CAMBIO LAVORO – CARROZZERIA DELLE ROSE

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VALETINA AVANZINI X MATTEO GARI

“Sull’orlo della città, vicino alla metro di Porto di Mare (che non è un vero porto), lo studio Carrozzeria delle Rose (che non è una vera carrozzeria) è lo spazio per essere quello che non eravamo, fare quello che avevamo giurato di non fare mai, pensare quello che altrimenti non avremmo pensato. Cambio Lavoro è solo la prima delle sue deflagrazioni.” Con queste parole si presentano Claudia Petraroli, Stella Stefani, Emanuele Resce, Vincenzo Zancana, Miriam Montani e Valentina Avanzini, che domani inaugureranno il nuovo spazio milanese di Carrozzeria delle Rose con la mostra collettiva Cambio Lavoro. 

La chiacchierata di oggi è quindi con Valentina Avanzini che, facendosi portavoce del gruppo, ci racconterà qualche retroscena e qualche anticipazione, ma senza fare troppi spoiler.


courtesy of the artists

Matteo Gari: Vorrei iniziare chiedendoti di raccontarmi il tuo percorso e in particolare come ti sei resa conto di essere interessata all’arte.

Valentina Avanzini: Curiosamente, ho una risposta molto precisa alla tua domanda, una specie di episodio epifanico. Quando avevo 17 anni, due professoresse a cui devo molto hanno iscritto la mia classe a un concorso dedicato all’articolo 9 della costituzione (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione). Lavorare insieme alla soprintendenza di Parma sul patrimonio storico e artistico della mia città mi ha fatto capire, anche solo in modo embrionale, che l’arte ci permetteva di riconoscerci come un “noi” non contro, a differenza di qualcos’altro, ma in termini positivi, come infinita ricchezza. Da questa consapevolezza è nata una scelta di vita. C’è poi stata la laurea in Lettere Moderne a Pavia, il trasferimento a Milano per studiare Arti Visive e Studi Curatoriali in NABA ed essere più vicina a chi stava facendo arte “qui ed ora”. Ci sono state e ci sono molte altre cose, soprattutto ritrattazioni e riformulazioni di quell’idea iniziale che però, in qualche modo, rimane sempre un punto fisso in tutto quello che faccio, dal mio lavoro a tutti gli altri progetti, come la mostra Cambio Lavoro, che inaugura domani.

M.G.: Cambio Lavoro sarà la prima mostra di Carrozzeria delle Rose, studio di Miriam Montani che accoglierà il tuo lavoro insieme a quello di Emanuele Resce, Stella Stefani, Claudia Petraroli, Vincenzo Zancana e della stessa Miriam Montani. Come e quando è nato questo progetto?

V.A.: Come tutte le cose più grandi di noi, ha avuto una genesi tanto improvvisa da sembrare casuale. Probabilmente ci stava aspettando da tanto tempo, invece. Miriam si è trasferita in questo spazio ai limitari di Milano da pochissimo tempo e da subito ha cominciato a creare legami con il suo mondo e con quello che la circondava – una capacità che in molti modi si interseca con la sua pratica artistica. Fin dalla primissima volta che abbiamo visitato questo spazio ampissimo (un tempo era un’officina) è stato chiaro che potesse, che dovesse accadere qualcosa. È stato quindi naturale, parlando, immaginare una mostra insieme, che in qualche modo inaugurasse questo luogo in divenire. Così come è stato naturale appoggiarsi ai vicini di casa, la Carrozzeria delle Rose (quella che è una vera carrozzeria) che ci ha fornito aiuto e materiale, diventando di fatto madrina dello spazio e donandogli anche questo nome un po’ delicato un po’ periferico.

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M.G.: Come siete arrivati al titolo della mostra? È merito di qualcuno in particolare?

V.A.: Dell’insonnia e dell’oroscopo! Mi spiego. Il nome nasce dal pensiero che tutti noi (lavoratori dell’arte o giovani in generale o semplicemente umani) abbiamo avuto almeno una volta, soprattutto quando i pensieri sono tanti e non si riesce a dormire: basta, non ce la faccio più, non ne vale la pena, cambio lavoro. Paolo Fox rincara la dose, sostenendo che questo sarebbe l’anno giusto per farlo davvero (almeno per i nati con il Sole in Toro, come Vincenzo Zancana). Questo è stato il nostro punto di partenza, con tutta la straordinaria energia rigeneratrice che comporta abbracciare un’idea del genere capovolgendone il valore disfattista in uno stimolo positivo, in un progetto comune. L’idea è quindi molto diversa da cambiare il lavoro, le sue condizioni e i suoi presupposti. Si muove sui binari di una trasformazione se vuoi più intima, sicuramente più ironica, perché in realtà non c’è nient’altro che vorremmo fare.

MG.: Che rapporti si sono sviluppati tra di voi nel corso di questo progetto? 

V.A.: Questa è stata forse una delle prime e più grandi trasformazioni. Nel tempo (peraltro brevissimo) in cui si è sviluppata la mostra abbiamo visto svilupparsi e rafforzarsi legami di amicizia, ma anche scambi di conoscenze, aiuto e sostegno reciproco per la realizzazione materiale del progetto, ma anche per il superamento dei dubbi e delle stanchezze che inevitabilmente nascono quando si fa qualcosa in cui si crede davvero. Penso che quello che era nato quasi come uno scherzo abbia avuto un effetto reale: possiamo dire che il nostro lavoro sia davvero cambiato nel corso di questa esperienza. Un’incidenza fisica che poi è il presupposto essenziale perché lo stesso effetto possa propagarsi su chi la vivrà da spettatore.

M.G.: Quale narrazione c’è in Cambio lavoro? Cosa dobbiamo aspettarci da questa mostra? 

V.A.: C’è chi ha deciso di fare quello che avrebbe sempre voluto e darsi alla performance, chi ha ripreso in mano un’idea accantonata da tempo tornando al corpo alla pelle e al vestito, chi ha stretto alleanze con i vicini di casa imparando un nuovo lavoro e insegnandone molti altri. C’è chi ha riflettuto su mestieri che nemmeno sono considerati tali risalendo ai loro archetipi domestici e biblici. C’è poi chi ha cambiato lavoro per davvero, chiamando per la prima volta “arte” le forme e le parole che già da tempo era in grado di generare. Anche io, che nella forma scritta ho il mio rifugio sicuro, l’ho vista trasformarsi in qualcosa di solido, più grande di me, liberatorio direi. Ecco, questo forse è quello che ci si può aspettare: una celebrazione, una liberazione, un mutamento che sposta un po’ più in là i confini che avevamo tracciato (sempre che vogliate seguirci).

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M.G.: In quale direzione state guardando per il futuro?  

V.A.: Avanti, indietro, spesso anche di lato: trasformarci (ma non cambiare lavoro).


Cambio lavoro inaugura in via Fabio Massimo 13 (MI) sabato 5 giugno alle 17

Lavoro impermanente di Miriam Montani alle 18

La mostra sarà visitabile dal 6 al 12 giugno su appuntamento. Scrivere a: info@miriammontani.it

Con il sostegno e l’appoggio di Carrozzeria delle Rose (che è una vera carrozzeria)