RACHELE MOSCATELLI X ELEONORA SAVORELLI
Per lo spin-off di Osservatorio Futura, che raccoglie contributi di curatori che collaborano al progetto, presentiamo l’intervista all’artista Rachele Moscatelli a cura di Eleonora Savorelli (Cantù, 1993), in occasione di “ICON”. La mostra si è tenuta presso lo Studio d’Arte Cannaviello a Milano dal 17 dicembre 2020 al 23 febbraio 2021.
Eleonora Savorelli: La galleria Milanese Studio d’Arte Cannaviello ha ospitato ICON (17 dicembre 2020 – 23 febbraio 2021), prima mostra personale di Rachele Moscatelli (Cantù (CO), 1993) in questi spazi. Rachele, vuoi spiegarmi quali sono i temi trattati e i simboli principali di questa mostra?
Rachele Moscatelli: Il titolo della mostra, ICON, deriva dalla parola “icona” che in greco significa “immagine” (εἰκών – eikṓn): essa allude alle icone sacre, e alle rappresentazioni religiose. Sacralità e glamour si intrecciano e azzerano il tempo che intercorre tra il passato e il presente. Ciò che permette questo viaggio nel tempo è in particolare l’immagine della donna; è la sua rappresentazione a rendere contemporaneo ciò che iconograficamente appartiene al passato, e allo stesso tempo al presente e al futuro. Donna che è madre, figlia, o semplicemente donna. Uno dei temi trattati nella mostra è autobiografico: riscopro un’eredità che credevo perduta a distanza di anni in una vecchia video cassetta. “Maggio 1993” è il nome di questo filmato: mio padre mi filma nella culla, improvvisamente l’inquadratura si sposta su mia madre che gioca con mia sorella. Da questo video provengono frames che ho ripreso e trasformato in dipinti. Il trittico “Omaggio a Carol” (2020), invece, è un omaggio all’artista scomparsa Carol Rama: per la sua creazione ho tratto ispirazione da “Tre studi per figure ai piedi di una crocifissione” (1944), trittico creato da Francis Bacon. Per questo trittico avevo bisogno di un soggetto che potesse conferire all’opera forza, eleganza e drammaticità: la scelta di Carol Rama è venuta di conseguenza.
E.S.: La mostra offre una serie di opere su carta, dove intervieni in diversi modi, per esempio: olio, stampe digitali, collage, e pastelli ad olio. L’utilizzo molto vario di mezzi si traduce in opere dai tratti variegati e sorprendenti. Cosa ti spinge all’uso così differenziato di tecniche?
R.M.: Credo fermamente che l’unione di tecniche diverse permetta di conferire all’opera una potenza particolare, che non sarebbe assolutamente possibile esprimere con un solo mezzo espressivo. Mi piace l’idea di far dialogare tecniche apparentemente distanti tra loro, e ricercare un’estetica che permetta una felice convivenza. Aggiungere all’opera parti a collage mi permette di appropriarmi di una parte di immagine già esistente, e che rimossa dal suo contesto originario diventa altro, diventa mia. L’idea di possesso e trasformazione che sta alla base di questo procedimento è ciò che caratterizza la mia “pittura”, e il mio modo di concepire l’arte. Le mie opere sono il risultato di un montaggio mentale, che si concretizza nella stratificazione materiale di colore e carta. Inoltre, il nostro occhio, di fronte a una immagine complessa composta da rese tattili e materiche diverse, è maggiormente stimolato e spinto a indagare ciò che osserva in ogni suo dettaglio. Il risultato è la creazione di opere ibride.
E.S.: La mostra ospita la donna nelle sue diverse declinazioni. In particolare, la “madre” apre il percorso espositivo: la sua figura però non ha contorni certi, ma è delineata tramite linee spezzate, che la rendono sfuggente e sfumata. Qual è la ragione di questa resa pittorica?
R.M.: Le immagini che ritraggono la madre non hanno contorni certi perché questa figura proviene dai miei ricordi, che sono qualcosa di impalpabile: spesso ricordiamo alcuni dettagli alla perfezione, ma ce ne sfuggono altri. In questo caso, data la mia giovanissima età nel video, il ricordo è confuso. Ero dunque una spettatrice ignara di quello che stava accadendo intorno a me. Ho cercato di restituire attraverso l’immagine la dimensione inconscia tra sonno e veglia propria di questi ricordi.
E.S.: Nel dipinto “Mother’s Hands” (2019) vediamo la mano della madre mentre accarezza il capo di una bambina, davanti ad uno sfondo liquido e nero, che sembra quasi inghiottirla. Il quadro ispira diverse, contrastanti, sensazioni considerando il gesto, le figure e i preponderanti colori scuri. Come spiegheresti questa mescolanza?
R.M.: Il nero simboleggia la dimensione inconscia del ricordo, l’immagine di mia sorella è avvolta e cullata da questo liquido amniotico. La mano di mia madre irrompe al centro del dipinto e accarezza i capelli della bambina, mano che si sdoppia e diventa tentacolare. In questa indecifrabilità e mistero sta la drammaticità del dipinto, così come gli aspetti di luce e ombra legati alla figura della madre: mani che sanno accarezzare, sorreggere, guidare ma anche trattenere, fagocitare. Si innescano le idee di possesso e di legame indissolubile che si generano tra madre e figlia.
E.S.: Il trittico “Omaggio a Carol” (2020) è dedicato all’artista Torinese Carol Rama – che da sempre è per te fonte di ispirazione. Le figure nei tre dipinti sono una combinazione di dettagli che rivelano la tua connessione con questa artista: braccia e gambe ricordano le opere di Rama, le parti in bianco e nero rimandano ad un tuo precedente lavoro riguardo atleti para-olimpici, e la pelliccia presente in uno dei quadri rievoca quella di tua nonna. Come giustifichi l’unione nei tuoi quadri di elementi personali e propri dell’artista?
R.M.: Ho voluto dedicare questo trittico all’artista Carol Rama che per me è simbolo di forza e trasgressione: nei suoi dipinti ha spesso trattato il tema della mutilazione del corpo e della carica erotica che deriva da tale visione. Ho riproposto la prima tematica inserendo nei miei dipinti sezioni di fotografie scattate ai nuotatori para-olimpici a Rio de Janeiro (L’artista ha partecipato alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 come fotografa accreditata [n.d.r.]). Il tema della mutilazione corporea è un tema al quale sono molto legata: nella mia tesi magistrale ho trattato la mutilazione del corpo come ricerca estetica del bello. Sono anni che lavoro sull’estetica del resto, del frammento legato all’idea di bellezza.
C’è sempre un significato nella scelta dei dettagli che compongono le mie opere, e spesso il nesso è autobiografico. Mia nonna Carla è sempre stata una donna elegante, alla moda, sopra le righe, l’ho sempre stimata per il suo carattere forte connotato da una buona dose di incoscienza e ironia. Era una fumatrice accanita, amava le pellicce e le collane di perle. Guardando alcune interviste di Rama ho trovato similitudini caratteriali con mia nonna. I collegamenti concettuali sono stati poi tradotti in pittura.
E.S.: La maggior parte delle donne che ritrai nei tuoi quadri negano il loro sguardo allo spettatore: talvolta voltano il viso, talvolta il loro sguardo è ostacolato da decorazioni o da make-up particolari, come nei casi di “Apotropaic Carnival” (2019) e “Untitled” (2019). Ciò mi infonde un senso di sfuggevolezza e mistero, che sono però controbilanciati dalla ricchezza dei dettagli delle figure e dalla loro solida presenza. Come spiegheresti questo dualismo?
R.M.: Le donne che dipingo sono donne altere, fiere, al di sopra delle parti, hanno la consapevolezza di essere guardate e di piacere: per questi motivi non cercano un contatto con chi le osserva, se non raramente. “Untitled” potrebbe essere paragonata a una chiaroveggente che non ha bisogno di pupille per vedere, lei sa. In “Apotropaic Carnival” prevale invece il concetto di maschera, di travestimento, di enigmaticità: ci si chiede cosa ci sia realmente sotto quell’impalcatura di strati colorati. In entrambi i casi è l’estetica e l’idea di glamour che hanno un ruolo privilegiato.
E.S.: Il distacco e l’orgoglio che caratterizzano lo sguardo dei tuoi soggetti mi ricorda la ritrattistica femminile Rinascimentale, penso in particolare ai ritratti di Raffaello Sanzio. Ti sei ispirata a questo ambito per la creazione delle tue donne?
R.M.: L’eleganza e la compostezza delle mie figure femminili derivano sicuramente dalla ritrattistica nobiliare Rinascimentale, e l’attenzione al dettaglio dalla pittura Fiamminga. Per quanto riguarda i colori e le pose mi ispiro alle fotografie di moda, in particolare a grandi maestri come Helmut Newton, Richard Avedon, Erwin Olaf, e Ren Hang. Queste influenze provenienti da campi distinti e distanti nel tempo mi permettono di comunicare su più livelli.
E.S.: Dettagli, più o meno nascosti, appartenenti al mondo della moda sono presenti nelle tue opere, penso ad esempio alle ciglia della figura in “Untitled” (2019) che richiamano quelle della collezione primavera/estate 2019 di Valentino. Che peso ha la moda all’interno delle tue creazioni?
R.M.: Mi piace introdurre dei dettagli che saltino all’occhio solo agli “addetti ai lavori”. Amo inserire indizi all’interno di un’opera che possano creare aperture o collegamenti con altre sfere. La moda ha sicuramente un peso rilevante nel mio lavoro: seguo con attenzione il lavoro di alcuni stilisti, e ripropongo caratteristiche di alcune loro creazioni nel mio lavoro. ICON mostra la donna secondo una estetica contemporanea, senza che però questa possa essere definita “alla moda”.
E.S.: “Double” (2019), il dipinto che ha pubblicizzato la tua personale, mostra una donna elegantissima, sfuggente, posata, dallo sguardo sognante e dolente, ma anche enigmatica ed eccentrica. Si può affermare che essa riassuma il tuo ideale di donna contemporanea?
R.M.: Sicuramente questa figura rispecchia uno dei miei ideali di donna. Ciò che ricerco ed ammiro in una donna sono l’intelligenza, la forza, la personalità, la sensualità, il coraggio, la bellezza: tutte queste caratteristiche vengono di volta in volta tradotte in forme e colori diversi. La sintesi di questi aspetti racchiude il mio ideale di donna contemporanea. Il titolo “Double” preannuncia già l’inafferrabilità del soggetto che si sdoppia e ci guarda come in attesa di una risposta.
E.S.: Le tue opere fanno emergere due aspetti centrali della figura femminile: la donna come madre e come soggetto che fieramente emerge. Queste due sfere convivono efficacemente all’interno della mostra, mostrando le sfaccettature di questa figura. Il dibattito riguardo ai sacrifici che le donne devono compiere per avere una famiglia e allo stesso tempo portare avanti una carriera è molto attuale: qual è la tua posizione all’interno di questa discussione?
R.M.: Penso che il desiderio di diventare madre non debba essere visto come l’automatica privazione di una vita lavorativa soddisfacente e gratificante, o viceversa. Ogni donna dovrebbe avere il diritto di diventare madre e al contempo essere una donna di successo, se questo è ciò che desidera. La privazione di una o dell’altra cosa denuncia una incompatibilità tra i desideri della donna e l’ambiente in cui si trova, lo reputo ingiusto. Questo è sicuramente un argomento delicato: ciò che posso dire, è che se un domani dovessi diventare madre non potrei mai smettere di essere artista, né potrei mai rinunciare al mio lavoro. La maternità, se desiderata e voluta, è una trasformazione arricchente nella vita di ogni donna: dovrebbe quindi andare ad esaltare e nobilitare ciò che già siamo, e non privarci di una parte della nostra vita. In ICON esalto il tema della maternità e lo paragono quasi a un fatto sacrale: alcune opere ricordano iconograficamente la Madonna in trono con il bambino. Mi piace pensare la figura della madre come un essere soprannaturale, capace di dare la vita, una regina in trono, invincibile, che mostra al mondo il legame viscerale e sacro che ha con suo figlio.