NON È MAI TUTTO

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YASMINE CHIBOUB X FEDERICO PALUMBO

Space/Future – video in esclusiva per Osservatorio Futura – courtesy of the artist

Federico Palumbo: Dal 31 agosto al 6 settembre, presso lo spazio Non Riservato, Yasmine Chiboub presentava il progetto intitolato Vicariance. Il titolo prendeva spunto esplicitamente da alcune considerazioni effettuate dall’ingegnere Alain Berthoz. I Vicariance, cito testualmente: “Sono i mondi che l’uomo inventa nella realtà della vita quotidiana, trasformandola secondo i propri desideri. Sono i mondi che l’immaginazione plasma nei romanzi e nell’invenzione narrativa. Sono anche i mondi cui possiamo accedere con le moderne tecniche di imaging, e sono mondi immaginari detti virtuali”. Sono mondi, dunque, dove l’invisibile si manifesta, dove  l’immaginazione (onirica-razionale) può essere amplificata – come in questo caso – tramite l’utilizzo delle tecniche digitali 3D, proprio come l’artista effettivamente faceva all’interno dello spazio. Infatti, la tecnica non era (e non è mai, nella sua opera) uno strumento invasivo e sostitutivo ma, piuttosto, fungeva da amplificatore percettivo, aprendo a considerazioni inerenti anche all’ambito tecnologico-scientifico e naturale-biologico.  

Andando per gradi: Chiboub trasformava la vetrata dello spazio e lo spazio esterno in un luogo altro, un’oasi lontana e differente dalla metropoli milanese; così facendo, l’artista modificava anche lo spazio interno della galleria: chi entrava credendo di trovarsi in un determinato punto spaziale (e temporale, poiché sempre e indissolubilmente connessi) si rendeva invece conto di essere da tutt’altra parte.  

L’operazione effettuata è sottile ma profonda: da sempre l’uomo (e in particolare l’artista) ha cercato ed edificato uno spazio che si sposasse con il suo corpo e con la sua mente. Laddove questo non fosse completamente possibile, è andato ossessivamente a modificarlo. E poco  importa se l’ha fatto con immagini o con ‘oggetti concreti’, il nesso e la spinta desiderosa è  sempre la stessa: l’uomo, per sua natura, è costretto a ritagliarsi un proprio spazio a sua immagine, a ri-creare sempre nuovi e diversi mondi con i quali dialogare.  

“L’uomo non può vivere senza costruire a se stesso uno spazio sacro”, afferma Eliade. 

Il periodo pandemico che stiamo vivendo – tra le altre problematiche – ha esattamente espresso e manifestato questo nostro desiderio di riconciliazione spaziale; questa costante voglia di ricreare uno spazio proprio che sia in grado di amplificare in qualche modo le possibilità del reale, molto spesso soggetto a mancanze di vario genere. E l’arte, ovviamente, si presta perfettamente a una simile pretesa.  

Lo spazio circostante ricreato può meglio evidenziare i problemi del ‘reale’. Anzi, quasi sempre è ciò che accade. Tornando a Vicariance di Chiboub, notiamo ora come lo spazio ricreato al di là delle vetrate della galleria rimandi a un’oasi lontana, perfettamente equilibrata, dove natura e  tecnologia sono finalmente risolte insieme in un’unicum e dove la ri-conciliazione è l’elemento che le rende plausibili. Ciò perché il punto di partenza è sempre una realtà al contrario sbilanciata, in questo caso profondamente dilaniata dal conflitto tra natura e tecnologia. La letteratura  sull’antropocene, d’altronde, è una delle numerose fascinazioni che l’artista in questi anni ha ‘subìto’ e approfondito.  

Vicariance, 2020, video installazione a due canali - YASMINE CHIBOUB - courtesy of the artist -
Vicariance, 2020, video installazione a due canali – courtesy of the artist – full video
Vicariance, 2020, video installazione a due canali - YASMINE CHIBOUB - courtesy of the artist -
Vicariance, 2020, video installazione a due canali – courtesy of the artist – full video

Questo tema è anche la base di partenza di un racconto che sta scrivendo, CEMENTO, e che ho avuto la fortuna di poter leggere in anteprima — il medium scelto dall’artista, infatti, non è mai circoscritto a priori e può dunque muoversi in ogni direzione possibile.  

Le fotografie, le installazioni, le poesie, i racconti, i testi teoretici – tutte ‘tecniche’ adottate dall’artista – sono frutto di un bagaglio culturale che spazia, come dicevamo, dal’antropocene alla psicologia della forma, dalla poesia alla filosofia e alle teorie Gestalt, dalla storia dell’arte alla  letteratura… e così via. 

Yasmine Chiboub: La mia ricerca artistica parte dalla fascinazione per lo spazio virtuale e si muove verso ogni direzione possibile. 

Che si tratti di un riflesso su di una finestra, di un’immagine su uno schermo, di un disegno progettuale, la dimensione virtuale rimane sempre incantevolmente sospesa, impalpabile, ed esiste solo a livello percettivo-visivo. 

Il disegno geometrico, la fotografia, la luce e le parole sono gli strumenti tramite cui mi esprimo, tentando sempre di stimolare la forza produttiva della percezione visiva dello spettatore. Paradossalmente cerco di guardare al modo in cui si guarda, traducendo nei più svariati modi quelle che definisco “immagini mentali”, senza mai dargli un corpo definitivo.  

Non ho ancora trovato un modo univoco di formalizzare le mie osservazioni e forse non mi interessa farlo. Le mie sono ricerche lunghe, piene di fallimenti, e che spesso faccio difficoltà a concretizzare. 

In quest’ultimo periodo sto lavorando a diversi progetti tramite dei software di modellazione 3D, di cui uno legato a un racconto che sto scrivendo e di cui ho recentemente esposto un’anteprima in occasione di Walk in Studio a Milano. Questo racconto è ambientato nel futuro, all’interno di un edificio incompiuto milanese. L’edificio diventa lo scenario di una storia fantastica, che parla di antropocene, racconta di una simbiosi tra natura e tecnologia e di un’alterazione della percezione visiva umana.  

Come scrive Federico, riferendosi al mio ultimo lavoro svolto durante la residenza a Non Riservato, utilizzo infatti il software di modellazione 3D come uno strumento che dà forma a degli spazi immaginativi, dei luoghi realmente inesistenti e concretamente irrealizzabili, partendo però da suggestioni date da spazi realmente esistenti.  

Le tecniche che utilizzo sono dei mezzi che mi permettono di ampliare o distorcere la percezione del reale, cercando un dialogo tra la dimensione reale e quella virtuale: immaginativa. Faccio lo stesso con il mezzo fotografico, come nel caso del mio lavoro Uluru, dove una fotografia  di un sacchetto di plastica rosa sovrapposta ad un faretto luminoso diventa la “presenza artificiale  di uno spazio assente”, Ayers Rock (Uluru appunto), di cui però ricorda profilo e colore. Oppure Home, dove su quattro finestre sospese a 90 cm dal pavimento, chiuse su loro stesse, proietto una fotografia scattata dall’interno di una casa, dove due porte si aprono su una finestra  che riflette l’interno stesso, in continuo scambio tra le dimensioni interno/esterno, reale/virtuale. 

Uluru, 2019, fotografia - Yasmine Chiboud - courtesy of the artist
Uluru, 2019, fotografia – courtesy of the artist

O, ancora, nel mio lavoro Acqua su acqua, dove sei fotografie stampate su carta trasparente vengono fatte galleggiare sull’acqua contenuta all’interno di sei vaschette di ferro, facendo paradossalmente aumentare la percezione dell’elemento naturale altrimenti trasparente.  

Acqua su acqua, 2017. Acqua, ferro, fotografie stampate su pvc, 2017 - Yasmine Chiboub - courtesy of the artist
Acqua su acqua, 2017. Acqua, ferro, fotografie stampate su pvc, 2017 – courtesy of the artist

Federico Palumbo: Il continuo scambio di cui parla Chiboub tra reale/virtuale, interno/esterno e, aggiungo io, linguaggio/meta-linguaggio, la rendono un’artista meditativa. Più che concettuale – termine che uso sempre con un po’ di riserva – mi sembra ci sia un approccio appunto meditativo nei confronti della realtà. Questo perché è palpabile il desiderio di andare oltre ai meccanismi mentali che governano la nostra percezione delle cose e, di conseguenza, della realtà circostante — Acqua su acqua è emblematica in tal senso. Ciò che vediamo non è mai abbastanza. Non è mai tutto. E il compito dell’arte risulta essere uno soltanto: snocciolare i meccanismi percettivi della nostra mente e, di conseguenza, rimodellare l’esistente. A nostro piacimento.

Home, 2016. Finestre, ferro, fotografia proiettata, 200 x 90 cm - Yasmine Chiboub - courtesy of the artist
Home, 2016. Finestre, ferro, fotografia proiettata, 200 x 90 cm – courtesy of the artist
Nonluogo, 2018, gesso, carta, 150 x 150 cm - Yasmine Chiboub - courtesy of the artist
Nonluogo, 2018, gesso, carta, 150 x 150 cm – courtesy of the artist
Ocean box, 2019, alluminio, vetro, stampa su plexiglass, 100 x 100 x 15 cm - Yasmine Chiboub - courtesy of the artist
Ocean box, 2019, alluminio, vetro, stampa su plexiglass, 100 x 100 x 15 cm – courtesy of the artist