MATRICE 22 X MATTEO GARI
Gli artisti utilizzano spazi, fisici e virtuali, per esplorare, sfidare e dibattere questioni che spesso sfuggono alla rigidità degli algoritmi e delle regolamentazioni arbitrarie di Internet. I nuovi media aprono a un mondo di possiblità, ma si portano dietro contraddizioni che svelano sistemi di
potere spesso patriarcali.
La censura dettata dalle community guidelines non risparmia la comunità artistica, quale che sia la fonte del contenuto “inappropriato”: artisti più o meno affermati, istituzioni pubbliche e private.
Nella maggior parte dei casi sono i corpi a essere soggetto proibito agli “occhi” del web, in un circolo vizioso di ipocrisia e misoginia che pervade un mondo ipersessualizzato.
È noto per la sua assurdità un caso di censura da parte di Facebook, risalente al 2017, di un’immagine della Venere di Willendorf, una piccola scultura in pietra calcarea di 11cm realizzata tra il 23.000 e il 19.000 a.C., segnalata in quanto immagine di nudo. L’assurdità di questo sistema si riflette su due fronti di discriminazione opposti: poche settimane fa una studentessa di 22 anni è stata intimata di coprire la scollatura al Musée d’Orsay – forse i seni sono più decorosi quando è un uomo a dipingerli -; allo stesso tempo le foto dei seni dell’artista, producer e songwriter venezuelana Arca sfuggono alle restrizioni di Instagram. Sento puzza di transfobia e mi chiedo: chissà quale forma di seno andrà bene al signor Zuckerberg?
La carriera di molti artisti è strettamente legata alla loro presenza sui social network, che spesso diventano il veicolo principale per instaurare connessioni con altri artisti, gallerie e collezionisti. È questo il caso del collettivo indipendente Matrice 22 di Milano, che con il suo slogan e progetto #feelthenipple utilizza i corpi contro la censura.
M.G.: Matrice 22 è attivo, come collettivo indipendente, dal 2018. Chi sono le persone che lo compongono e cosa vi ha portato a unirvi in un collettivo?
M22: Come collettivo nasciamo insieme al nostro primo progetto #feelthenipple nel 2018: allora eravamo ancora tutte studentesse in ambiti diversi, ma ci siamo riconosciute in questa idea che ci ha legate all’istante. Oggi ognuna di noi porta avanti parallelamente un proprio percorso professionale e artistico, ma continuano a esserci cose che vogliamo dire insieme.
M.G.: Cosa comporta il far parte di un gruppo artistico? Come gestite le idee, i progetti e le problematicità?
M22: Essere un gruppo è stimolante, ti mette alla prova. Comporta anche una buona dose di pazienza. È importante essere forti delle proprie idee, ma soprattutto ascoltare il punto di vista altrui.
Non abbiamo una formula standard per la gestione dei progetti: ogni volta che decidiamo di svilupparne uno ci vediamo, condividiamo e litighiamo. Mettiamo sul tavolo le nostre conoscenze e i nostri dubbi, a volte cambiamo idea, poi ci rivolgiamo all’esterno. Spesso ci capita di intervistare persone, chiedere consulenze specialistiche e professionali.
MG: Vi definite collettivo “indipendente”. Rispetto a cosa siete indipendenti? Come interpretate il concetto di indipendenza?
M22: Essere indipendenti per noi significa provare a essere libere dalle aspettative, poter quindi cambiare stile, mezzi, remando contro la logica secondo cui se non produci non sei. Significa anche imparare a chiedere aiuto e a darlo.
Cerchiamo bandi che si adattino al nostro operato. Raramente ne scegliamo uno per realizzare un progetto ad hoc. Ci sentiamo libere di puntare sul cavallo sbagliato, indipendentemente da ciò che potrà succedere. Essendo totalmente autofinanziate abbiamo poche scadenze, se non quelle ci prefiggiamo noi. Siamo libere di esplorare e di arrangiarci, senza rinunciare a nulla, con quello che abbiamo: noi stesse. Questo non è poco.
MG: Il vostro primo progetto, tutt’ora in corso, si intitola #feelthenipple. Da dove nasce il desiderio di tappezzare di tette la città di Milano?
M22: Nasce da un’esigenza di sfogo: una di noi scatta foto di nudo femminile da anni, e da anni il suo lavoro viene censurato su Instagram. A un certo punto ha avuto bisogno di reagire concretamente, di parlare del fenomeno e di andare a fondo. Lo stesso bisogno, per ragioni “diverse”, apparteneva a tutte noi. Allora abbiamo iniziato a tappezzare Milano di tette.
Era fondamentale che questi seni non potessero essere tolti con un unfollow o con una segnalazione. Non ci interessava mettere un seno dov’era concesso, ma piuttosto dove aveva bisogno di stare.
M.G.: Siete ormai al quinto profilo Instagram. Come vivete la censura sui social network? Il mondo dell’arte in Italia è libero da questo problema o pensate che ci siano casi di censura simili?
M22: Noi usiamo solo ed esclusivamente Instagram e lì il sistema di censura è stracolmo di contraddizioni, risponde a logiche sessiste e omo-transfobiche che tutelano solo gli account redditizi.
Per noi – e non solo – è un vero e proprio abuso e combatterlo può essere sfiancante perché si ha a che fare con un incrociarsi di algoritmi e segnalazioni di utenti, in mezzo ai quali è difficile
districarsi.
Potremmo vivere anche senza Instagram, ma il nostro profilo e i nostri hashtag sono importanti: #feelthenipple, appunto, vive rimbalzando tra i muri e le foto online. Internet ci permette di ricevere feedback fondamentali e attivare nuovi progetti come le call for artist. (una è
attualmente aperta)
Per quanto riguarda il mondo dell’arte: esistono dei luoghi in cui certe immagini, nel senso ampio del termine, non sono censurate, ma a noi proprio non interessa relegarle su quelle pareti in cui è già loro concesso stare.
M.G.: Sono rimasto molto colpito la prima volta che visto l’installazione video Hello World! (2019). Purtroppo in Italia è raro imbattersi, nei media mainstream, in rappresentazioni realistiche e oneste del parto.
M22: Trovare il materiale che abbiamo utilizzato per l’installazione ha colpito anche noi, tanto che non abbiamo potuto fare a meno di sceglierlo. I video di Sarah Schmid sono indubbiamente il cuore di Hello World!, ma il lavoro parte dal nostro “innamoramento” per quelle immagini e
continua nel confronto con il pubblico.
Dal nostro punto di vista è un altro tassello del ragionamento sulla rappresentazione dei corpi, di come questi giochino un ruolo imprescindibile nelle lotte e siano ancora una fonte pressoché
inesauribile per la ricerca artistica.
M.G.: Qual è la vostra percezione riguardo alla questione del gap di genere nell’arte contemporanea?
M22: Il sessismo è un problema sistemico della nostra società e il mondo dell’arte non ne è certo escluso. La nostra percezione è tale che cerchiamo sempre di farne un tema parallelo nei nostri lavori. Per questo frequentiamo realtà queer e transfemministe, che hanno costruito nel tempo, e continuano tutt’ora, una rete vitale di solidarietà, cura e lotta, anche e soprattutto nelle pratiche artistiche.
M.G.: Avete dei progetti precisi per il futuro? Se ipoteticamente Matrice22 avesse capacità, anche economiche, illimitate cosa desiderereste realizzare?
M22: Probabilmente la prima cosa che faremmo è trovare uno spazio, a Milano, da adattare per farlo diventare un nostro studio condiviso con altre realtà e persone. Poi toccherebbe a tutte le foto di tette che abbiamo in archivio e che non abbiamo mai avuto i soldi per stampare. Per quanto riguarda progetti nuovi, ne abbiamo uno in canna che abbiamo iniziato da poco a sviluppare, molto diverso da tutti i nostri precedenti e che avrà sicuramente bisogno di molti aiuti e risorse!