LUDOVICO OROMBELLI X LIDIA FLAMIA
Ludovico Orombelli è nato a Como nel 1996. Attualmente vive e lavora a Milano. Le opere di Orombelli nascono da memorie personali e culturali, realizzate attraverso l’uso e la manipolazione di materiali e spazi. In questo modo, Orombelli ha costruito un corpus di opere multidisciplinari, che evidenziano il rapporto tra le forme tridimensionali e le immagini pittoriche. Orombelli ha conseguito una laurea in Belle Arti presso la Arts University Bournemouth, mentre espone anche opere a Russel Cotes, Bournemouth, Regno Unito, 2018 e Old Truman Brewery, Londra, Regno Unito, 2019. Le recenti residenze e mostre includono RaMo 5.0, Caramanico Terme, Italia, 2019; IN PRATICA, The Blank Contemporary Art e Via Industriae, Italia, 2019; VIR Viafarini in residence, Milano, Italia, 2020
Lidia Flamia: Ti andrebbe di raccontarci le origini della tua ricerca pittorica?
Ludovico Orombelli: Sicuramente, tra le varie esperienze, i dipinti murali che facevo con mio padre in vecchie case a Milano hanno influito sulla formazione del mio processo creativo. In questo contesto mi sono anche avvicinato alla tecnica dello strappo, utilizzata nel restauro per rimuovere affreschi dalle pareti e dislocarli in nuovi siti. Questa conoscenza mi ha permesso di scoprire la pittura come materia che può essere manipolata e trasferita da un luogo a un altro, portandosi dietro tutte le informazioni appartenenti al suo supporto originario.
L.F.: Parliamo della tua formazione presso la Arts University Bournermouth, in Inghilterra. Questa esperienza quanto ha influenzato la tua sensibilità compositiva?
L.O.: L’ Arts University Bournemouth è un sistema isolato, ma al contempo dinamico, che mi ha permesso di assimilare e applicare a un processo creativo personale le tecniche apprese con mio padre. In questa piccola realtà la vita orbitava attorno al campus universitario e le giornate erano scandite dal lavoro in studio e dai costanti scambi con studenti brillanti appartenenti a diversi corsi, discipline e background culturali. Ricordo, ad esempio, i lunghi dialoghi con studenti di architettura che hanno sicuramente influenzato il lavoro realizzato in quel periodo, come Concluded Forms (2019). A Bournemouth ho imparato ad assorbire quanto mi circondava e a pensare alla pratica come una reazione ai contesti.
L.F.: Raccontaci l’esposizione che ha segnato particolarmente il tuo percorso in qualità di artista.
L.O.: Non penso ci sia una mostra che abbia influenzato più di altre il mio percorso. Ogni occasione è per me un pretesto per provare nuove possibili interazioni tra le opere. lo spazio espositivo è quel luogo che ripercorre il lavoro svolto in studio, e che raccoglie tutti gli elementi che ne hanno fatto parte.
L.F.: Nella serie From Above (2019) indaghi la dimensione spaziale, sperimentando le distanze e le assonanze che intercorrono tra la superficie scultorea ed il supporto pittorico. Come ti sei avvicinato alla scultura?
L.O.: L’utilizzo della scultura, in quanto matrice dei dipinti, è stata una necessità che risponde alla mia attenzione verso il rapporto tra materia pittorica e fisicità degli oggetti. Così ho cominciato a includere nel processo elementi tridimensionali che nel caso di From Above ho creato io, e che ora preferisco invece trovare nella realtà che mi circonda.
L.F.: Le tue opere indagano il rapporto che intercorre tra la realtà e lo spazio della tela pittorica – uno spazio che è dialogo, corrispondenza, estensione. Nell’ opera Camicia e gruccia (2019) gli elementi pittorici sono arrestati in un equilibrio sospeso, quasi a coinvolgere anche la dimensione temporale…
L.O.: L’opera Camicia e gruccia è stato il primo tentativo di applicare la tradizionale tecnica dello strappo ad oggetti del quotidiano precedentemente dipinti. Il mio scopo era quello di ottenere tracce pittoriche che cristallizzassero un equilibrio effimero; un tentativo di uscire da uno spazio fisico per trovare una dimensione immaginaria e atemporale. Le tecniche utilizzate nella mia pratica indagano la formazione di memorie pittoriche che si appropriano e, al tempo stesso, veicolano l’autenticità dei contesti.
L.F.: Durante la residenza d’artista presso VIR – Viafarini in residence – hai avuto modo di confrontarti con altri artisti. Per te quanto è importante lo scambio intellettuale e concettuale tra colleghi?
L.O.: Lo scambio con altri artisti, curatori, galleristi e amatori dell’arte è una situazione che ricerco molto e che contribuisce inevitabilmente allo sviluppo delle opere. Il confronto, non necessariamente intellettuale, mi permette di comprendere la posizione della mia ricerca pittorica in contesti artistici e culturali. Relazionarmi con l’altro mi aiuta a trovare suggerimenti che possano nutrire una pratica aperta e in continua evoluzione. Viafarini e’ uno dei rari luoghi che riescono a offrire tutto questo.
L.F.: Nell’ultimo anno la tua ricerca ha intrapreso una nuova direzione – mi riferisco in particolare ai lavori Clothes (2020), Soft orange bath mat (2020) e Sheepskin (2020) – raccontaci questa evoluzione.
L.O.: Nell’ultimo anno ho voluto assecondare il processo creativo e il rapporto che la pittura ha con la fisicità degli oggetti: forme e superfici tattili. I risultati pittorici sottolineano il loro carattere oggettuale, che porta a dialoghi tra le forme all’interno dello spazio espositivo.
L.F.: Un’ultima domanda. Vuoi svelarci qualcosa riguardo i tuoi progetti futuri?
L.O.: Vorrei estendere l’impiego della tecnica dello strappo ad altri oggetti. Probabilmente suggestionato dai dipinti imbottiti di Cesare Tacchi, ho deciso di lavorare su tessuti le cui superfici riportano immagini in rilievo.