GIUSEPPE MULAS X FRANCESCA VITALE
È un mondo onirico, fatto di suggestioni, sogni, fantasia e immaginazione quello in cui Giuseppe Mulas si immerge e in cui accompagna chi osserva le sue tele. Attraverso rievocazioni di figure e oggetti, l’artista culla lo spettatore che si lascia andare a ricordi e suggestioni, veri o immaginari, del passato o di un’ ipotetica realtà.
Classe 1995, di origini sarde, Giuseppe Mulas racconta l’origine dei suoi lavori e in modo particolare di quelli presentati alla galleria Alberto Peola Simondi di Torino, a partire dal febbraio 2020, in occasione della sua prima personale: Sleep well childhood.
Francesca Vitale: L’anno scorso hai inaugurato la tua prima personale alla galleria Peola Simondi a Torino, curata da Eleonora Fascetta. Come nasce l’idea di Sleep well childhood?
Giuseppe Mulas: I lavori esposti nella mia prima personale dal titolo Sleep Well Childhood, non nascono da un’idea definita, bensì sono il frutto di un’indagine introspettiva.
Ho lavorato alle tele esposte tra il 2018 e il 2019, in un periodo di cambiamento. L’infanzia era ormai un ricordo lontano e l’adolescenza lasciava spazio e tempo alle responsabilità e alle consapevolezze che oggi costituiscono la persona che sto diventando. Prima di allora non praticavo la pittura quotidianamente e con costanza; mentre cercavo di fare i conti con la mia identità mi rendevo conto che non riuscivo a farcela da solo e la pittura è stata una rivelazione. Dipingere è come tuffarmi all’interno di me stesso, mi dà la forza di confrontarmi con le mie paure, donandomi il coraggio di accettare ciò che provo a reprimere riguardo la mia persona. Sleep Well Childhood è stato uno sfogo liberatorio.
FV: In molte tue opere è chiaro il riferimento al mondo onirico in cui la mente lascia il via libera a pulsioni e desideri. I sogni e le notti a cui fai riferimento nelle tue opere, ti appartengono personalmente?
GM: Raramente al mattino ricordo i sogni della notte precedente. I sogni mi ossessionano, forse perché mi sembra di non sognare mai.
La notte invece è il momento della giornata che preferisco, mi piace aspettarla. A Torino, nella mia stanza, ho un balcone che abito più della camera stessa. Alla sera, estate e inverno resto seduto fuori fino a tardi, in attesa che le strade si svuotino e si accendano le luci alle finestre. Ho paura dalla notte e del buio, ma la aspetto con trepidazione per immergermi nei suoi rumori. La notte è una costante che ritorna nel mio lavoro. Le mie composizioni vivono in una dimensione temporale sospesa, lontana dal sorgere del sole. Le notti che racconto mi appartengo, sono frammenti autobiografici di vita, d’insonnia e d’incubi che ritrovano un confronto con l’altro nel cielo stellato incorniciato in una finestra, immagine che si ripete nei miei lavori recenti. Tuttavia queste non sempre si riferiscono ad un passato realmente vissuto, spesso ciò che racconto ed il mondo onirico da cui attingo, appartengono ad un trascorso immaginario.
FV: Qual è stata la tua più grande soddisfazione da quando hai deciso di fare arte?
GM: Trovo soddisfazione nel sentirmi sempre insoddisfatto, questo mi porta ad una continua ricerca ed evoluzione di me stesso e del mio lavoro.
FV: Quali sono le tue più grandi ispirazioni?
GM: Ritengo complesso parlare oggi d’ispirazione, attualmente ciò da cui attingo è l’immaginazione, l’unica via possibile per abbattere i confini della quotidianità ed evadere così dalla realtà. Nutrire e alimentare la mia fantasia mi aiuta ad ampliare i campi d’interesse. La lettura e la musica aprono dei varchi, fornendomi chiavi di riflessione che indago nel reale, nel presente e nel passato alla ricerca di creare interconnessioni atemporali.
FV: Oltre alla serie di dipinti e disegni presentati in Sleep Well Childhood, hai mai rappresentato un altro insieme di opere che fossero delineate da un filo conduttore?
GM: I miei lavori non nascono mai come opere singole. Il marcato aspetto narrativo della mia ricerca deriva dal fatto che progetto sempre le mie composizioni per serie e ogni tela è un frammento di un’unica storia.
Attualmente sto lavorando parallelamente su due corpus di opere. Nel primo prevale l’aspetto immaginifico e surreale, nato da riflessioni scaturite dalle immagini del film “Alice” di Jan Svankmajer e dall’analisi del testo “Specie di spazi” di Georges Perec.
La tela attualmente esposta alla Gam di Torino per Artissima Unplugged appartiene a questo nucleo di lavori ancora in corso d’opera.
L’altro progetto al quale lavoro è costituito da una serie di nature morte, dove spesso compaiono delle frasi, ipotetici dialoghi e domande di un bambino rivolte metaforicamente alla figura della mamma. Queste rimarcano il bisogno che sento di confrontarmi nuovamente con il tema dell’infanzia. Questo progetto è un lavoro sul tempo e sul valore della solitudine verso la riscoperta e la condivisione di un’intimità con il genitore.
Tuttavia il filo conduttore della mia ricerca pittorica è la memoria che deriva da una paura intima di smarrire i ricordi e perdere coscienza e consapevolezza della mia storia in cui mi identifico.
FV: Come ti approcci alla pittura e al disegno? Hai mai sperimentato altre tecniche?
GM: Rispetto ai lavori realizzati per Sleep Well Childood il mio approccio alla pittura e al disegno è cambiato divenendo più strutturato e metodico.
La situazione attuale che stiamo vivendo ha influito drasticamente nel mio approccio alla pratica artista. Attualmente, prima di procedere alla pittura dedico tanto tempo alla fase progettuale attraverso il disegno. Realizzo diversi studi compositivi e la mia pittura, in questa continua evoluzione, ha acquisito più sicurezza, lasciando meno spazio all’impulsività e all’imprevedibilità del fare pittorico. Passo delle ore a ritrarre gli oggetti che vivono le mie immagini, mi piace osservarli con attenzione e questo mi permette d’instaurare con gli stessi un rapporto metafisico di dialogo.
Il disegno è dunque la base del mio lavoro, dedico più tempo a questo processo che non alla realizzazione stessa dell’opera.
Il mio approccio alla pittura in costante mutamento è accompagnato da una ricerca continua di nuovi materiali da sperimentare. La sperimentazione è indice di rinnovamento e spesso cambio tecniche pittoriche a seconda del progetto che realizzo. Non penso di essere in possesso di una tecnica univoca, tuttavia alcuni aspetti si ripetono come il graffiare e incidere la materia pittorica.
FV: Quando venni all’inaugurazione di Sleep well childhood rimasi molto colpita dai colori delle tue tele, in modo particolare dell’uso di un blu molto scuro e intenso e di diversi gialli. Come scegli i colori da usare nell’opera?
GM: Anche l’approccio al colore è maturato con gli ultimi lavori. La mia tavola cromatica si è arricchita di toni e tonalità. La ricerca del colore e degli accostamenti cromatici è la chiave del mio interesse verso la pittura. Non ho paura del colore, anzi è proprio questo ciò che mi attrae. L’aspetto magico del mio lavoro prima che dalle soluzioni compositive, scaturisce dall’accostamento di oggetti dalle tonalità surreali, questo approccio al colore deriva in parte dal mio interesse verso il mondo della moda.
Non coloro mai i miei disegni preparatori, non attribuisco nella fase di studio i colori alle composizioni, ma affido la scelta delle tonalità a quell’imprevedibilità della pittura di cui accennavo precedentemente.
Quando è la malinconia a prevalere, e questo a Torino capita spesso, i colori brillanti e sgargianti lasciano spazio alle tonalità dei blu ed è come se nella scena mancasse la luce e l’atmosfera diventa cupa.