BEHIND THE CURTAIN

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ROBERTO AMOROSO X MATTEO GARI

I lavori di Roberto Amoroso sono frammenti di un percorso che si snoda tra i piani della realtà e della virtualità. Come sempre la pratica artistica dimostra la sua capacità di essere catalizzatrice di eventi, dinamiche e relazioni che investono tutti i campi della nostra società. Nelle sue opere Amoroso indaga, infatti, i soggetti e le modalità della rappresentazione nell’epoca della tecnologia digitale, caratterizzata dall’autorappresentazione attraverso un’estetica fatta di avatar, maschere virtuali e identità fluide. Tramite una pratica ipertestuale la ricerca multimediale di Roberto Amoroso tenta di comprendere e tradurre gli elementi costitutivi e le strutture linguistiche delle tecnologie digitali portando alla luce come queste informino le stesse modalità e abitudini di creazione e produzione culturale.

Roberto Amoroso, Behind the curtain exhibition view – courtesy of the artist

Matteo Gari.: Per iniziare vorrei mi raccontassi che tipo di percorso ti ha portato a interessarti alle arti visive. In particolare, come sei arrivato a trovare nei media digitali sia un mezzo creativo che un soggetto di ricerca?

Roberto Amoroso: Sin da piccolo ho sempre utilizzato il medium del disegno per esprimermi e come rifugio dalle pressioni del mondo esterno. Di conseguenza ho sempre saputo che avrei dovuto intraprendere un campo creativo e artistico. Da giovanissimo ho spaziato dal design al fumetto, passando per l’illustrazione, sempre alla ricerca di un linguaggio che riuscisse a soddisfarmi a pieno. La scelta di perseguire un percorso artistico è venuta tardi, durante i miei studi di grafica digitale come borsista allo IED di Torino. Ha sicuramente influito molto il confronto con la curatrice Olga Gambari, che è stata anche mia docente, aprendomi gli occhi riguardo la mia predisposizione all’arte, di cui stavo già iniziando a prendere coscienza.

La scelta dei media digitali è stata indirizzata sicuramente dalla curiosità verso un mondo nuovo che si stava sviluppando davanti ai nostri occhi. Erano i primi periodi di diffusione e utilizzo di Internet, in una versione più primitiva rispetto a ciò che noi oggi conosciamo come realtà virtuale.

M.G.: Come vivi il rapporto tra la fascinazione per la tecnologia digitale, data dalle sue infinite possibilità, e l’inquietudine generata dalla coscienza del fatto che la stessa tecnologia sia allo stesso tempo strumento di oppressione e dominio?

R.A.: Oggi il mio approccio riguardo questa tematica è sicuramente cambiato rispetto ai primi tempi in cui l’ho affrontata, diventando decisamente più critico. La totale fascinazione ha lasciato spazio a un tentativo di comprendere come il digitale agisce intorno a noi. Internet e gli algoritmi digitali hanno cambiato la nostra percezione della realtà. Non voglio certo demonizzare l’utilizzo dei social network, ma la crescente narrazione distopica presente neii prodotti creativi, compresi film e serie TV, dimostra come giorno dopo giorno determinate problematiche, come la catalogazione delle nostre vite in dati, aumentino la divisione in caste sociali. Serve esserne consapevoli e comportarsi come virus per non diventare fruitori passivi. In merito segnalo il progetto di Swinging club, Canis_in_somno, di Matteo Domenichetti curato da Milovan Farronato, a cui ho partecipato prima in veste di cronista/artista e poi in prima persona attraverso lo scambio di profilo Instagram con Matteo Domenichetti, per sovvertire gli algoritmi di Instagram.

Roberto Amoroso, Orfeo – courtesy of the artist

M.G.: La questione dell’identità nello spazio virtuale è complessa e stratificata. Per comprenderla si deve superare l’idea abbastanza superficiale di un “dualismo digitale”, ovvero una separazione tra il piano di ciò che accade nella quotidianità materiale e quello che invece avviene quando viviamo attraverso i nostri avatar virtuali. Dal momento che nelle tue opere fai spesso utilizzo e riferimento alla figura dell’avatar, cosa pensi delle dinamiche di costruzione identitaria, rappresentazione e autorappresentazione che performiamo quotidianamente?

R.A.: Dal momento in cui scegliamo di avere un account e di utilizzarlo, dobbiamo riconoscere che la nostra identità comincerà a esistere su Internet. Se inizialmente era più facile riuscire a separare le due vite, quella reale e  quella virtuale, oggi viviamo in spazi e luoghi in cui questi due piani comunicano e si influenzano reciprocamente.

Si potrebbe parlare dell’esistenza di un vero e proprio galateo digitale, le cui regole non scritte ci guidano ad esprimerci al meglio, a essere ritenuti idonei a questa vita telematica. La nostra identità deve muoversi in queste logiche confrontandosi con l’influenza che la vita virtuale ha sullo spazio reale. Possiamo riconoscerci in gruppi sociali, condividere gli stessi stimoli, partecipare attivamente a comunità raccolte intorno a determinate tematiche. Non mi è ancora personalmente chiaro se questo agire corale sia un rito di automatismo compulsivo o sia veramente un atto sentito. Allo stesso tempo, il nostro Avatar deve confrontarsi con delle dinamiche estetiche di autorappresentazione, attraverso ibridazioni con elementi fantastici o con processi di trasformazione, come l’utilizzo di filtri patinati, che spesso ci allontanano ci allontanano dalla nostra immagine reale.

Come artista ho cercato di cogliere il lato più ludico di queste ambiguità estetiche e sociali, oltre che la potenza che può esprimere la nostra identità nel web, nel progetto I.P. Identity portrait, in cui attraverso un test realizzato con un sociologo, specializzato nella tematica dell’identità nel web, ho cercato di sviluppare dei ritratti dell’avatar di persone disposte a essere coinvolte in tale progetto.

Roberto Amoroso, Twin Dream #2 – courtesy of the artist

M.G.: Rimanendo sulla questione identitaria noto che alcuni tuoi lavori sono pervasi da un’estetica queer. Ti rivedi in questo termine? Credi che il web e la tecnologia più in generale abbiano la possibilità di divenire strumenti di creatività non normativa?

R.A.: Questa estetica denota la mia attitudine verso un’identità incompiuta, che fa i conti con il binarismo di genere. Attraverso dei processi di ibridazione dei corpi con elementi naturali o tecnologici, come i cyborg, cerco di allontanarmi sempre più dalle visioni egemoniche della società. La raffigurazione estetica deve abbattere i confini delle norme di genere dominanti. Questa è una missione che porto avanti dalla mia prima esposizione al Museo Madre, Piece of my art, dove ho manifestato il mio personale coming out.

Roberto Amoroso, Piece Of My Art – courtesy of the artist

Mi rispecchio in questo termine nella sua versione più pura e meno didascalica. Il mio approccio alla cultura queer è diventato negli anni sempre più consapevole, soprattutto della sua storia. Come sono tuttora cosciente della sua strumentalizzazione a fini commerciali e di appropriazione estetica, penso che in un certo senso tutto questo sia parte di un processo di metabolizzazione sociale. Queste tematiche caratterizzano il mio ultimo progetto che esporrò a luglio nel giovane spazio 10&01 a Venezia.

M.G.: Internet ha radicalmente cambiato le modalità di interazione sociale e introdotto nuovi modi di pensare la partecipazione. In che modo questo entra nelle tue modalità di lavoro?

R.A.: L’interazione attraverso la condivisione di post nei social, per esempio, è diventata un atto fisiologico caratteristico del web, insegnandoci però come si possa trasformare in una possibilità per affrontare problematiche creando dei focus tematici.

Ho provato a tradurre fisicamente questo tipo di interazione soprattutto nei miei primi progetti, condividendo parti dei miei lavori, desideroso di fare dei piccoli furti estetici al fine di realizzare progetti di collaborazione collettiva, incontrando gli spettatori nella mie esposizioni  e cercando di trasferire queste energie negli spazi reali.

L’aspetto interattivo del digitale è stato interessante anche per lo sviluppo di progetti virtuali sull’identità attraverso lo strumento del test. Questo tipo di dinamiche mi consentono di avere degli spazi di confronto in cui la partecipazione di persone estranee al mio processo creativo mi aiuta percorrere strade che diversamente non sceglierei.

Roberto Amoroso, Fine Line #1 – courtesy of the artist

M.G.: Lavorare con i media digitali a differenza di quelli tradizionali richiede un costante aggiornamento o perlomeno una grande attenzione ai cambiamenti in ambito tecnico, sociale e culturale, legati al proprio mezzo espressivo. Qual è la tua esperienza a riguardo? Come ci si muove quando si lavora con un medium in costante mutamento?

R.A.: La scelta del digitale non necessariamente mi induce a continui aggiornamenti, soprattutto perché non mi interessa diventare uno specialista. Il mio approccio forse è più primitivo e ipertestuale, interessato a catturare tracce digitali o simbologie e soprattutto, negli ultimi progetti, a trasferire questi segni in un contesto analogico sottoponendoli a un processo di traduzione pittorica.

Anche nelle opere video che realizzo con mio fratello Dario, cerco di preservare questo approccio, giocando maggiormente sulla pratica del montaggio dei frame e la componente musicale. Devo però confessare di essere sedotto dall’idea di trasferire queste tracce anche in 3D e probabilmente in tal caso potrebbe essere necessario un aggiornamento tecnico o un confronto con uno specialista del settore.

M.G.: Ci sono altri artisti e artiste contemporanee, appartenenti a qualsiasi ambito anche fuori dalle arti visive, che guardi o trovi affini alla tua ricerca?

R.A.: Rispondo a questa domanda senza elencare una marea di colleghi rischiando di dimenticarmene qualcuno. Sarebbe più facile mostrarti la cartella “Schermate” sul mio telefono, essendo un collezionista di immagini di cui mi nutro artisticamente trasformandole in una traccia per un mio lavoro.

Sono spesso ispirato anche da altre forme di arte, per esempio la musica e tutti gli aspetti virali nella sua trasmissione. Credo nell’interazione tra discipline artistiche e non nella loro separazione.

Roberto Amoroso, Bruce LaBruce – courtesy of the artist
Roberto Amoroso, Bruce LaBruce – courtesy of the artist

M.G.: C’è un’opera o una ricerca in particolare che vorresti portare avanti se avessi la possibilità di non doverti preoccupare del budget?

R.A.: Avendo iniziato il mio percorso artistico più di quattordici anni fa, ho avuto anche il piacere di confrontarmi con budget museali. Mi piacerebbe realizzare un wallpaper, come agli esordi, e poter investire nel video mapping e nella realtà aumentata con l’obiettivo di creare progetti sinestetici.

Roberto Amoroso, Multiplex Coscience – courtesy of the artist
Roberto Amoroso, 2Cmd+C – courtesy of the artist