DAVIDE D’AMBRA X FRANCESCA VITALE
Un amore nato quasi per caso. Il fotografo Davide D’Ambra ci racconta una passione maturata da autodidatta, che adesso è per lui anche un mestiere. Nato nel 1982 a Torino studia Economia per poi avvicinarsi al settore del marketing. Un comparto con il quale continuerà a intrecciare uno stretto rapporto, anche nell’ambito fotografico, come dimostrano le sue collaborazioni con note aziende.
L’utilizzo della fotografia per scopi commerciali va di pari passo con i suoi lavori artistici, che si concretizzano perlopiù in ritratti non convenzionali, capaci di far emergere i particolari più nascosti delle personalità dei soggetti fotografati, siano essi individui comuni o personaggi famosi.
F.V.: Cos’è per te la fotografia e com’è nato il tuo rapporto con essa?
D.D.: La fotografia per me è tante cose: un’esigenza inspiegabile, una modalità osservativa, una forma d’interazione, un’occasione per entrare in situazioni che altrimenti mi sarebbero precluse. È inoltre una professione e questo mi costringe, piacevolmente, ad occuparmene costantemente.
Il mio rapporto con la fotografia è nato da bambino, inserendomi in storie immaginate nelle foto che vedevo sui libri di casa o in qualsiasi scatto mi trovassi ad osservare. Tuttavia ho iniziato a fotografare molto tempo dopo, regalando una macchina fotografica alla mia compagna di allora che, non usandola quasi mai, la lasciava spesso a me. Fa ridere, ma è andata così. Un rapporto con la fotografia nato per caso, consolidatosi in fretta ed in continua evoluzione, come quello con me stesso.
F.V.: Come è avvenuta la tua formazione artistica?
D.D.: Ho avuto una formazione scolastica scientifica e mi sono laureato in Economia. Il mio rapporto con l’arte è maturato per piacere, da autodidatta. A parte lo studio, le contemplazioni, le visite di musei e mostre, ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno insegnato molto, non solo a livello nozionistico. Per quel che riguarda la fotografia in particolare, ho affiancato alla formazione da autodidatta alcuni corsi specifici come la Masterclass dell’agenzia Magnum e la Luz Academy.
F.V.: Ti lasci ispirare da qualcosa o da qualcuno?
D.D.: Mi lascio ispirare potenzialmente da tutto.
Sicuramente non smetteranno mai di ispirarmi i ritratti di Irving Penn e la ribellione di Egon Schiele.
F.V.: Spesso nei tuoi lavori ci sono due scatti, come pensi a questa associazione di immagini?
D.D.: Non sempre è progettata a priori, anche perché spesso le foto che abbino sono scattate in momenti e contesti diversi, anche molto distanti fra loro. Ho iniziato a lavorarci riordinando il mio archivio: mi sono ritrovato ad abbinare immagini con forme simili, come se stessi giocando ad un memory game. Mi sono reso conto che accoppiare più fotografie mi permette di creare spazi narrativi nuovi ed inediti, differenti rispetto alla vista della singola immagine. Questo “gioco” mi ha rivelato che, seppur in situazioni e tempi diversi, il mio sguardo è rimasto costante, identitario. Ciò non toglie che il modo in cui fotografo è soggetto a cambiamenti ed esperimenti che vanno di pari passo con l’evoluzione del mio essere. Via via questa modalità espressiva ha cominciato ad interessarmi maggiormente ed ho continuato ad impiegarla più consapevolmente. Sfruttando poi l’interfaccia di Instagram, ho iniziato ad editare le immagini organizzandole a “caroselli” per creare microstorie con piccole serie di foto legate tra loro ed i post adiacenti.
F.V.: Hai fatto numerosi ritratti fotografici, molti anche a personaggi conosciuti, come Dario Fo, Claudia Cardinale, Sebastian Vettel o personalità nel mondo della musica come Davide Dileo, Cosmo, Giorgio Poi, Myss Keta e Franco126. Chi tra i personaggi conosciuti che hai fotografo ti ha lasciato di più?
E chi sogni di poter fotografare un giorno?
D.D.: I ritratti sono stati realizzati in situazioni molto diverse: con alcuni personaggi ho avuto a disposizione pochi minuti, con altri ho passato più tempo e credo che ciò condizioni inevitabilmente la mia percezione di una persona.
Tutti mi hanno lasciato qualcosa. Già l’esperienza di fotografarli è un lascito importante considerando che, anche se solo per alcuni centesimi di secondo, c’è una connessione diretta tra persone che nella maggior parte dei casi non si sono mai viste prima. Con alcuni di loro ho avuto modo di sperimentare di più, per esempio con Davide “Boosta” Dileo c’è stato un bello scambio di fiducia ed ho potuto raccontare la mia visione del personaggio in completa libertà.
Sarò banale, ma Al Pacino è la mia chimera.
F.V.: Qual è stato il tuo primo soggetto fotografico?
D.D.: Nei primi tentativi con la macchina fotografica non sapevo bene cosa mi interessasse. Ho cominciato quindi a vagare a zonzo per la città fotografando scene di vita quotidiana, gente di passaggio (senza un approccio prima dello scatto), elementi che attiravano la mia attenzione. Da lì a breve ho scoperto l’esistenza ed il linguaggio della street photography, un genere fotografico la cui caratteristica principale risiede nel “candid” e nell’essere dentro alla scena, presente davanti a chi si fotografa. Non è l’elemento “strada” a farla da padrone, ma l’approccio.
Approfondendo questo genere ho conosciuto Bruce Gilden, icona della street con cui ho passato qualche giorno, e che mi ha dato il consiglio migliore che abbia mai ricevuto: “shoot who you are”, scatta chi sei. Ed io ho bisogno di astrazione, so offrire empatia, preferisco il contatto diretto e senza fronzoli al chiacchiericcio: il ritratto, così come lo vedo ora, è una conseguenza diretta dell’essermi conosciuto meglio. A proposito di soggetti, gli alberi sono da sempre una fonte di meraviglia per me. Non so per quale motivo, se per le infinite metafore e simbologie ad essi legate o altro, ma ne sono incredibilmente attratto e li fotografo spesso, senza velleità, per puro piacere personale.
F.V.: Fotografia a parte, com’è il tuo rapporto con le altre arti?
D.D.: Godo di tutte le arti. Di certo la musica mi accompagna per più tempo, ma anche i pensieri o le domande che mi rimangono dopo la visione di un film o di un’opera d’arte (performativa, visiva, non fa differenza) stanno con me a lungo. Nella musica poi ci sono cresciuto, tra violini, spartiti e bacchette grazie al mio nonno materno che faceva il direttore d’orchestra. Tuttavia, nonostante le tradizioni familiari, non l’ho mai “fatta” la musica, nemmeno alle scuole medie con il flauto. Probabilmente anche per questo mi trovo a mio agio a fotografare musicisti ed artisti. Ammetto inoltre di essere terribilmente imbranato e di non avere manualità quindi seguo, osservo, ammiro tutto ciò che deriva dall’abile manipolazione di qualsiasi materia.