludere alcuna possibilità.

Guatemala green marble, 2020 - 38 x 29 cm - Marco Curiale - courtesy of the artist
Guatemala green marble, 2020 – 38 x 29 cm – courtesy of the artist
Orange marble, 2020, 50 x 29 cm - Marco Curiale - courtesy of the artis
Orange marble, 2020, 50 x 29 cm – courtesy of the artis
Africa black granite, 43,5 x 29 cm - Marco Curiale - courtesy of the artist
Africa black granite, 43,5 x 29 cm – courtesy of the artist