CONVERSAZIONE TRA GABRIELE MASSARO E MARTA ACCIARO

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Marta M. Acciaro: Qual è la tua esperienza artistica? Quando hai capito che la pittura era il linguaggio che più ti si addiceva?

Gabriele Massaro: Il mio rapporto con la pittura nasce quand’ero bambino, con mio nonno che era un pittore. Crescere vedendo far pittura, circondato da quadri, penso sia per un bambino qualcosa di molto affascinante. Sicuramente per me lo è stato, ed anche se nell’adolescenza non ho praticato la pittura né seguito studi artistici, la mia necessità di dipingere è poi venuta fuori e con la scelta di frequentare l’Accademia di belle Arti questa necessità si è strutturata in una ricerca, un lavoro.

Gabriele Massaro, senza titolo, 100×70, acrilico e inchiostro permanete su tela – courtesy l’artista

M.A.: Quali sono stati i passaggi pittorici che ti hanno portato alla formulazione compositiva delle tue ultime opere?

G.M.: La mia ricerca non si sviluppa attraverso un percorso lineare, piuttosto è un procedere che mette in dubbio il compiuto mediante la sperimentazione ed il cambiamento delle soluzioni. Un’istintività nell’agire è affiancata ad una valutazione razionale del prodotto, che può quindi risultare valido e stimolante, come infruttuoso e deludente. Intendo la pittura come una pratica concreta, fisica, che comporta un’indagine, in primo luogo sulla pittura stessa e sul fare pittura. Non ho invece una “maniera” assoluta di fare pittura, tendo piuttosto a trovare e distruggere le risoluzioni tecniche. Tutte le conclusioni però, sia tecniche che concettuali, divengono materiale costruttivo riformabile in nuove complessità, in un processo di continua valutazione, svalutazione e rivalutazione di un pensiero.

Gabriele Massaro, oleandro, 130×90, acrilico ed inchiostro permanente su tela – courtesy l’artista

M.A.: Gli elementi del quotidiano come sgabelli, animali e piante sono protagonisti di alcuni tuoi lavori. Come mai ti interessa il quotidiano e che tipo di ricerca fai su questi elementi?

G.M.: La volontà di inserire degli oggetti, delle figure, nei miei ultimi lavori nasce da una suggestione: osservando le cose nello spazio in una situazione di buio o penombra accade che gli oggetti tendano a schiacciarsi verso la parete e la parete tenda a venire verso gli oggetti inglobandoli. Lo spazio ed il suo contenuto si fondono in un’unica sostanza vibrante ed evanescente. Ne deriva un’ambiguità tra soggetto e sfondo e quindi una possibilità interpretativa delle cose, della realtà che si traduce in possibilità compositiva e cromatica nella pittura. Le figure del quotidiano diventano delle nature morte, un pretesto e uno strumento compositivo che permette di definire un pensiero pittorico. Azzarderei a definire meglio questi lavori come delle “nature della morte”. Morte intesa come capacità di strutturare la possibilità e la non possibilità, la concepibilità; come capacità di immaginare. Creazione di immagini, questo è per me il quotidiano.

M.A.: Alcune tue opere sono stratificazioni di bande colorate. Sembrano errori sovrapposti di stampanti laser. Puoi parlarmi di questi lavori?

G.M.: Vista in maniera analitica, la pittura non è altro che una sovrapposizione di strati di colore su un supporto e la conseguente creazione di un’immagine. Attraverso l’uso di materiali convenzionali pittorici ho trovato un modo meccanico e rituale di stesura del colore. Le varie stesure, alternate in verticale ed orizzontale, non si differenziano esclusivamente a livello cromatico ma anche per trasparenza, opacità e lucentezza del colore: il risultato è una tessitura fitta che “ripresenta” il supporto, la trama della tela, quello che in teoria la pittura copre ed annulla. Sia per la modalità meccanica, “matematica” d’esecuzione sia per il risultato estetico, questi dipinti possono essere visti come delle stampe o dei monitor, e mettono a confronto la superficie di creazione d’immagine classica del dipinto con la tecnologica dello schermo: intendendo il pixel come supporto e struttura di un’immagine digitale, il processo di creazione dell’immagine comporta la dissoluzione e l’occultamento del supporto; in maniera opposta i miei lavori strutturano e riqualificano, attraverso il processo di creazione dell’immagine, il supporto della pittura, la tela.

Gabriele Massaro, spazio, 190×150, acrilico e inchiostro permanente su tela – courtesy l’artista

M.A.: Ho notato in molte tele un interesse per lo spazio intero della tela stessa, quindi compreso il telaio. Che tipo di rapporto hai tu e hanno i tuoi dipinti con i bordi nel loro entrare in relazione con l’opera e con lo spazio circostante?

G.M.: Il bordo del telaio è la fisicità del quadro, ciò che permette di identificare un dipinto non solo come un “campo immaginativo” ma anche come un oggetto che si trova in uno spazio. Ho usato i bordi del telaio in diversi modi, a seconda dell’esigenza: attraverso la rifrazione luminosa del bordo dipinto sulla parete il quadro si espande oltre i suoi limiti; nei polittici, in cui i singoli pezzi hanno spessori diversi, i bordi, al variare del punto d’osservazione, “entrano” nella superficie – piano principale del polittico – e la integrano modificandola allo stesso tempo; il bordo come luogo della storia del quadro, dove sono conservate e visibili le scolature dei diversi strati di colore. Anche se con soluzioni differenti, il bordo del telaio è la parte del dipinto che definisce il rapporto dell’oggetto quadro, e dello spazio in cui si colloca, con l’osservatore e con il suo punto d’osservazione.

M.A.: La tua ultima mostra si è tenuta a Torino. Era un box adattato a spazio indipendente. Come ti sei rapportato allo spazio, che hai anche dovuto condividere con l’opera di Davide Mineo?

G.M.: Ho pensato di “aprire” lo spazio chiuso del box con una finestra, di ragionare quindi su un idea di trasparenza e profondità. L’opera “Lucerna” interagisce con lo spazio non solo attraverso la profondità illusionistica ed il conseguente “sfondamento” della tela e della parete, ma anche grazie al rapporto tra materia pittorica, luce e punto d’osservazione. Queste ultime due variabili creano un “movimento” degli strati pittorici: quello che sta sotto viene sopra, il primo piano retrocede, la prospettiva crolla, un’ ombra diventa luce. La profondità illusionistica si fonde e confonde con la profondità materica della superficie pittorica. L’opera di Davide, con soluzioni diverse, penso che ragioni ugualmente su un’idea di trasparenza e profondità. Una trasparenza fisica del materiale che permette di vedere attraverso ma che  altera la visione. La mostra che ne è venuta fuori è un seguirsi di piani fisicamente o illusionisticamente trasparenti che portano l’osservatore a relazionarsi con lo spazio e a scoprirne le profondità; una sorta di cannocchiale che permette di filtrare la realtà.

Gabriele Massaro, Lucerna 230×165 cm, acrilico e inchiostro permanente su tela – courtesy l’artista

M.A.: Progetti per il futuro?

G.M.: Dipingere milioni di quadri. Miliardi!