NON È SOLO UN QUADRO, RECITA IL MANTRA

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DAVIDE ROBALDO X JOHN BRINGWOLVES X FEDERICO PALUMBO

Primo contatto: Davide Robaldo – tra l’entusiastico e l’impaurito, per il fatto che non dipenda tutto da lui – mi parla di un progetto a cui sta lavorando. Deve realizzare la copertina di un disco elettronico. Che figata,  penso. Nel mentre mi tornano alla mente le copertine passate alla storia firmate da grandi artisti: Peter Blake o Andy Warhol. Robert Rauschenberg o Takashi Murakami. Insomma, mi lecco le dita incuriosito e affascinato come se avessi trovato lo scoop del secolo: un pittore che realizza una copertina di un disco musicale. Come non detto. 

Comunque sia penso che possa essere un’ottima occasione per lavorare a un approfondimento sul suo lavoro che ci promettiamo da ormai troppi mesi. Quindi mi faccio spiegare nel dettaglio il progetto: una copertina ufficiale, più vari zoom – i cosiddetti secondi piani dell’opera – a loro volta copertina dei vari singoli che strutturano il progetto musicale. Insomma, un approccio pittorico nonostante la destinazione digitale finale che potrebbe rischiare di raffreddare il lavoro completo.  

Per fortuna noi non siamo ortodossi, e non ci poniamo il problema.  

Secondo contatto: si apre il discorso ‘tempistiche’. Ora, solitamente mi piace cercare di essere quanto più possibile svizzero, ma ci rendiamo conto di essere in una morsa con differenti fusi orari dettati dalle diverse  persone che collaborano al progetto. “Vabbè Davi, capiamo. Non abbiamo mica fretta. L’importante è fare uscire una roba che abbia un senso”, sottopongo all’artista, e più in generale a tutti gli altri artisti quando ci  lavoro, come se fosse un mantra. “Sì, son d’accordo. Faccio un giro di e-mail e ci aggiorniamo”, mi risponde.  

Terzo contatto: Ok, cambio di programma. Per lo meno in parte: “il disco uscirà più il là, quindi capiamo quando fare uscire l’approfondimento”, mi annuncia l’artista. Ma non è l’unico discorso da portare avanti: “sai Davi, mi piacerebbe integrare a questo approfondimento un’ulteriore copertina sempre realizzata da te ma questa volta per noi, come apertura del mese di febbraio. Che te ne pare? Io mi potrei lanciare in considerazioni critiche di un certo peso legando i due approcci diversi che puoi avere, con noi e con John  [musicista, n.d.r.], fare una carrellata storico-artistica di tutti gli artisti che nella storia hanno realizzato copertine di dischi e non”, riporto a Davide Robaldo, non senza un grado di ansia data dalle tempistiche di un gennaio inoltrato. “Sì, ci sto. Mi gasa l’idea. Facciamolo. Ora penso a cosa fare”. Chiudo la chiamata ringraziandolo cento volte. 

Quarto contatto: corso Vinzaglio, Torino. Campanello Robaldo. Finalmente vado a vedere il lavoro dal vivo e altri progetti di cui mi aveva anticipato qualcosina, comprese le idee per la copertina. L’artista mi accoglie non soltanto con il caffè appena fatto, ma anche con un ulteriore cambio di programma: le copertine dei singoli non saranno più i particolari che compongono l’opera definitiva, ma diverse “prove colore” della stessa copertina. Verranno però pubblicate nel booklet o per i side project inerenti al disco; insomma, non una bocciatura stilistica. “Boh Davi, a me gasava più l’altra idea”. Dalla risposta capisco che anche lui avrebbe preferito l’altra opzione. “Non ti preoccupare, le useremo anche noi per impreziosire  l’approfondimento” gli dico, perché valgono ed è materiale di un certo livello. 

Quarto contatto (pt. II): per la copertina di Futura mi sottopone diverse idee, tutte provenienti dalle serie di lavori più recenti che sta portando avanti nell’ultimo periodo, con ricerche molto diverse tra loro. La cosa mi  piace. In particolare una: “speriamo scelga questa per la copertina”, penso e smozzico fra me e me, e lui.  Come sempre il discorso prende direzioni svariate facendo evaporare il focus che ci ha portati qui: risolvere e impostare le questioni più imminenti. Mi spiega nel dettaglio i lavori e mi faccio prendere dalla foga: “facciamo una mostra!”. Il focus è evaporato del tutto. 

Quinto contatto: ancora le tempistiche. Vabbè, ci decidiamo e capiamo che bisogna farlo uscire a metà mese inoltrato. La copertina categoricamente a inizio mese. Già non far uscire l’approfondimento il giorno dopo mi scombussola un po’ (ossessivo-compulsivo?). Però definiamo lo stesso il tutto. Siamo contenti e ci promettiamo di aggiornarci strada facendo. Se solo sapesse cosa stia scrivendo già oggi, 22 gennaio, su questo lavoro. Non so nemmeno ancora quale sarà la copertina. Però ho un grado di  fiducia con gli artisti che mi permette di scrivere prima ancora di aver visto il lavoro effettivo. E soprattutto, che mi permette di scrivere tutte queste cazzate, perché il lavoro parla (e parlerà) per sé. E io servo solo per  introdurlo. 

Cosa diversa, invece, la copertina che Davide ha realizzato per il disco di John Bringwolves, che invece serve per creare un mood ben preciso a un progetto musicale che, per fortuna, ha bisogno anche di appoggiarsi all’immagine. Ha ragione, Davide. Questo non è solo un quadro. È molto di più. 

LE FASI DEL PROGETTO  

di Davide Robaldo 

La progettazione  

Non è solo un quadro, non è solo un quadro, non è solo un quadro. È il mantra che cerco di ripetermi da un po’ di tempo a questa parte. Casca a fagiolo la commissione di John per il suo nuovo album in uscita in primavera. Non è solo un  quadro. Per questo lavoro ho deciso di coinvolgere l’amico grafico Giacomo Clemente, insieme abbiamo  deciso di affrontare la questione a cavallo tra arte e grafica. Utilizziamo metodi “accademici”, discussione del brief, analisi di scenario, mood board, inscrivendoli in un sistema di pensiero libero non legato alle  troppo stringenti forme della comunicazione classica. Ma che vuole dire?  

Il Brain washing  

Doveva essere storming, ma tutto sommato funziona anche così. Io ridivento grafico e Giacomo più artista. Ascoltiamo le prime bozze dell’album e spariamo cazzate più o meno sensate. Sembra incredibile ma  troviamo qualche opzione valida sulla quale insistere. 

La ricerca  

Cercare il trovabile sull’argomento è una pratica che tutti in ogni ambito facciamo più o meno sempre, cosa cambia qui? Assolutamente nulla. Facciamo una cartella immagini di più o meno 7 giga e via. 

Le bozze  

La fase in cui gli eroi cercano di dare una forma di senso alle scemenze fin qui solo scritte.  

La discussione  

Oh stiamo comunque lavorano per qualcuno, magari è tempo di aggiornarlo. Ci districhiamo tra super  cazzole e verità cosmiche, tra intuizioni geniali e stupidità. Il nome dell’album è “Sassy Goose”. Abbiamo  addirittura quattro proposte su cui lavorare. Le lavoriamo, le discutiamo, le lavoriamo e le discutiamo: ci siamo. Abbiamo l’idea. 

L’inquadro  

Un’oca al centro, è ciò che vogliamo si veda ad un primo sguardo. Ma se c’è un primo speriamo ci sia anche un secondo. Qui si dovrebbero scoprire, anche, una costellazione di elementi che contribuiscono (singolarmente e collettivamente) a costruire un piccolo mondo. Tra petrolieri, rugiade sintetiche, miraggi, cavalli, cammelli, chiese elettroniche, bandiere bianche e figure tribali si distingue finalmente una copertina che lascia spazio ad interpretazioni e ambiguità, che segue il flusso della musica che contiene. Sì, non è un quadro, non è un quadro. 

L’anima dov’è?  

Un momento complesso quello della fotografia: trasformiamo il salotto in un set fotografico più o meno professionale e boom con una Olympus pen f rubiamo l’anima del quadro e la digitalizziamo. Ora non è davvero un quadro. Entriamo nel mondo della comunicazione, iniziamo a sviluppare il percorso di  avvicinamento alla copertina (dovranno uscire due singoli prima dell’album). 

Scelte  

La scadenza si avvicina, in riunione ci siamo più o meno tutti, dal booking agent (Andrea Cussotto) al digital  strategist (Diego Indovino), siamo tutti tendenzialmente su una versione, ovviamente John è per l’altra. Apriti  cielo, tra fulmini e saette inizia quella che sembra un interminabile guerra civile, ognuno nella ragione delle sue idee. Ma siamo al servizio della musica in questo momento e ci avviamo verso la chiusura del progetto che uscirà ufficialmente il 26 Febbraio. Non è solo un quadro, non so ancora se qualcosa di più, di meno o semplicemente diverso. Sicuramente “La pittura è la battaglia contro il catalogo” (una romanticissima frase  che ho letto recentemente), ora, rimbomba nella testa.

NESSUNA CARTA BIANCA. INTERVISTA A JOHN BRINGWOLVES  

Federico Palumbo: Abbiamo avuto un resoconto dell’esperienza da Davide Robaldo. Sarebbe interessante, a questo punto del discorso, avere anche un tuo parere: da musicista, come hai vissuto le varie fasi del  progetto grafico? Hai dovuto accettare compromessi di qualche tipo?  

John Bringwolves: “Ho mandato un link di una playlist privata a Davide e Giacomo. Ascoltatela e poi ci parliamo di cosa vedete quando le hai sentite.” È iniziato tutto così. Ad essere sincero non è stato facile, ma penso sia normale quando affidi un’immagine che deve parlare da sola di tutto un lavoro intangibile che hai  fatto in un anno e mezzo circa. È stato terribilmente interessante vedere come l’artwork ha preso forma nelle varie fasi e, vivendo insieme a Davide, ogni volta che passavo dal corridoio vedevo il quadro crescere nei particolari pittorici. Compromessi non li ho dovuti accettare, anzi forse ora a lavoro finito mi sono accorto di essere stato piuttosto pistino, ma ho apprezzato molto sentire l’elasticità di Davide nel soddisfare la mia idea.  

FP: Com’è nata la scelta di affidare la copertina (anzi, le copertine) a Davide Robaldo? Avevi già in mente, a priori, una direzione iconica precisa? Oppure hai dato carta bianca all’artista?  

JB: Con Davide lavoriamo assieme da anni e non è il primo progetto in cui collaboriamo assieme unendo arte e musica. C’è sempre stata un allineamento di visioni pazzesco e naturale. Appena ho deciso di fare il  disco ho pensato subito a lui e alla possibilità di unire la musica elettronica a un mondo visivo più maturo e pittorico. Carta bianca totale no, lo ammetto. Mi interessava mischiare la mia passione iconica e a tratti pop  della grafica pulita e vettoriale con la pittura. Ho espresso la mia prima visione che ho avuto pensando al  disco. Da piccolo, passeggiando con i miei genitori e mia sorella, ho avuto un incontro fatale con un’oca vicino ad un lago e avvicinandomi per accarezzarla mi ha morso prepotentemente. Da quel giorno in tante altre situazioni mi sono trovato oche che spuntavano dal nulla, perfino in un giardino di una villa alle 4 del mattino per le strade del pigneto a Roma. Così mi sono fissato e ho pensato che era l’animale che meglio rappresenta tutte le tracce del disco. Alcune docili, bianche, pure, intime, ed altre scorbutiche, moleste e più spensierate.  

FP: Sei contento del lavoro fin qui svolto e di come Davide Robaldo ha interpretato il tuo disco e l’ha ‘reso’ immagine?  

JB: Un giorno Davide e Giacomo mi chiamano in video e mi raccontano cosa hanno visto sentendo il preascolto del disco. Rimango stupefatto dalla profondità che hanno percepito dalla mia musica. Con l’intento di tramutarla in qualcosa di iconico per soddisfare la mia richiesta sull’oca al centro del tutto, hanno voluto dargli profondità e ricchezza di particolari e di simboli, costruendo un paesaggio intorno all’oca da esplorare. Questa loro visione è stata la cosa che più mi ha riempito di entusiasmo, perché è  arrivata proprio in aiuto all’oca solitaria e ha reso l’artwork iconico ma per nulla minimal, ma anzi, ricco di  mondi onirici, diventando tridimensionale.  

FP: Da un punto di vista musicale, quanto effettivamente è importante trovare la giusta veste grafica a un progetto come il tuo?  

JB: È importantissimo! Ora spesso lo riguardo ed è come se suonasse il disco mentre lo guardo. Funziona il  meccanismo alla base del mio progetto, a cui ho sempre voluto dare un taglio molto visivo.  

FP: Puoi svelarci qualcosa di più in merito al disco?  

JB: Ci sarà un vinile stampato e sicuramente con Davide faremo un oggetto matto e pieno di  sperimentazione tra arte, grafica, carta, materiali… e forse anche con un legame con il mondo digitale o con una performance dal vivo? Chi lo sa! 

SIAMO ARRIVATI ALL’ALTRA COPERTINA  

conclusione di Federico Palumbo 

Sì, siamo arrivati anche all’altra copertina e quindi all’ultima grande protagonista di questo approfondimento, quella realizzata per noi di Futura e che ha aperto il mese di Febbraio. Inizio incorporando il concept del progetto che l’artista mi inviò poco prima di farmi vedere il lavoro concluso:  

“Trascurare il confine tra reale e immaginifico, pensando allo spazio come ad un vaso che contiene un fluido. Se cambia lo spazio cambia la forma del liquido. Se il fluido diventa un medium che conserva in se stesso il  significante del “vaso”, allora, nel nostro caso, il garage diventa sia contenuto che contenente. Perché lo spazio/vaso è un garage e il fluido/liquido è cosa il garage è in quel momento. 

Partendo da queste riflessioni i primi elementi installativi saranno delle tele su telaio che gravitano attorno al concetto di muro. L’obiettivo è di collegare l’interno con l’esterno cercando di leggere il tropismo che dovrebbe caratterizzare il contemporaneo. Lo spazio è in movimento, dissacrato e contestualizzato. La tela è diventata un muro che che non traccia confini ma suggerisce confronti”.  

Ragionare sulla pittura site-specific lo trovo assai interessante. Ora capirete il mio eccesso di foga esploso durante il quarto incontro e la mia esclamazione: “FACCIAMO UNA MOSTRA!”. Credo, infatti, che queste  suggestioni che l’artista sta coltivando e sulle quali sta ragionando da tempo possano esprimersi al meglio durante una residenza/mostra all’interno di un luogo fisico. L’intimità che sposa la quotidianità suggella  l’amore/odio provocato dallo spazio circostante. Le mura di casa, dolci amare, che mai come l’ultimo anno appena trascorso sono state in grado di mostrarsi colme di rimandi extra-utilitari e campo di battaglia fra  sentimenti opposti, possono divenire scintilla per aprire le danze a un discorso squisitamente pittorico e sensoriale. 

D’altronde, per concludere, penso davvero che Davide Robaldo abbia c’entrato la questione, a priori. Fin dall’inizio, quando si ripeteva “non è solo un quadro”. Io non posso che dargli ragione, come già detto in  precedenza.  

Davide Robaldo, infatti, non è solo un pittore. Le opere che qui reggono la scena da protagoniste – ovvero  le due copertine – non sono solo quadri. La ricerca continua, e il fatto che riesca a piegare in base alle circostanza il ‘proprio’ medium è figlio di quel  “non è solo un quadro” che si ripeteva come un mantra. Non è solo un quadro. Non sono solo copertine. È solo arte e questo non è un approfondimento.  

Copertina Osservatorio Futura febbraio 2021

La copertina definitiva del disco non è ancora visibile integralmente. Dovrete aspettare l’uscita del disco il 30 aprile. Qui sono infatti presenti diversi dettagli dell’opera. 

Hanno partecipato al progetto:  

Davide Robaldo _ Artista visivo 

John Bringwolves _ Musicista 

Diego Indovino _ Manager 

Andrea Cussotto _ Manager 

Giacomo Clemente _ Graphic Designer 

Ludovica Drusi _ Fotografa