UNA STANZA TUTTA PER SÉ

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OTTAVIA PLAZZA X FRANCESCA VITALE

Lettori di Osservatorio Futura, oggi sono felice di presentarvi la mia conversazione con la giovane artista torinese Ottavia Piazza. Nata ad Alessandria nel 1992, ha studiato all’Accademia Albertina di Torino dove, come ci spiegherà, si avvicina al mondo artistico e al dipinto, inteso da lei come una sorta di installazione che include anche ingredienti esterni all’elemento pittorico. Oltre all’evidente studio sul colore, nelle opere di Ottavia Piazza lei stessa si immerge e ci fa immergere nei suoi luoghi, nei suoi spazi e nelle sue stanze trasportandoci in un mondo avvolgente, caldo e a tratti onirico.


Ottavia Plazza, Ferguson nella stanza, 2021 – courtesy of the artist

Francesca Vitale: Ciao Ottavia, sono veramente contenta tu abbia accettato di prendere parte a questa intervista. Ho guardato spesso le tue opere, sia dal vivo, di fianco al nostro studio, dove lavori, sia sul portfolio che mi hai mandato. Inizierei dal principio: come è avvenuta la tua formazione artistica? Come ti sei appassionata al  mondo dell’arte?  

Ottavia Plazza: Ciao Francesca. Posso dire di essermi ufficialmente avvicinata al mondo dell’arte da quando mi sono iscritta all’indirizzo di pittura dell’Accademia Albertina di Torino, dove ho studiato ed è avvenuta la mia formazione.   

Ricordo che entrando nelle aule-laboratorio si passava all’interno di un mondo  circondato d’arte, in cui tutti intorno a me avevano un proprio spazio per i lavori e la  maggior parte dei miei compagni già dipingeva e aveva confidenza con la materia.  

Se il mondo dell’arte mi attirava e avevo già sperimentato qualcosa nella pittura, vivendoci a contatto, mi sono definitivamente dedicata a quello. Torino inoltre era una città frizzante, molto economica e c’erano diversi progetti interessanti che penso  abbiano contribuito alla mia formazione. 

F.V.: Quindi già prima dell’Accademia eri interessata al mondo dell’arte e della pittura?  

O.P.: Sì, prima dell’Accademia avevo frequentato il liceo artistico, ma pittura non era tra le mie materie.   

Già mi attraevano i colori e lo sperimentare con essi, però più che sulla pittura tendevo a concentrarmi sul disegno, pratica che invece dopo gli anni del liceo ho quasi del tutto abbandonato, avendo iniziato a conoscere e quindi sperimentare altre tecniche pittoriche. Da questi primi esperimenti sono passata dalla pittura acrilica a quella ad olio che è quella che uso tutt’ora. Quest’ultima è definitivamente la tecnica che mi permette di realizzare sul supporto l’immagine e l’idea che ho in mente.  

Ottavia Plazza, Maradona, 2020 – courtesy of the artist

F.V.: Quindi adesso lavori principalmente con la tela e olio?   

O.P.: Sì, l’olio su tela è la mia tecnica principale ma in realtà negli ultimi due anni sono ritornata anche al disegno (che mischio al colore ad olio) utilizzando anche altre tecniche, come per esempio il pastello a cera, altro olio, usando la carta… insomma, sperimento un po’!

F.V.: Oltre alle tele hai fatto numerose installazioni all’interno di stanze, giusto?  

O.P.: Esatto! Quelle che hai visto nel portfolio sono quelle che ho fatto all’esordio, durante le mie prime mostre.   

L’idea dell’installazione in realtà sta alla base dei miei lavori, la pittura stessa la  concepisco come un’istallazione, anche quando la “uso” in senso più classico, su tela.  Però sia l’uso del grande formato che il creare delle installazioni con l’uso della pittura, per me sono un volermi circondare di arte, di questo medium. Durante le prime esposizioni mescolavo la pittura alla scultura, in un certo senso. Pur rimanendo bidimensionali, le strutture che avevo creato coinvolgevano e occupavano lo spazio creando un luogo dentro un altro luogo.   

Possiamo dire che in quell’occasione pensavo alla conformazione della stanza per creare le istallazioni pittoriche, che non ho mai volutamente fare direttamente sul muro. Mi è sempre piaciuta l’idea di fare lavori come installazioni che allestissero la stanza e che poi una volta tolte, tutto scomparisse.   

Durante le mie prime mostre ho realizzato dei lavori guardando il luogo in cui sarebbero poi stati esposti: quelle opere non sono adattabili da altre parti.

Ottavia Plazza, Che il mondo intero sia di polvere rossa, 2019 – Spaziobuonasera, Torino – courtesy of the artist
Ottavia Plazza, Allenamento 01, 2018 – Basis, Francoforte sul Meno – courtesy of the artist

F.V.: Devo dire che tra le cose che più mi colpiscono dei tuoi lavori è come riesci tramite la pittura a creare il paradosso del luogo in un altro luogo. Dipingi una stanza per una stanza. Ne deduco quindi l’importanza che gli spazi e i luoghi hanno per te. Leggevo che tra le ispirazioni per le tue opere c’è il riferimento alla tua casa d’infanzia.   

O.P.: Prevalentemente le visioni degli interni sono ispirate alla casa in cui sono nata e dove tutt’ora vivono i miei genitori.   

Non c’è un perché, penso sia una cosa che a tutti coloro che lavorano con la propria creatività succeda; ognuno tende a pescare rimandi e ispirazioni dal proprio bagaglio personale di immagini. 

Riprendo dalla mia casa natale i colori molto accesi, in modo particolare i rossi intensi  che provo sempre a trasportare nelle mie opere.  

F.V.: Rimanda a un’altra dimensione.  

O.P.: Nel mio caso creo con la pittura un luogo in cui entrare e richiudermi; è anche per questo che i miei formati sono quasi tutti di grande dimensione. Vivo la pittura in maniera molto solitaria; dipingo per lunghi periodi senza l’idea di una possibile mostra ma semplicemente sperimentando la tecnica e le varie idee… Penso alla pittura come una specie di “allenamento”, come penso la maggior parte dei pittori, seppur con modalità differenti di azione. 

Per fare questo, come già ti accennavo, devo avere un luogo fisico. Ritornando alla  prima domanda, il “mio” luogo fisico inizialmente è stata l’Accademia, adesso è per  esempio il mio studio, la cui dimensione spesso influisce anche sulla grandezza delle tele e delle opere. Il mio lavoro è in costante relazione con lo spazio.   

F.V.: Le tue opere mi riportano molto a un mondo metafisico e onirico, come ad andare a ripescare vecchi ricordi legati agli spazi.  

O.P.: Sì, c’è sicuramente un forte elemento nostalgico che un po’ tutti ritroviamo nel nostro domestico che ovviamente viene anche modificato da ciò che voglio inserire nell’immagine. 

F.V.: Progetti per il futuro?   

O.P.: Adesso ho appena allestito una mostra da Renata Fabbri Entr-Acte e per il futuro ho delle cose in mente, dei progetti per dei nuovi quadri, ma ancora nulla di preciso.  

F.V.: Immagino ci siano degli artisti o in generale dei creativi dai quali trai ispirazione.  

O.P.: Di getto, se mi dovessi chiedere il nome di un pittore a cui guardo molto ti dire David Hockney. Un’altra artista che mi piace molto è Sol Calero; osservo il suo modo di usare il colore soprattutto, grazie al quale ricrea una “sudamericanità”, un po’ stereotipata per certi aspetti.   

Altra giovane da cui mi lascio ispirare è Tamara MacArthur; lei lavora con la performance e l’installazione e sebbene non c’entri molto con il mondo pittorico amo i suoi luoghi che fungono da set alle sue performance. Altre ispirazioni ad esempio nel mondo cinematografico le ritrovo tantissimo nel cinema onirico di David Lynch e nei luoghi che lui ricrea.  

F.V.: Ci sono per te delle mostre che senti ti abbiano soddisfatto come artista e che consideri un traguardo?  

O.P.: Tra quelle che ho fatto sicuramente “Allenamento”, la prima vera (per me) esposizione a Francoforte insieme agli artisti con cui abbiamo condiviso il progetto di  Spaziobuonasera. Mi ha dato la prova definitiva su quello che realmente volevo fare, è  stato un grande slancio. È stata la prima volta che ho tagliato la tela e l’ho usata come  opera. A ripensare in questo momento a quei lavori sicuramente c’era qualcosa che non funzionava, a livello formale, ma la decisione di presentare un’installazione pittorica, mi ha dato il via per tutta una serie di altri progetti. 

Mi vengono in mente anche altre due mostre a cui sono molto legata: la personale a  Spaziobuonasera e la bipersonale a Milano a Edicola Radetzky dove ho in due modi  diversi ricreato un ambiente.   

Nel primo caso, essendo anche in parte il mio spazio, avevo totale libertà; ho ricreato  completamente la stanza, dalle pareti al pavimento.   

A Milano avevo invece lavorato con la carta trasparente da architetto e avevo ricreato l’edicola “foderandola” di carta disegnata. Accendendo una luce all’interno questo mio lavoro aveva ‘pittoricamente collaborato’ con una performance che Nicolina Eklund aveva fatto all’interno.

Ottavia Plazza, Una stanza tutta per sé, 2019, Edicola Radetzky, Milano – courtesy of the artist