COME TO ARCADIA

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CHRISTINA G. HADLEY X MATTEO GARI

Nei circa dieci anni trascorsi da quando ho iniziato a interessarmi al mondo dell’arte, frequentando licei artistici e Accademie, ho raramente sentito insegnanti, curatori o critici parlare delle caratteristiche creative, educative e formative dei giochi. Questo si rispecchia nella loro totale assenza dagli spazi deputati all’arte e alla cultura. Gli eruditi dell’arte sono spesso e volentieri ciechi rispetto al potente impatto che i giochi – e in particolare i videogiochi – hanno su generazioni di artiste e artisti che, anche operando con medium tradizionali, si trovano immersi in un mondo digitalizzato incidere il loro modo di immaginare mondi. 

L’universo videoludico si è affermato sempre di più come forma culturale autonoma e artiste e artisti hanno iniziato a sviluppare videogiochi per scopi esclusivamente artistici, oppure si sono infiltrati all’interno di linguaggi e mondi digitali per analizzare la trasposizione virtuale di concetti come privacy, libero arbitrio, capitalismo e autorità.

Questa premessa è importante per comprendere e apprezzare gli universi prodotti da Christina G. Hadley (1990). Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna in Cinema e Video, si è lanciata all’esplorazione del mondo dell’Hacking etico, facendo sue le pratiche della programmazione e modellazione grafica 3D. Le sue opere esplorano il lato grottesco, kitsch e camp del nostro tempo nel tentativo di attivarne una visione critica e ironica.


Matteo Gari: Mi piacerebbe iniziare parlando di Arcadia, performance virtuale sviluppata all’interno di PropagAzioni per l’associazione milanese Genealogie del Futuro. Come sei arrivata a sviluppare questo mondo? 

Christina G Hadley: Arcadia germoglia dalle ceneri di un mondo sommerso, in un paesaggio post-apocalittico conseguente all’estrattivismo predatorio e insostenibile dell’Antropocene. Arcadia è una cittadina e una comunità online cyber-transfemminista e antirazzista che, nel nostro mondo, esiste sottoforma di codice digitale, all’interno del videogioco VRchat. Arcadia è un punto di partenza e insieme di arrivo per la rinascita ecologica e per la libertà identitaria dei vari mondi e tempi presenti nel multi-verso.

Come tutti i miei lavori nasce da esperienze personali. Provengo da un paesino della Puglia in cui la religione è un elemento centrale. Mi ha sempre colpito il potere che le parole scritte in testi sacri possono avere sulle persone. Arcadia nasce come una nuova religione, il cui testo sacro è il risultato di una serie di testi, come il romanzo The Handmaid’s Tale e le sceneggiature di Xena e Kill Bill, dati in pasto a un’intelligenza artificiale di machine learning. Il risultato è stato un testo di quattro pagine: le prime tre di una sceneggiatura abbastanza casuale e la quarta  una ripetizione da cima a fondo delle parole “The Bride, The Bride, The Bride, The Bride, ecc.”. Quindi ho pensato che questa Sposa dovesse essere la protagonista del lavoro. 

Il mio desiderio è stato di realizzare una para religione in cui potessero sentirsi rappresentati i reietti, le persone queer. Una religione non binaria, anti capitalista e anti patriarcale. Arcadia esiste per davvero, non nel nostro piano reale delle cose ma in quello virtuale. La storia della Sposa a breve sarà disponibile alla lettura sul sito web dedicato al progetto. Non nasce divinità, ma lo diventa nel tempo dopo essere stata sempre sottomessa. Viene costretta a sposare un generale, anche se amava un’altra donna. Questa storia è piena di violenza e riferimenti religiosi, come la sparizione del corpo della Sposa e le figure dei Sette. Arcadia nasce come atto di carità della Sposa, dalle ceneri di una Terra che non si può più salvare ed è costretta ad implodere. 

Mi piacerebbe aprire una call per invitare persone a organizzare attività in questo mondo virtuale, in modo da renderlo un luogo di scambio umano, una house intesa nel senso della Ballroom. 

MG: Cosa ti attrae dei linguaggi digitali? 

CGH: Credo che non ci sia più bisogno di parlare di linguaggi digitali e non, ormai è tutto digitalizzato, le foto sono digitali, anche i dipinti possono essere digitali, le nostre vite sono digitali.
Pur non essendo a tutti gli effetti una nativa digitale, sono nata nei primissimi anni Novanta e ho avuto il mio primo computer fisso un po’ avanti negli anni, ho passato la maggior parte della mia vita in digitale e ne ho assorbito – come ormai una buona percentuale della popolazione mondiale – gli effetti.
Ciò che trovo interessante, ed è ciò che faccio con la mia pratica, è la capacità di poter plasmare, ricombinare e creare storie in maniera indipendente e a poco prezzo attraverso questi media.
Adoro le storie, crearle e ricrearle tramite questi linguaggi per me è una specie di cura necessaria a questo mondo/società insopportabile. 

Potete esplorare ulteriormente Arcadia a questo link

Christina G, Hadley, ARCADIA, 2021, video still – courtesy dell’artista
Christina G, Hadley, ARCADIA, 2021, video still – courtesy dell’artista

Christina G. Hadley, Arcadia, Bride’s Speech, video

MG: Mi parli del progetto Let me feel you Streaming?

CGH: Let me feel you Streaming è il nome di una mostra collettiva online curata qualche mese fa da Michela De Carlo (Kamilia Kard) e Domenico Quaranta a cui ho preso parte. Attraverso unboxing, video essay, siti web, machinima, ambienti di chat VR, filtri e sticker, la mostra esplorava la dimensione emotiva scaturita dal social distancing e dal confinamento online riguardo le relazioni sociali e sentimentali. Il mio contributo è venuto un po’ per caso, durante le lezioni di un corso a cui ho partecipato tenuto da Kamilia ci venne chiesto poco prima delle vacanze natalizie di creare un video unboxing: il come, il dove e il perché stava a noi trovarlo.
Ho passato giorni a vedere spacchettamenti su YouTube, a studiare il linguaggio usato dagli youtuber e spontaneamente nella mia mente ha preso forma la figura di unə nuovə tipo di aspirante youtuber: unə extraterrestre ossessionatə dalla cultura terrestre che spacchetta alcuni acquisti provenienti dalla Terra.
Il video immagino sia esilarante per il mix di generi utilizzati, gli effetti speciali dozzinali e i topoi della cultura di Internet, ma allo stesso tempo è anche perturbante, indaga attraverso una buona dose di humor nero, trash e stereotipi, l’incontro, l’approccio e le convinzioni culturali, razziali che molte persone hanno verso l’altro.
Probabilmente I Wanna Be A Terrestrial sarà una serie che porterò avanti su YouTube nel tempo, chissà.

Christina G. Hadley, I Wanna Be A Terrestrial, video still – courtesy dell’artista

MG: Stai lavorando a qualcosa al momento?

CGH: Sì, La Montagna del Sapone – il mio personale Ben Hur – è un progetto molto grande che spero non mi porti alla morte (scherzo): è composto da un film animato in CGI basato su un concept album di Marta Coletti dalla durata complessiva di 70 minuti e da un sito web/videogame. Il film suddiviso in tredici capitoli non ha una trama convenzionale e lineare, è un viaggio metaforico e onirico nei vari strati della rete. Internet diviene il pretesto narrativo/metaforico/simbolico per parlare dello stato della percezione del sé e del mondo stesso in quella che oggi è di fatto un’evoluzione della società dello spettacolo, in cui il potere ha assunto una configurazione nomadica che gli consente di spostare ingenti flussi di capitali con minori ostacoli e di mantenere il consenso attraverso i meccanismi dello spettacolo.

Racconta la storia di Cindy, un’incarnazione dell’essere umano medio, che viaggia per la rete lasciandosi cogliere dalla disneyficazione di Internet. L’ambientazione è un parco divertimenti incentrato sulle storie oscure di Internet, come quelle dei meme Pepe the Frog o Techno Viking. Oltre alla disneyficazione c’è anche il tema dell’obsolescenza, raccontata sempre attraverso meme che sono stati “cancellati” come Mister Trololo

Ognuno dei tredici capitoli è incentrato su una determinata questione, dai meme alle metafore come il refresh, la protagonista infatti addormentandosi “refresha” ciò che ha appena vissuto. Altri capitoli parlano di dati, archivi e sorveglianza. Ho rubato da molti film, come Shining, Labyrinth o programmi tv come Rupaul’s Drag Race

A un certo punto, Cindy prende consapevolezza del funzionamento di questa scatola oscura quando fa la conoscenza di uno dei personaggi più famosi dell’hacktivism: Aaron Swartz. La Montagna del Sapone prende elementi di storie già scritte per crearne una nuova versione opposta a quella dominante. Una volta completati tutti i capitoli vorrei rendere tutto il materiale che ho prodotto – come le modellazioni 3d degli ambienti e dei personaggi modellati con Unity – disponibile gratuitamente per il download, così che chiunque possa costruire la propria storia. A breve il sito web dedicato sarà finito e farò partire un Kickstarter per sostenere il progetto.

Christina G. Hadley, La Montagna del Sapone, 2021, video still, – courtesy dell’artista
Christina G. Hadley, La Montagna del Sapone, 2021, video still, – courtesy dell’artista

MG: Quali sono le tue fonti di ispirazione e ricerca? 

CGH: Il cinema mi ha ispirato tanto e mi ispira tuttora, in particolare i film kitsch come Sorellina e il principe del sogno o Desideria e l’anello del drago di Lamberto Bava. 

Oltre al mondo di Internet e gli studi Queer, c’è una persona che mi ha ispirato ed è mio nonno, grande appassionato di cinema. Quando avevo soli tre anni mi ha fatto vedere Labyrinth con David Bowie, che rimane ancora uno dei miei film preferiti. Ha fatto nascere in me la passione per il cinema che lascia ancora oggi un’impronta nella mia ricerca. 

Mi mostrava le sue videocassette e mi diceva che per quanti film esistono si potrebbero rimontare tutti insieme per crearne di nuovi. Questo è stato un insegnamento fondamentale, che mi ha sempre ossessionato.

MG: Hai un progetto “nel cassetto” che ti piacerebbe portare alla luce un giorno?

CGH: Ho un sacco di idee nel cassetto che mi piacerebbe prendessero forma, ma per ora mi limito a continuare a portare avanti i miei tre grandi progetti: Arcadia, La Montagna del Sapone ed Erase. Quest’ultimo raccoglie dieci videogame che investigano, attraverso figure e periodi storici caratteristici della cultura occidentale, il senso distorto della nostalgia che addolcisce una realtà fatta di connivenza con le criticità e le iniquità proprie della società capitalista e patriarcale.

Chrtisita G. Hadley, How To Play Burn The Bitch, video still da Erased – courtesy dell’artista
Chrtisita G. Hadley, How To Play Burn The Bitch, video still da Erased – courtesy dell’artista