IT’S TIME FOR GUERRILLA

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GUERRILLA SPAM X FRANCESCA DISCONZI

Big brother is watching you, Firenze, 2010 - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
Big brother is watching you, Firenze, 2010 – courtesy of the artists

Ho conosciuto i Guerrilla Spam nel 2014 con “Shit Art Fair” – fiera dell’arte di merda. L’evento si è tenuto per tre anni consecutivi nel mese di novembre (periodo di Artissima e di altri innumerevoli eventi dedicati all’arte contemporanea a Torino) all’interno del Tunnel del Parco del Valentino. 

L’idea di base dell’evento era quella di sovvertire l’organizzazione di una tradizionale fiera d’arte contemporanea, bypassando il ruolo di critici, curatori ed altri addetti ai lavori (oltre ovviamente agli artisti) e non curandosi di vendere le opere esposte. 

Indubbiamente, “Shit Art Fair” è un primo evento (che già a partire dal titolo) sintetizza bene i punti del manifesto di Guerrilla Spam: 

1  Nasce come spontanea azione non autorizzata negli spazi pubblici.

2    Agisce in modo diretto, non invasivo, rispettando lo spazio come luogo di tutti.

3    E’ anonimo, libero e autonomo.

4    Il suo principale scopo è comunicare con le persone.

Tuttavia, guardando ai progetti successivi, ho percepito un’evoluzione nell’azione dei Guerrilla, quasi passando dalla critica all’azione. Vorrei discuterne con loro.

The game - Balkan migrant route, Atene, 2019 - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
The game – Balkan migrant route, Atene, 2019 – courtesy of the artists

Francesca Disconzi: Le azioni del 2010-2011 “Guarda la Tv, 2010”, “tele-stupriamoci, 2011”, “Tv Monarchy, 2011”, “La Tv accesa Genera Mostri, 2013”, e potrei citarne molti altri, sono legati al tema del controllo, anticipando per certi versi le discussioni sui big-data. In generale, la presa di posizione contro i mezzi di comunicazione di massa è una costante anche nei successivi lavori.

Sono un’accanita fan di Edward Snowden, che durante il lockdown ha rilasciato un’intervista dove afferma che dopo il covid-19 la libertà degli individui sarà ancora limitata. Sicuramente, anche questa volta, il controllo passerà da dispositivi tecnologici. Cosa ne pensate?

Guerrilla Spam: Nel nostro mondo occidentale, generalmente, la limitazione della libertà avviene per somma di restrizioni parziali. Queste, adottate in successione come una dose di cianuro quotidiano, normalizzano una limitazione, la rendono “possibile”, preparandoci al veleno. Un impiegato non accetterebbe forse un improvviso ridimensionamento del suo stipendio e un aumento di ore di lavoro, ma potrebbe benissimo sottostare a graduali “novità” come la riduzione della pausa pranzo prima di 15 minuti, poi di 30, poi l’aumento di ore lavorative o l’aggiunta di mansioni, ritrovandosi, a distanza di tempo ad esser mal retribuito e sfruttato.

Di queste riflessioni ci siamo molto occupati nei primi anni a Firenze. Possiamo schematicamente circoscrivere questo periodo al 2010-2013, anni in cui il governo Berlusconi era ai suoi ultimi colpi, e noi, nati negli anni ’90, eravamo figli di tutta quella trash-tv patinata e cretina della quale volevamo sbarazzarci. Un intrattenimento televisivo di bassa qualità che aveva distratto gli italiani per decenni privandoli di diritti, libertà e senso critico.

Il primo lavoro di Guerrilla Spam (attaccato all’interno del bagno dell’Accademia di Firenze, senza firma, fatto così spontaneamente per esigenza) s’intitolava “Big brother is whatching you”; il riferimento a Orwell era secondario, mentre quello al reality Mediaset e a tutto quel mondo televisivo era diretto. Anche nel poster “Decoder-mania” criticavamo esplicitamente quell’obbligatorio passaggio al digitale terrestre (che si concluse in Italia nel 2012) in cui, se non compravi il decoder non avresti potuto più vedere la tv; ovviamente gli italiani, dipendenti dal mezzo televisivo, comprarono tutti in buon ordine quella scatoletta digitale senza battere ciglio. È importante ricordare come l’accettazione di nuovi obblighi o restrizioni sia la prassi quotidiana del nostro vivere. Per sentirci parte della società, accettiamo ogni volta nuove regole del gioco, che siano l’obbligo del decoder o la nuova interfaccia Facebook. La non accettazione di questi cambiamenti equivarrebbe all’esclusione della socialità e dell’intrattenimento, isolandoci ed escludendoci da tutti.

Decoder Mania, Firenze 2012 - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
Decoder Mania, Firenze 2012 – courtesy of the artists

F.D.: Quando parlavo di un passaggio “dalla critica ad azione” facevo riferimento al fatto che nel 2017 avete realizzato progetti come “Compiti per casa, 2017” “Viaggiatori, 2018”, “La rotta balcanica dei migranti”, dedicati ai temi della migrazione. 

È come se l’attenzione si fosse spostata da problemi legati al mondo post-capitalista-occidentale (il controllo tramite i dispositivi) a problemi universali. Forse anche i progetti stessi sono diventati più strutturati (penso in particolare a “Compiti per casa”, pensato in un’ottica performativa). È così?

G.S.: Probabilmente si. Riflettendo a posteriori, tutti i cambiamenti che hai descritto sono effettivamente avvenuti; cambiamenti importanti che tuttavia non hanno stravolto l’obbiettivo fondamentale di Guerrilla Spam, quello comunicativo (scopo fissato già nel “manifesto” del 2011).

È vero che si è passati dalla critica all’azione. Da un momento di denuncia, in cui puntavamo il dito verso le disuguaglianze sociali e le cause che le generavano, ad un momento in cui abbiamo tentato di risolverle con gli strumenti a disposizione. Se nel 2015 attaccavamo nelle strade “L’italiano medio”, un poster che denunciava l’indifferenza nei confronti di chi arrivava, o annegava, dal Mediterraneo, nel 2017 già iniziavamo a organizzare i primi laboratori con richiedenti asilo africani e cittadini italiani, mescolandoli, creando opere collettive che raccontassero ad ognuno le cose che non conosceva dell’altro. Questo passaggio non è stato programmato, piuttosto la naturale trasformazione verso una soluzione,  in parte trovata lavorando nelle scuole, nei centri di accoglienza, nelle comunità minorili o nelle carceri. Il contatto diretto, faccia a faccia, con i destinatari dei nostri messaggi ci ha dato, in un certo senso, la dimostrazione che il linguaggio artistico può veramente generare dei cambiamenti nella realtà. 

Il nostro è un progetto mutevole e trasformista, alimentato da un gruppo di persone che ci piace definire “organico” in cui ognuno ha dei ruoli e una predominanza, o meno, che varia a seconda dei casi e del tempo: è importante sottolineare come, pure nei lavori realizzati fisicamente da una o due persone, quasi sempre esiste a monte una serie di confronti e “consultazioni” con altri. Questo mescolare le competenze produce lavori insoliti che escono dallo standard del murales o del poster, per contaminarsi con installazioni, sculture, performance, blitz, progetti editoriali… Il risultato paradossale è che tale varietà di linguaggi e tecniche mantiene comunque una certa riconoscibilità che noi non abbiamo mai cercato e che quindi, forse, risiede negli intenti e nella finalità.

È vero anche che siamo passati da contenuti specifici inerenti al controllo e alla disinformazione dei media a temi più ampi legati alle migrazioni e alle contaminazioni tra culture; temi che, come hai giustamente osservato, potremmo definire “universali”. Il perché di questo ampliamento di interessi probabilmente risiede nel nostro personale ampliamento di conoscenze ed esperienze. Ogni artista parla di ciò che lo riguarda e di ciò che conosce; negli anni ci siamo avvicinati ad argomenti nuovi che abbiamo conosciuto tramite libri, racconti e soprattutto incontri con persone, che quindi, di riflesso, sono confluiti nei lavori artistici. Anche l’interesse per le culture africane nasce, ad esempio, da un corso all’Accademia di Belle Arti di Torino, ma soprattutto dall’incontro con un ragazzo della Costa d’Avorio con il quale abbiamo vissuto numerose esperienze; è stato naturale, per conoscersi a vicenda, capire la sua cultura in modo più approfondito. Un avvicinamento all’Africa che è stato la premessa per poi iniziare i laboratori con i richiedenti asilo. Insomma, la scoperta di un nuovo mondo, oltrepassando la sua frontiera, ti porta di fronte ad altri mondi e altre frontiere, e forse questo viaggio d’esplorazione e conoscenza non può avere mai termine.

L'italiano medio, Arezzo 2015 - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
L’italiano medio, Arezzo 2015 – courtesy of the artists
Compiti per casa, Venezia 2017 - Guerrilla Spam -courtesy of the artists
Compiti per casa, Venezia 2017 – courtesy of the artists

F.D.: Sulla stessa linea d’onda, penso a “Ultrabandiere”, progetto durato ben due anni (dal 2017 al 2019). Qual è stata la sua genesi ed evoluzione? Me la potete raccontare?

G.S.: In realtà possiamo dire che Utrabandiere è ancora in corso di realizzazione. È un progetto nato all’interno di un’occupazione abitativa a Torino, lo Spazio Popolare Neruda, nella quale vivono numerose persone con varie provenienze, molte famiglie e tantissimi bambini; con loro abbiamo prima immaginato e poi cucito delle bandiere che superassero il concetto di vessillo nazionale, identitario, per diventare delle narrazioni aperte con le storie dei loro autori. Tramite colori e stoffe ognuno ha disegnato quello che voleva, storie personali, sogni o racconti della propria terra. Non abbiamo dato limiti ne applicato restrizioni, offrendo solo un rettangolo vuoto da utilizzare; sono nate così bandiere giocose e surreali con unicorni e scimmie pittrici, ma anche altre più reali con ricordi intimi o, ad esempio, il racconto popolare di schiavitù (e poi di liberazione) di Kunta Kinte.

È interessante che narrazioni più leggere si siano mescolate con altre più dolorose e impegnate. In questo processo di creazione l’artista è diventato uno dei tanti “operatori” coinvolti: non una figura al di sopra degli altri con un ruolo autoriale privilegiato, ma un artefice necessario e indispensabile nel suo ruolo parziale, come il sarto, la signora che ha prestato la macchina da cucire, o i bambini che hanno inventato i disegni.

Dicevamo che il progetto non è concluso perché, dopo aver cucito le bandiere nell’occupazione, le abbiamo portate in vari musei d’arte moderna e contemporanea, e adesso vogliamo iniziare una fase di “restituzione” in cui queste stoffe possano tornare nelle case dei loro ideatori. Il pretesto del museo ci interessava come luogo istituzionale, riconosciuto, nel quale portare oggetti e persone che invece le Istituzioni non riconoscono; un gesto politico importante che però non è il culmine di questa esperienza. La bandiera appesa nel museo ha un valore come lo ha se appesa nell’occupazione o per strada; ogni contesto ha il suo significato e ogni passaggio stratifica esperienze diverse che arricchiscono questo strano progetto che non vogliamo decidere quando, e come, si concluderà.

Ultrabandiere, Mambo, Museo d'arte Moderna di Bologna, 2020 - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
Ultrabandiere, Mambo, Museo d’arte Moderna di Bologna, 2020 – courtesy of the artists

F.D.: Il progetto “Ultrabandiere” è stato presentato anche al MACRO e al MaMBO. Avendo un background di azioni non autorizzate, qual è il vostro rapporto con i musei e in generale, con le istituzioni e i luoghi tradizionalmente deputati all’arte (gallerie, ecc)?

G.S.: È un rapporto ottimo, che coltiviamo in parallelo al dipingere in occupazioni o centri sociali e alle azioni non autorizzate in strada. Non vediamo contraddizione nel passare la mattinata a dipingere in un campo rom e il pomeriggio dentro al museo d’arte moderna. Ogni contesto ha il suo pubblico ed è difficile intercettarlo in luoghi non suoi, quindi tocca all’artista andare un po’ dovunque, per parlare con tutti e farsi un’idea più ampia, per quello che è possibile, del mondo. 

Ovviamente, in ogni contesto, richiediamo la massima libertà nell’esprimerci che non deve scendere a compromessi o censure; se questa richiesta è soddisfatta ci adattiamo. Siamo noi poi, nel caso, a scegliere di fare dei passi indietro, anche a stravolgerci, se questo può facilitare un contatto con gli altri. L’esempio più evidente è l’utilizzo del colore nei murales realizzati in carcere, scelta insolita per noi che da sempre usiamo il bianco e nero, ma che lì, dopo aver parlato con i detenuti, si dimostrava necessaria.

F.D.: E poi, cronologicamente parlando, arriviamo alla vostra ultima pubblicazione “Il bestiario”, che è come se fosse un ulteriore passaggio perché parla di un tema universale e attuale come il rapporto abusivo che l’uomo ha nei confronti della natura, nello specifico dello sfruttamento animale (è dedicato “a tutte le bestie di ogni tipo catturate e deportate per gli usi e trastulli dell’uomo”). Da che tipo di riflessione nasce questo progetto?

G.S.: Questo libretto di piccole dimensioni è un po’ una wunderkammer di studi, testi e immagini, accumulati in questi anni. Abbiamo trovato il tempo di tirare le somme tra tutte queste ricerche che almeno dal 2016 portiamo avanti sul Medioevo e il simbolismo delle bestie. Si parte dai mostri medievali europei finendo con le creature orientali dell’Asia ma anche con quelle dell’Africa sub-sahariana. Spesso le descrizioni delle bestie ci parlano dell’uomo, creano bestie umanizzate e uomini bestiali; è tutto un gioco di similitudini, metafore e proverbi che usiamo per capire gli altri intorno a noi. Il nostro è un piccolo tentativo di gioco, ma anche di approfondimento, su questi temi, una sorta di riflessione (e di critica?) sui comportamenti dell’uomo.

F.D.: … E per il futuro?

G.S.: Abbiamo come sempre molti progetti in testa. Continuiamo a studiare quotidianamente argomenti disparati: dalle culture africane al simbolismo medievale, dalle pitture rupestri a Dubuffet e siamo onnivori anche per quanto riguarda le letture, i film, le esperienze in generale. Questo mescolamento tematico e cronologico non potrà che generare nuove cose.

Infine, due progetti che vorremmo realizzare: dipingere dentro un centro commerciale e fare le copertine dei quaderni di scuola. Questo perché vogliamo intercettare, parlare, capire, stare insieme, a quei ragazzini di tredici-quattordici anni che, magari, nel centro sociale o nel museo non ci entrano, ma che per noi sono importanti, in quanto diversi da quel solito pubblico che sappiamo come la pensa.

Tappeto Nomade, Milano, 2020, a cura di BEPART e BASE Milano - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
Tappeto Nomade, Milano, 2020, a cura di BEPART e BASE Milano – courtesy of the artists
Tappeto volante, Macomer, 2018 (realizzato con la Comunità minorile Luoghi Comuni) a cura di Festival della Resilienza - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
Tappeto volante, Macomer, 2018 (realizzato con la Comunità minorile Luoghi Comuni) a cura di Festival della Resilienza – courtesy of the artists
Figure a pezzi (personaggi meticci tra arte etrusca e africana), Pratovecchio-Stia, 2018 (foto Alessandra Cinquemani) - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
Figure a pezzi (personaggi meticci tra arte etrusca e africana), Pratovecchio-Stia, 2018 (foto Alessandra Cinquemani) – courtesy of the artists
I viandanti, Torino 2019 - Guerrilla Spam - courtesy of the artists
I viandanti, Torino 2019 – courtesy of the artists