FEDERICO PALUMBO X GIULIA CACCIUTTOLO, FEDERICA FIUMELLI E SOTTOFONDO STUDIO
Una settimana fa ha inaugurato la mostra “Sogni sognati troppo a lungo”, personale di Giulia Cacciuttolo a cura di Federica Fiumelli, presso lo spazio indipendente Sottofondo Studio. Federica la conosciamo, scrive per noi da ormai un anno ed è una delle più importanti curatrici indipendenti della sua/nuova generazione. Giulia Cacciuttolo, invece, è un’artista che “tenevamo d’occhio” da un po’ di tempo, con una ricerca assolutamente fresca e particolarmente interessante. Lo stesso vale per Sottofondo Studio, un nuovo spazio indipendente ad Arezzo fondato da Elena Castiglia (curatrice indipendente nonché mia ex compagna di Brera), Bernardo Tirabosco e Jacopo Naccarato (tutti e due artisti) con il quale non eravamo ancora riusciti a intraprendere un discorso serio. Insomma, fra vecchie e nuove conoscenze finalmente siamo riusciti a scambiare quattro chiacchiere con tutti i protagonisti del progetto, facendoci raccontare la loro ultima fatica. Prima di lasciarvi leggere “l’intervista” vorrei però sottolineare un aspetto, a me davvero tanto caro: lo scambio e l’intreccio fra diverse città e personalità che condividono la stessa passione. La professionalità con la quale tale passione viene tramuta in mestiere – sicuramente non per il salario-quale-salario-? – è degna di essere sottolineata e dà la forza a tutti noi per continuare: l’arte è davvero un sogno sognato troppo a lungo.
Federico Palumbo (x Federica Fiumelli): Sono rimasto molto colpito dall’apertura del testo critico che, come al tuo solito, si dimostra mai freddo, ma piuttosto poetico ed evanescente. Incisivo… e, mi pare di capire, si dimostra essere in linea con la ricerca portata avanti da Giulia Cacciuttolo. In più, apre a diverse altre considerazioni. Il segno, dunque, è uno degli elementi protagonisti del discorso. Quello minimo, quasi impercettibile (ma presente) mi fa venire in mente grandi artisti, che ho amato dal primo giorno: in particolare penso a Richard Long (e soprattutto alla celebre ‘A Line Made by Walking’). Come pensi si inserisca Giulia in questi discorsi? E, soprattutto, come si posiziona la ricerca dell’artista all’interno del panorama contemporaneo?
Federica Fiumelli: Innanzitutto ti ringrazio per le belle parole che hai speso nel cominciare quest’intervista, davvero. Da sempre, nella mia pratica curatoriale la scrittura ha un ruolo primario, d’urgenza, ma è doveroso ringraziare gli artisti, i veri autori, che alimentano costantemente la mia voglia di mettere nero su bianco una possibile narrazione su di loro.
Per quanto riguarda il lavoro di Giulia, hai citato un lavoro pertinente e visivamente affine alla sua poetica. Anche per quanto riguarda “A Line Made By Walking” di Richard Long si tratta di lavorare su tracce di luoghi, su tracce di memoria. Come se si volesse lasciar traccia, senza lasciare traccia. Un paradosso. Nei lavori di Giulia, tutto è confine equilibrato tra peso e leggerezza, tra realtà e astrazione, tra luogo concreto e memoria effimera. La sua ricerca comincia da percezioni personali che riescono a trascendersi, al fine di restituirci immagini completamente diverse, qualcosa che sfugge a logiche di comprensione precostituita. Giulia ha un approccio assolutamente sperimentale ai materiali, è raffinata nelle sue scelte (dall’organza di seta, al rame, alla cera), e riesce a dare forma a visioni poetiche del tutto personali (di sovente scatti in analogico in bn); nei suoi lavori si passa da una “micro memoria personale” ad una “macro memoria possibile”, dall’intimismo ad una collettività di sguardo. Credo sia questo che la rende contemporanea: le sue immagini sono liquide, evanescenti, vaporose, tarkoskiane, in un certo senso ambigue – sono autentici frammenti di visione che attraversano diversi linguaggi: da quello fotografico, a quello pittorico, per arrivare a quello scultoreo. Ne spiegai in maniera più approfondita in un testo critico per la personale dell’anno scorso che Giulia ha avuto alla Galleria Ramo di Como, sempre curata da me.


F.P. (x F.F.): Purtroppo non potrò vedere la mostra. Come mi/ci racconteresti la mostra? Partendo dalla genesi e giungendo alla fase finale di realizzazione del progetto espositivo.
F.F.: La mostra già ben si presenta dal titolo: “Sogni sognati troppo a lungo” – un estratto da Italo Calvino che entrambe amiamo, e che durante i nostri confronti è arrivato fin da subito. Come un rito di iniziazione poetica. La possibilità di sperimentare in libertà, che ci è stata resa possibile dai ragazzi di Sottofondo Studio, è stata fondamentale, ed è uno dei tratti distintivi, di vero valore – degli spazi espositivi indipendenti. La mostra è un piccolo viaggio nella poetica di Giulia, non una summa, ma sicuramente una piccola porzione significativa della sua attuale produzione; l’esposizione ben racconta il suo modus operandi e il suo approccio trasversale e internazionale alla materia e all’esecuzione dell’opera finale.
L’idea di traccia e impronta, di gesto di passaggio – è reiterata in questo progetto attraverso differenti supporti: le stampe, i calchi e l’installazione in cera, quasi come un grido sussurrato – come in un sogno, ci ritroviamo di fronte a frammenti condensati.
La mostra è un’occasione per ritrovare luoghi o inventarne di nuovi, in fondo non servono a questo le immagini? A ricordare e immaginare spazi di visione, a ritornare a sogni sognati troppo a lungo.
F.P. (x Giulia Cacciuttolo): La tua ricerca offre spunti assai interessanti. Inoltre, mi sembra di capire che metta insieme elementi quali la memoria, il ricordo, l’archivio, il gesto, il passato, l’azione, il collettivismo, e diverse altre cose… Quanto la lezione contemporanea così come quella passata è risultata importante per lo sviluppo della tua ricerca?
Giulia Cacciuttolo: La mia ricerca é nata da un bisogno, una necessità densa, quasi morbosa, di indagare i meccanismi e le dinamiche della memoria e del ricordo, con una preoccupazione mirata al dimenticare, all’essere dimenticati. Penso che tutto questo, in fondo, abbia la sua genesi nella paura della morte, dell’oblio ultimo.
Dunque, è questo il flusso che ha nutrito e nutre tutti i rami della mia ricerca. Nel tempo poi ho coltivato degli ambiti di ricerca più specifici, legati al concetto di archivio, fino ad arrivare ad oggi, dove mi interesso principalmente della possibile lettura del paesaggio come archivio e custode di memoria, sia per il singolo che per le collettività.
Questa la mia ricerca più “teorica”, accompagnata poi da una costante sperimentazione con spazio, materiali e tecniche, con interventi diretti su luoghi specifici. C’è sicuramente una forte tensione tra quello che considero rilevante per me in quanto individuo che fa ricerca di un certo tipo e quello che può invece avere rilevanza e dunque essere inserito in un discorso più ampio. Ci sono tanti livelli di ricerca e condivisione ed imparare a regolare questa tensione è senz’altro uno dei miei obiettivi.
Il contemporaneo è figlio del passato e saper leggere questa discendenza e capirne le implicazioni è a mio avviso fondamentale per una costruzione sostenibile del nostro futuro.


F.P. (x G.C.): Mi sembra di percepire dai tuoi lavori un certo senso rivolto verso l’equilibrio, fissato all’interno di un’instabilità e dunque solo dal retrogusto precario. È realmente così oppure è solamente una mia sensazione visiva piuttosto che concettuale?
G.C.: È realmente così. Il mio lavoro – sia a livello teorico che a livello pratico – si nutre di una costante tensione tra certezza ed incertezza, tra stabilità ed instabilità. C’è una patina esterna di ordine, equilibrio e pulizia, sotto la quale si può percepire un brulicare disordinato e caotico che preme per uscire. E questo è stato senz’altro incorporato nel mio processo creativo.
Se dovessi provare a raccontare come si svolge, direi che cavalco questa dicotomia certezza/ incertezza mentre chiudo gli occhi in uno stato di ascolto profondo rivolto sia verso l’interno che verso l’esterno. Quasi una sorta di meditazione costante.
Per molto tempo ho vissuto questa sorta di precarietà come un problema, un qualcosa da risolvere, capendo poi invece che era parte fondante della mia ricerca. Sia in quella più teorica che in quella pratica, dove l’imprevedibile, l’errore, l’inaspettato sono parti fondamentali del processo di creazione.
Mi affascina molto sapere che questo traspaia in qualche maniera da i miei lavori: io ci sono persa dentro, come in un labirinto, ed a volte ho l’impressione di riuscire davvero a vedere i miei lavori solo attraverso gli occhi degli altri: lì, all’improvviso, assumono forme e significati sorprendenti.

F.P. (X G.C.): Mi ha colpito una domanda all’interno del tuo portfolio: “Ci siamo mai fermati a riflettere su quale versione del passato portiamo con noi?”. Ho provato a rispondermi: solamente la versione che fatichiamo a ricordare, spingendoci così a pensare un possibile collegamento con il presente. L’arte, in tutto questo discorso, che valori credi abbia? Quanto è importante il passato nel presente? E quindi anche nell’arte?
G.C.: Mi viene difficile immaginare una definizione per l’arte: credo sia una tensione verso qualcosa che viene costantemente ridefinito sia a livello individuale che collettivo, e dunque mai davvero raggiunto. Per me è sempre stata un’inevitabilità: una forte pulsione interna, una necessità impellente di fagocitare parti delle cose percepite, attraversarle internamente e rigettarle fuori per renderle parte di un discorso collettivo. L’arte, come tutte le cose d’amore e di pancia, ha un impatto reale solo quando fortemente sentita, nata da un bisogno feroce ed interno, e non quando usata come esercizio di potere.
Per me la linea di confine tra passato e presente è molto labile: il passato siamo noi oggi, il passato ci ha formato esattamente così come siamo qui ed ora, dunque difficile per me demarcare nettamente una soglia. Il passato ci permea in ogni parte ed a mio avviso è fondamentale che questa consapevolezza diventi cosciente. Il grande pericolo in agguato se questo non avviene è dimenticare, ma soprattutto non imparare. Capirlo, ma soprattutto ricordarlo, ci aiuta a definirci e a definire il sentiero che vogliamo percorrere.
L’arte, in quanto campo di ricerca nella lettura della nostra realtà e della nostra esistenza, dovrebbe comprendere e rapportarsi al passato esattamene nella stessa maniera, ma – in aggiunta – facilitare l’avvicinamento.
F.P. (x G.C.): Come si è costituita la mostra? Mi piacerebbe conoscere la genesi e capire quali potrebbero essere i risvolti futuri.
G.C.: Io e Federica abbiamo uno storico di grande sintonia e comprensione nel lavorare insieme. In pochissimi hanno saputo capire e coltivare il mio lavorare come ha fatto lei nei progetti sviluppati insieme. “Sogni sognati troppo a lungo” nasce da un interesse di entrambe al confronto con una realtà interessante ed in crescita come quella di Sottofondo. La base di partenza sono stati i temi che affronto nella mia ricerca artistica, incorporando però delle dinamiche nuove. Infatti, è stata costruita in un momento di grande cambiamento per me, durante il quale sapevo che – a parte grandi cambiamenti interni – mi sarei fisicamente spostata continuamente per l’Europa per circa tre mesi. Abbiamo dunque deciso di assecondare questo migrare ed inserirlo nel concept della mostra, nella sua costruzione e dunque anche nella realizzazione dei lavori. Tutti i lavori sono stati realizzati in luoghi diversi, in tappe diverse di questo viaggio. Vogliono toccare temi come il passato, la memoria, l’appartenenza al paesaggio attraverso una ricerca sulle texture e sulle “tracce” sia a livello tattile che a livello visivo.
Il tutto poi è stato pensato e sviluppato in grande armonia con lo spazio che avrebbe accolto la mostra: l’incorporare i luoghi dove le mie opere esistono nelle opere stesse è una condizione quasi imprescindibile. In Sottofondo abbiamo trovato non solo libertà e fiducia totali, ma un grande rispetto e curiosità che hanno reso questa esperienza una delle più felice avute fino ad oggi.
Sia a livello teorico che pratico questa mostra rappresenta l’inizio di qualcosa di nuovo e molto importante per me che spero di concretizzi presto in nuovi progetti, nuove collaborazioni e nuovi dialoghi.

F.P. (x Sottofondo Studio): Avete aperto i battenti da poco ma contate all’attivo già parecchie mostre e diversi progetti. Com’è nata l’idea di Sottofondo Studio e come vengono al mondo le mostre che ospitate nel vostro spazio?
Sottofondo Studio (Elena Castiglia): Sottofondo nasce come studio di Bernardo Tirabosco e quella rimane la sua funzione primaria. Il progetto “Lo studio ospita” – quindi l’idea di utilizzare gli spazi a disposizione per organizzare mostre e progetti legati all’arte contemporanea – si è concretizzato nel dialogo tra Bernardo, Jacopo Naccarato – bravissimo artista con particolari doti organizzative – e me (Elena Castiglia, n.d.r.) che mi occupo di curatela e produzione. Questo confronto è nato per la necessità di condividere le nostre esperienze acquisite fuori da Arezzo e provare a portarle in una città che secondo noi è territorio fertile di ricerca ma dove mancano proposte di questo tipo.
Le mostre nascono da incontri prima di tutto istintivi, da una relazione di fiducia con alcuni artisti che conosciamo da tempo o che abbiamo il piacere di incontrare nel nostro percorso. Nel tempo stiamo strutturando diverse modalità di scambio con artisti e curatori, siamo sempre aperti a ricevere proposte, ma tutto nasce dalla necessità di connetterci e dare spazio a progetti che sentiamo a noi vicini e che selezioniamo in base a delle urgenze che vorremmo approfondire. Penso che la forza di questo progetto sia la libertà nello sperimentare tipica del non profit – con tutte le difficoltà che comporta come sai bene – ma anche lo spazio che abbiamo risistemato con le nostre mani, in particolare quelle di Bernardo, e che ha ancora tracce imperfette del suo passato di abbandono.
F.P. (x S.T./E.C.): Purtroppo conosco bene i problemi di cui parli, ma anche della soddisfazione di fare lo stesso le cose. Ad ogni modo, mi piacerebbe sapere com’è nata la collaborazione con Federica, e la relativa scelta dell’attuale personale di Giulia. Insomma, come si struttura la vostra programmazione più nello specifico e se avete già qualcosa da poterci spoilerare.
S.T./E.C.: La programmazione 2021 ha avuto diverse genesi date da incontri precedenti all’effettiva creazione del progetto espositivo e anche dalla necessità di iniziare a creare una rete che possa sostenere il progetto. Finora ha visto esposti gli stessi Bernardo e Jacopo come inizio di un dialogo con lo spazio in cui lavoriamo, e Lorenzo Ermini. Giulia Cacciuttolo è uno di questi meravigliosi incontri. La proposta di mostra è arrivata in collaborazione con Federica, curatrice che stimiamo e che ha seguito anche un progetto con Jacopo un anno fa. Siamo entusiasti di aver lavorato con due personalità così positive e dalla ricerca profonda che non hanno fatto che confermare il nostro sincero trasporto per questa modalità libera di confronto. “Sogni sognati troppo a lungo” che resterà fino al 29 ottobre è stato un momento di incontro con la ricerca di un’artista estremamente sensibile e capace che ha fatto rivivere a noi e tutti i visitatori passati finora lo spazio di Sottofondo con una forte meraviglia. Quello che abbiamo ricercato in queste mostre è anche un lavoro diretto sullo spazio espositivo che avesse relazione con le sue caratteristiche.
Un piccolo spoiler possiamo farlo: verso metà Novembre ospitiamo Alice Paltrinieri con Davide Salvioli come curatore per un progetto site specific. La programmazione 2022 sarà più strutturata, qualche mostra in meno ma più cura nella proposta che vedrà anche collettive e forse un’open call. Per ora, però, basta così!

