IMPRESSIONI SULLA MATERIA

  • Categoria dell'articolo:Osservatorio

LUCIA BONOMO X VIRGINIA VALLE

Lucia Bonomo, artista classe 1989, dopo essersi laureata all’accademia di belle arti di Macerata ha deciso di svolgere un erasmus traineeship a Sippola, in Finlandia. 

Della sua esperienza all’estero, della sua ricerca artistica e dei futuri progetti abbiamo chiacchierato nell’intervista che segue per il secondo appuntamento della rubrica Avanti/Indietro, nata per fare il punto sulle accademie italiane ed estere

Pensum, 2018, lana, fuso di legno, misure variabili (dettaglio) - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Pensum, 2018, lana, fuso di legno, misure variabili (dettaglio) – courtesy of the artist

Virginia Valle: Nei tuoi lavori spesso utilizzi la tecnica dell’acquaforte, retaggio forse dei tuoi studi in Grafica d’Arte. Com’è nato l’interesse per questa tecnica e come si declina all’interno della tua ricerca?

Lucia Bonomo: Le cose sono cominciate senza alcuna teoria o ragionamento che andasse oltre il piacere e la curiosità del fare.

Prima degli studi accademici mi sono interessata a svariate cose che oggi ritrovo nei miei lavori – all’epoca tentativi, anche sconclusionati, di pratiche per mezzo delle quali andavo alla ricerca di qualcosa. Così è stato per la grafica d’arte. Questi primi input mi hanno portata ad approfondire e poi ad amare molto questa tecnica, occupandomi in particolar modo dei metodi indiretti come l’acquaforte, quindi con l’ausilio di acidi per la morsura del metallo.

Il fascino per l’incisione mi è dato dal processo di trasformazione, già insito nella materia, che si attua secondo la mia interazione col materiale. Penso l’incisione come una sorta di pratica alchemica, un costante lavoro di azione-reazione.

Questo processo mi ha aperto le porte a un mondo inaspettato, scoprendo nella grafica d’arte delle potenzialità che esulano dalla sua tradizione più rigida, sfociando in una pratica più simile alla pittura. Negli anni di sperimentazione la lastra si è fatta corrodere e trapassare dall’acido, perdendo il suo rigorismo geometrico, aprendosi a contorni frastagliati e forme fluttuanti. Così il foglio, non più mero supporto, è diventato partecipante attivo insieme all’inchiostro, i vuoti si sono caricati di significato, facendo della carta varchi di aria o momenti di silenzio.

Ho guardato molto all’opera grafica di Pierre Soulages per il suo modo pittorico di intenderla, e alla scultura di Henry Moore per come mette in dialogo pieni e vuoti.

La stampa infine è ulteriore motivo di entusiasmo, perché ha a che fare con lo svelarsi di un’incognita. Questo su di me ha sempre un “effetto sorpresa”, pari a quando, in camera oscura, affiora l’immagine sulla carta fotografica. È l’ultimo passaggio in cui tutto il processo si rende manifesto, gli stadi si mostrano nelle loro stratificazioni – di incavi – dove l’inchiostro rivela i segni.

Indipendentemente dalle tecniche o dai materiali che mi trovo a usare, direi che il punto focale di ciò che cerco, sta proprio in quel passaggio da uno stadio a un altro. Attuando questa trasformazione sulla materia, credo ci sia il tentativo di attuare lo stesso dentro di me, una specie di “magia simpatica” per la quale il simile genera il simile. Quindi la peculiarità che mi rende così cara l’incisione, è proprio la sua ineluttabile necessità di metamorfosi che la rende ciò che è.

V.V.: Un altro elemento ricorrente è l’utilizzo di fili, spaghi e corde. Come te ne servi?

L.B.: È da molto tempo che il mio pensiero si rivolge a corde, nodi, tessiture. Quasi sempre ci ragiono a livello metaforico, pensandoli come legami e dinamiche umane. Spesso usiamo nel nostro linguaggio parole o modi di dire che hanno a che fare con la pratica della tessitura, considerandola in tutti i suoi passaggi, dalla tosatura alla coperta di lana, passando per la cardatura, filatura ecc. È un mondo ricco di simbologie e reca in sé degli archetipi molto forti. Addirittura nella Grecia antica l’arte della tessitura fungeva da paradigma per una buona politica. 

Quando penso a un intreccio di fili, ordinati o meno, in automatico lo antropomorfizzo, facendolo diventare un microcosmo nel quale ogni legame può essere sostegno o prigione, unione o vincolo. Penso l’universo come un enorme intreccio che coinvolge ogni cosa in legami indissolubili.

Il passaggio dalla grafica d’arte ai tessuti – o più in generale alla scultura –, è veloce. È come trasporre i segni grafici nello spazio: l’inchiostro diventa filo e si muove nelle tre dimensioni. In realtà questa è una speculazione a posteriori, ma mi piace molto come pensiero. Direi che faccio con i fili ciò che faccio con l’incisione: ricerco una metamorfosi. Finora ho vissuto ogni lavoro come un processo intimo, intendendo le pratiche manuali come pratiche di pensiero. Nella grafica se ne vede solo il risultato finale, nella scultura si mostra a volte in modo più palese.

Pensum, 2018, lana, fuso di legno, misure variabili - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Pensum, 2018, lana, fuso di legno, misure variabili – courtesy of the artist
Pensum, 2018, lana, fuso di legno, misure variabili (dettaglio) - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Pensum, 2018, lana, fuso di legno, misure variabili (dettaglio) – courtesy of the artist

V.V.: Le tue opere sono il risultato di azioni ripetute, nella tessitura così come nell’incisione. Si può dire che sia presente una sorta di ritualità?

L.B.: Forse sì. Ha a che fare con il ritmo; e un movimento iterato, come anche un suono, porta a confluire i sensi in un unico punto e questo aiuta molto la concentrazione. Non faccio le cose in piena coscienza di una ritualità, ma so che esiste come volontà di essere dentro alle azioni che compio, come tentativo di diventare parte di quel processo.

Mi vengono in mente le iterazioni in musica di Philip Glass: sempre uguali ma diverse; diventano una sorta di struttura ritmica in divenire. Nel praticare la ripetizione di un movimento sulla materia, come può avvenire con le morsure del metallo, i segni, il filare o il tessere, si attua una trasformazione e la trasformazione della materia spesso suggerisce una riflessione interiore, come viceversa.

Questo mi succede anche quando cammino. Arriva un momento in cui non penso più alla fatica ma soltanto a mettere un piede davanti all’altro, e questa operazione meccanica, così cadenzata, sempre alla ricerca di un accordo con il battito cardiaco e il respiro, porta il mio pensiero altrove. Questo è ritmo. Volente o nolente e senza sforzo, diventa una sorta di pratica contemplativa.

V.V.: Taiga è stato invece un lavoro nato durante i tre mesi che hai trascorso in Erasmus in Finlandia. Ci puoi raccontare qualcosa di quest’opera e dell’esperienza che hai vissuto all’estero?

L.B.: Qualche mese all’estero è sempre un buon modo per confrontarsi con se stessi e imparare un equilibrio in un posto non familiare. Il viaggio in Finlandia è stato davvero molto intenso. In aprile, maggio e giugno ho vissuto a Sippola, un paesino a qualche ora da Helsinki, ospite all’Art Center Antares, un grande edificio adibito a spazio espositivo, laboratori e residenze. Il mio compito era aprire e chiudere la galleria per le mostre in corso, ma dal momento che la galleria apriva le porte solo nel periodo estivo, quindi da giugno, ho avuto la fortuna di poter dedicare gran parte del tempo alle mie ricerche.

Ho vissuto le caratteristiche di quel luogo in maniera pervasiva, ogni cosa la sentivo come amplificata dentro di me, dall’aspetto morfologico, climatico, sociale. Il mio corpo era fatto di vasti spazi, di solitudini e silenzi ovattati dalla neve, dei primi germogli. Il sole scandisce con precisione la vita di quei piccoli centri. Il primo mese l’ho speso a fare lunghe passeggiate, dovevo studiare il paesaggio e farmelo “amico”; faceva ancora freddo ed era frequente non incontrare nessuno per chilometri. Durante la mia permanenza c’è stato il passaggio dal buio alla luce ed è stato come un’esplosione. Tutto si è risvegliato, colori, profumi e pure la gente.

Non so dire quanto tutto questo si riesca a leggere in Taiga, ma senz’altro il ritmo che ho vissuto lì è stato da stimolo per confermare ancora di più la necessità di silenzi all’interno delle opere.

Taiga è una serie di opere grafiche, monotipie e acquaforti, e sostanzialmente è stata un gioco. Nel laboratorio dove lavoravo c’era un vecchio torchio calcografico mai usato; rimesso in funzione è stato un ottimo compagno. Parlo di gioco perché ne è scaturito un insieme di lavori dettati non tanto da una progettualità predefinita, ma piuttosto da intuizioni che l’ambiente circostante mi regalava. Mi sono lasciata piacevolmente ispirare dai boschi, dai laghi e dal mero piacere di inchiostrare la lastra o lasciarla immersa nell’acido per ore.

Il risultato è il rigorismo del bianco e nero in forme piuttosto minimali ma fluide che hanno una qualche memoria di pietre, rami o colline, o che riportano le figure calcate di foglie, licheni, cortecce ecc. Il tutto circondato dal silenzio della carta.

Taiga (dei laghi e delle foreste), 2018, monotipia, 94,5x40 cm Lucia Bonomo
Taiga (dei laghi e delle foreste), 2018, monotipia, 94,5×40 cm
Taiga (delle rocce e degli steli), 2018, acquaforte su alluminio, 70x100 cm - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Taiga (delle rocce e degli steli), 2018, acquaforte su alluminio, 70×100 cm – courtesy of the artist
Taiga (delle rocce e degli steli), 2018, acquaforte su alluminio, 70x100 cm (dettaglio) - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Taiga (delle rocce e degli steli), 2018, acquaforte su alluminio, 70×100 cm (dettaglio) – courtesy of the artist

V.V.: … e hai avuto modo di percepire delle differenze nel modo in cui viene vista la professione dell’artista?

L.B.: Non saprei dire di preciso. Non ho avuto molto a che fare con l’aspetto professionale, e non ho avuto nemmeno così tanto tempo per poterlo comprendere appieno. Il mio è stato più un viaggio introspettivo, il luogo dove stavo, più che come galleria frequentata da artisti, l’ho vissuto come rifugio per una ricerca e un’elaborazione personale, come fosse una residenza artistica. Probabilmente in centri più grandi come Helsinki o Tampere avrei potuto esperire maggiormente il fermento dell’ambito professionale dell’arte, ma non era quello che cercavo.

Nel rispondere rischierei di cadere nel pensiero che accomuna gran parte degli artisti emergenti italiani, ovvero che l’estero, e soprattutto il nord, è all’avanguardia rispetto all’Italia per ciò che concerne il sostegno economico e la meritocrazia nell’ambito artistico. Sicuramente vengono stanziati fondi per i progetti e le residenze, e gli artisti sono presi in considerazione proprio per il fatto di essere artisti. Ma queste sono suggestioni, non ne posso parlare in maniera approfondita, mi baso su ciò che conosco delle persone che ho incontrato e che lavorano nel mondo dell’arte.

Ciò che di positivo ho percepito – ma magari è una suggestione anche questa –, è una bella coesione tra gli artisti finlandesi. Sono in pochi (per un fatto demografico) e si conoscono tutti, e mi sembra si coinvolgano con spirito di squadra più che con spirito di arrivismo, questo li porta a creare una rete di connessioni molto fruttuosa.

V.V.: Stai lavorando su qualcosa in questo momento?

L.B.: Solo con la testa… Ho fatto e accantonato dei lavori qualche mese fa sui quali sto ragionando per capire cosa sono o cosa posso diventare. Cerco di non darmi fretta e, anzi, preferisco quando i pensieri si sedimentano. Spesso mi serve un po’ di tempo per comprendere la natura di quello che faccio. A volte ne esce qualcosa, a volte resto in attesa.

In questi ultimi anni non ho avuto molto a che fare con la grafica d’arte e di certo mi manca il confronto con la lastra; difatti ho in mente da tempo un progetto che prevede anche l’incisione. Ma più che alla tecnica sto pensando all’opera che diventa ambiente, che diventa rifugio… vedremo, per ora sono in fase meditativa.

Cinaesthetica, 2017, acquaforte su alluminio, 50x70 cm - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Cinaesthetica, 2017, acquaforte su alluminio, 50×70 cm – courtesy of the artist
Cinaesthetica, 2017, acquaforte su alluminio, 50x70 cm - Lucia Bonomo - courtesy of the artist
Cinaesthetica, 2017, acquaforte su alluminio, 50×70 cm – courtesy of the artist