MEMORIE DAL PRESENTE

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GIULIA COTTERLI X VIRGINIA VALLE

Incontro Giulia all’ingresso della sua ultima mostra Non ti scordar di me ai Bagni Pubblici di via Agliè 9, un luogo d’incontro, cooperazione e sostegno sociale che si impegna a promuovere anche attività artistiche nel quartiere periferico di Barriera a Torino. 

Prima di sederci a chiacchierare in un tavolino del cortile retrostante allo spazio, Giulia mi racconta il suo lavoro e quello degli altri tre artisti esposti: Danilo Sciorilli, Claudio Zorzi e Marco Bacoli che con lei hanno formato il collettivo di ViaGulli37 (trovate qui l’intervista al collettivo). La riflessione sull’identità personale e sulle sue possibili rappresentazioni, tema centrale della mostra, viene affrontato dai quattro artisti con modalità e media differenti, nel tentativo di restituire al pubblico i diversi punti di vista mediante i quali possiamo osservare come il riconoscimento dell’altro generi irrimediabilmente un’analisi del proprio sé.

Dopo questi primi cenni al suo lavoro, abbiamo parlato più approfonditamente della sua formazione, delle sue opere e dei progetti che sta portando avanti qui a Torino.

Nelle righe che seguono potrete leggere cosa è emerso da questa bella chiacchierata.


V.V.: La memoria, l’infanzia e l’immaginazione sono state tre tematiche cardine nella tua produzione artistica dal 2017 a oggi. 

G.C.: Sì, ti faccio un mega riassunto di come è partito tutto: il lavoro che hai visto qui in mostra penso sia uno dei più intimi che io abbia mai fatto. È un lavoro in cui ho parlato di un ricordo molto personale. L’idea di lavorare con la memoria è nata in un periodo in cui avevo completamente perso la rotta, frequentavo il terzo anno di Accademia. Sai quando ti trovi in quella bolla in cui hai un bagaglio di cose ma non sai come dirle ed andare avanti con il lavoro? È stato quello il momento in cui ho preso un foglio bianco (Canson da 96 g/m2 da 21×29,7 cm, che tutt’ora utilizzo per il miei disegni) e ho detto “ok, provo a disegnare qualcosa, vediamo quello che salta fuori”. Ho iniziato a focalizzarmi su determinate immagini che mi occupavano la mente… e così è cominciato il discorso che faccio sulla memoria, che è sì intimista ma parte da una ricerca quasi scientifica su che cos’è, e sui meccanismi che la regolano…

V.V.: Come quello di rimemorazione, di cui spesso ti servi…

G.C.: Esatto, capito il meccanismo della rimemorazione mi si è aperto un mondo: ho cominciato a traslare a livello visivo qualcosa che aveva delle basi reali e scientifiche. Ad esempio nei primissimi lavori, quando facevo le proiezioni sui vetri come nel caso degli autoritratti, ho cercato proprio di mettere a fuoco l’idea di come un volto, ad esempio in questo caso, nel momento della rimemorazione sia soggetto a delle trasformazioni derivate dal tempo, dall’emozione del momento corrente e da tantissimi fattori che influenzano l’atto del ricordare. 

V.V.: A me è piaciuto molto questo voler trasformare la storia in memoria visiva e poi il volerla riprogettare, grazie all’espediente narrativo di Lilia Giurcetto, a livello digitale. Lì subentra qualcos’altro, non c’è più solo la memoria ma entra in gioco l’aspetto della digitalizzazione, che ti ha spinta a creare un blog e una pagina facebook fittizia…

G.C.: Sì diciamo che ad un certo punto mi sono resa conto che sentivo il bisogno di parlare di una parte delle mie memorie personali, quelle che mi hanno fatto scaturire questo interesse ossessivo per la memoria. Dovevo però trovare un espediente per allontanarle fisicamente e mentalmente da me, così ho deciso di attribuirle a qualcun altro. Come per poter pensare: “Questa cosa è sua e non mia”. È nato così l’interesse per la memoria digitale, argomento centrale della mia tesi specialistica, in cui ho approfondito questo universo fatto di conservazione meticolosa e analitica ma anche di un possibile irrimediabile oblio. I social network sono stati subito il campo di interesse privilegiato in quanto conservatori di memorie personali. Così ho deciso di utilizzarli per la realizzazione di alcuni lavori, ad esempio Lilia Giurcetto (il Blog) e Lilia Giurcetto (Facebook). La persona a cui ho deciso di attribuire queste memorie dolorose e la loro conseguente dispersione nel web è stata Lilia Giucetto, un alter ego digitale il cui nome è l’anagramma del mio. Attraverso questa identità digitale ho creato un blog ed una pagina Facebook che nei miei lavori si sono poi trasformati in narrazioni visive.. 

Giulia Cotterli, Lilia Giurcetto (il blog), 2018, https://vimeo.com/391785995 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Lilia Giurcetto (il blog), 2018, https://vimeo.com/391785995 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Lilia Giurcetto (Facebook), 2018, https://vimeo.com/391785147 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Lilia Giurcetto (Facebook), 2018, https://vimeo.com/391785147 – courtesy of the artist

V.V.: Sei partita da un ricordo specifico? La maggior parte è comunque legata all’infanzia… È sempre quello il mondo da cui attingi?

G.C.: Diciamo che principalmente quei due lavori sono legati alla figura di mio padre, che se n’è andato quand’ero molto piccola. Una parte della mia infanzia è quindi fortemente legata a tutti quei momenti. Sul blog c’è il racconto di questa storia, di come è partita, come si è sviluppata e come è finita. Mentre la pagina facebook di Lilia si compone di una singola foto profilo. Nella foto che Lilia ha pubblicato ci sono due figure, un uomo adulto e una bambina che tiene in braccio. Il volto dell’uomo però non si vede perché è oscurato dal flash derivato dallo scatto nel tentativo di fotografare una fotografia analogica. Il lavoro che ne consegue è quindi una riflessione sulla figura paterna, di come questa, nel momento in cui viene a mancare, possa essere sostituita da altre persone che hanno attraversato e influenzato la tua vita: un nonno, o un professore, o anche filosofi o artisti. Nel lavoro il volto del padre cambia sempre, sostituito da diverse figure cardine che hanno accompagnato la vita di Lilia, o meglio la mia. 

Come dice Tricarico nella canzone ‘Francesco’: “Il padre è solo un uomo e gli uomini son tanti scegli il migliore seguilo e impara”. 

V.V.: La tendenza a filtrare il reale mediante la memoria della tua infanzia, il “filtro” di Lilia Giurcetto, l’ulteriore mediazione operata attraverso l’animazione di questi ricordi, sono tutte tematiche ricorrenti nella tua ricerca.

G.C.: Se dovessi dividere la mia ricerca in filoni sarebbero tre quelli principali.

Il primo è quello della memoria digitale dove lavoro, sia con un’impronta intimista (come i lavori sopra descritti) sia con un approccio più analitico. Ad esempio il lavoro Oops!… I did it again (II), è incentrato su una teoria di Byung-Chul Han, un filosofo coreano, che si interroga su come i social network possano raccontare biograficamente la storia di un individuo. Lui crede che la restituzione che avviene non sia più narrativa, ma bensì additiva. Partendo da questo assunto ho deciso così di trascrivere su dei vetrini da microscopio tutta la pagina facebook di un individuo medio, i vetrini che ne sono risultati sono stati circa 5000. Da qui poi la palla passa allo spettatore, com’è questo racconto? Si percepisce la storia di questo individuo?  

Giulia Cotterli, Oops!… I did it again (II), 2018 – courtesy of the artist

Poi c’è il secondo filone, quello più “scientifico”. Ad esempio il lavoro No one knows where it’s gone (part I) affonda le sue radici nella teoria di Donald Winnicott sull’oggetto transizionale, il primo oggetto a cui il bambino si lega e che determina la separazione dalla madre, figura centrale nella vita del neonato. Fondamentalmente quello che io ho fatto è stato mettere in scena il mio oggetto transizionale. Lui era un peluche a forma di topo che ho cercato di ricordare e mettere a fuoco moltissime volte per arrivare ad avere una restituzione più vicina possibile al ‘reale’. Ho creato cinquanta riproduzioni del peluche, tutte realizzate in stoffa e dipinte a mano da me. 

Giulia Cotterli, No one knows where it’s gone (part I), 2019 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, No one knows where it’s gone (part I), 2019 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, No one knows where it’s gone (part I), 2019 – courtesy of the artist

Il terzo filone è quello dell’immaginazione. Memoria e immaginazione lavorano assieme, sono molto affini. Dove non arriva una arriva l’altra. È proprio nel momento in cui tentiamo di riportare alla luce un ricordo che il cervello per compensare i buchi mancanti di informazioni dà delle soluzioni che vengono create dai processi immaginativi. In alcuni miei lavori, prendo spunto da questa dinamica e la estremizzo. Ad esempio Favole della buona notte raccontate a mio padre (il concepimento) parla proprio di una storia che in realtà non esiste, o meglio, che esiste ma io non la conosco. Il lavoro parte dall’adozione di mio padre e dal fatto che non ha mai voluto conoscere la sua famiglia d’origine. Io penso che questo gli abbia creato poi molti scompensi anche nel rapporto con la famiglia che poi lui stesso ha formato. Così nascono queste favole che tentano di raccontare a mio padre la ‘vera’ storia della sua famiglia. Il primo lavoro di questa serie parla del suo concepimento…

Giulia Cotterli, Favole della buonanotte raccontate a mio padre (il concepimento), 2020, https://vimeo.com/488055692 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Favole della buonanotte raccontate a mio padre (il concepimento), 2020, https://vimeo.com/488055692 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Favole della buonanotte raccontate a mio padre (il concepimento), 2020, https://vimeo.com/488055692 – courtesy of the artist

V.V.: Il personaggio femminile di quella storia ti assomiglia molto ma non sei tu vero?

G.C.: No, per lei ho preso spunto dal volto di un’attrice che ha recitato nel film del ‘64 Kiss me stupid del regista Billy Wilder. L’ho ripresa dagli anni ’60 cercando di dare alla storia un minimo di credibilità poiché quello è l’anno in cui è nato mio padre. Questo lavoro è stato uno dei più lunghi che abbia mai realizzato.

V.V.: Ti ci sei dedicata per un anno, giusto? Anche il processo di animazione delle immagini sarà stato impegnativo…

G.C.: Molto. In quel caso ci sono più di trecento disegni che compongono la video animazione. Solo per la realizzazione del video ho impiegato più di quattro mesi. Devi pensare che come minimo per ogni secondo di animazione utilizzo quattro frame…

Nel video a me non interessa tantissimo a livello visivo la fluidità, in alcuni casi un singolo disegno rimane fisso anche per mezzo secondo. Questo perchè per me ogni disegno ha una grande importanza e voglio che lo spettatore abbia un minimo di tempo per fruirne.

V.V.: E ti sei sempre dedicata anche a questo aspetto o è subentrato dopo insieme al voler lavorare sull’immagine animata? 

G.C.: È venuto piano piano. Diciamo che i primi esperimenti sono stati Visioni alla finestra e Ritratto d’un artista in amore (entrambi del 2017). In quei casi erano solo volti uno diverso dall’altro che montati in video venivano proiettati su una superficie riflettente. Quando poi sono entrata nella fase un po’ più narrativa ho dovuto iniziare a capire come restituire le immagini che avevo nella mente. All’inizio alcuni erano molto più “scattosi” altri invece più fluidi, col tempo sono riuscita a trovare una quadra in base anche a quello che voglio dire di volta in volta. 

Giulia Cotterli, Ritratto d’un artista in amore, 2017 – https://vimeo.com/391785138 – COURTESY OF THE ARTIST
Giulia Cotterli, Ritratto d’un artista in amore, 2017 – https://vimeo.com/391785138  – courtesy of the artist

V.V.: Nonostante tu faccia parte del collettivo di ViaGulli37 insieme ad altri tre artisti, il vostro lavoro è molto diverso. La decisione comune di trasferirvi a Torino e di fondare questo “collettivo umano”, che vi vede collaborare quotidianamente, a livello di produzione artistica personale non vi ha condizionati. È così? 

G.C.: Siamo tutti partiti da Urbino ma in realtà, a parte Marco [Bacoli, n.d.r.] e Claudio [Zorzi, n.d.r.] che hanno fatto un periodo insieme in Accademia, abbiamo lavorato in anni diversi e abbiamo tutti età diverse. Ci siamo poi rincontrati qui a Torino ma c’è da dire che avendo delle ricerche molto diverse non c’è stata tanta contaminazione. Diciamo che quelli che si avvicinano di più siamo io e Danilo [Sciorilli, n.d.r.] perché usiamo entrambi il video e il disegno, però in due maniere totalmente opposte. Lui ha un rigore e una rigidità che io assolutamente non ho. 

V.V.: Perché dopo aver finito l’Accademia hai subito scelto di trasferirti qui a Torino?

G.C.: Diciamo che Roma non l’ho presa in considerazione perché per prima cosa è costosissima, seconda cosa è troppo vicina a casa e terza cosa perché non è una città in cui vivrei, troppo caotica e disorganizzata. È proprio un no. Avendola vissuta anche un po’ da ragazza non mi ci immaginavo proprio lì. 

Milano è una città che ho frequentato nel tempo e, tra l’atteggiamento tipico milanese e il mondo dell’arte di un certo tipo, non mi affascinava molto. In più c’è sempre il discorso affitti che non è secondario. 

Alla fine è uscita Torino che mi è sempre piaciuta tantissimo come città, dal primo giorno in cui l’ho vista, perché secondo me è una città del nord con un’anima un po’ diversa. Non è la classica città fredda e grigia, come nell’immaginario del sud viene descritta. C’è tanta storia ed è anche piena di arte e quindi ci è sembrata (perché alla fine è stata una scelta condivisa con Danilo) la città giusta. 

Avevamo anche considerato l’estero però era troppo presto. Abbiamo fatto questo ragionamento: “In Italia non si fa un cazzo ma vanno tutti via quindi qualcuno magari deve rimanere per far cambiare le cose anche qua”. Un po’ idealisti forse, ma ci si prova, poi al massimo uno torna da dove è venuto o si sposta da un’altra parte.

V.V.: Torneresti a Urbino?

G.C.: No, mai ad Urbino! È una bella città però finché sei studente. Quando sei lì nella tua torre d’avorio, riparato dal resto del mondo. Finito il periodo degli studi non c’è assolutamente niente.

V.V.: Però c’è una buona Accademia giusto?

G.C.: Super, assolutamente. È veramente un’Accademia eccezionale. 

Io ho studiato Pittura nel triennio e Arti Visive Contemporanee nel corso di specializzazione. Quella di Urbino è un’Accademia improntata sul contemporaneo, infatti gli indirizzi di Pittura e Decorazione, ad esempio, non seguono i titoli che gli sono stati assegnati. Ogni studente può dedicarsi ai medium che più lo rappresenta liberamente, l’importante è l’opera e la ricerca: io facevo video e installazioni ma c’è chi invece faceva pittura nel senso più classico.

V.V.: Da quanto sei qui a Torino? Confermi questa scelta?

G.C.: Tre anni ormai. Un po’ la sento anche mia. Ad esempio il mese scorso io e Danilo siamo andati a Milano per vedere delle mostre e al ritorno, chiacchierando un po’ sulla strada per Torino, ci siamo chiesti se avessimo fatto la scelta giusta nel trasferirci qui. Entrambi abbiamo detto di sì. Questo perché, puntando con la macchina verso le Alpi, ci sentivamo sulla via di casa… ‘home’ come direbbero gli inglesi. Alla fine, al di là dei primi periodi, è una città che ti coinvolge piano piano, più vai avanti e più ti accoglie… e poi che dire, è bellissima.

V.V.: Quando siete arrivati avete avuto subito occasione di esporre i vostri lavori?

G.C.: No, le uniche occasioni ce le siamo create noi. La prima è stata Artissima di due anni fa ed eravamo io Claudio e Danilo. Abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding per finanziare la mostra. Simile anche per questa mostra ai Bagni Pubblici di via Agliè, dove non c’è stata una raccolta fondi ma comunque eravamo in prima linea anche dal punto di vista organizzativo. L’unica mostra in cui siamo stati canonicamente invitati è stata quella di Osservatorio Futura.

La sola pecca che abbiamo trovato a Torino è stata questa chiusura ermetica verso i nuovi artisti. Gli spazi hanno già il loro giro e finisce là. Manca la curiosità per guardarsi intorno. 

V.V.: Anche se poi sono tutti entusiasti quando proponi di creare delle collaborazioni e stimolare la ricerca…

G.C.: Sì, perché poi quando uno si espone in un progetto tutti lo accolgono di buon grado. Quando abbiamo aperto ViaGulli37, abbiamo detto: “Facciamo questa cosa, cambiamo un po’ le carte in tavola, proponiamoci.” ed effettivamente sono arrivate molte soddisfazioni. 

V.V.: Concluderei questa chiacchierata chiedendoti di raccontarmi l’opera che ti sta più a cuore.

G.C.: Ce n’è una che mi sta molto a cuore, forse perché è stata l’opera della trasformazione mentale, del passaggio dall’Accademia alla vita d’artista, la prima opera che ho fatto appena arrivata a Torino ovvero Look I am who fucks the stars. È stata molto sofferta, ci ho messo un sacco di tempo per realizzarla perché l’ho vissuta in un periodo strano in cui non ero più protetta dall’Accademia, da un sistema che alla fine ti coccola. L’ho iniziata riflettendo anche sul fatto che ero in una nuova città dove non mi calcolava nessuno, nessuno mi chiamava… ero un po’ nel baratro, diciamolo. Poi mi è venuto in mente questo ricordo d’infanzia in cui in una recita d’asilo sulla Natività, io sfigatissima ho interpretato il ruolo della Notte. Ero la più alta di tutti, sono sempre stata alta, e quindi mi hanno messo in fondo, con questo costumino con le stelline appiccicate (la chicca è stata che mia cugina invece faceva la Madonna). Sono ripiombata quindi in un certo senso in quel personaggio: uno sfondo. È nata così questa idea: “Ok che le stelle brillano ma se non ci fosse il buio attorno non brillerebbero”. Io mi sono impersonificata col buio, mettiamola così.

Giulia Cotterli, Look I’m the one who fucks the stars, 2019 – https://vimeo.com/391785142 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Look I’m the one who fucks the stars, 2019 – https://vimeo.com/391785142 – courtesy of the artist
Giulia Cotterli, Look I’m the one who fucks the stars, 2019 – https://vimeo.com/391785142 – courtesy of the artist

V.V.: Quella è stata anche un po’ un’opera di passaggio dove hai per la prima volta cercato di unire lo studio più scientifico con le tue memorie d’infanzia.

G.C.: Esatto. Entrare in un mondo anche un po’ più immaginativo. Poi questa parola è sempre molto dibattuta – immaginazione – però io ne ho da vendere, lo ammetto… Mi faccio dei viaggi mentali incredibili. A volte, parlando di “avere immaginazione” uno si raffigura sempre una bambina che gioca col pongo, con i colori e entra in un universo tutto suo, no? Io effettivamente quando mi siedo al tavolo nel mio studio sono proprio come quella bambina!