CONVERSAZIONE TRA GIUSI SFERRUGGIA E MARTA M.ACCIARO

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Marta M. Acciaro: partirei da questa ultima mostra per parlare un attimo di “Giusi pittrice” perché una frase che ha detto Alessia Coppolino, la tua curatrice, il giorno dell’opening a La Siringe, è che con quei tessuti hai dipinto lo spazio. Puoi raccontarmi come sei arrivata, da pittrice, ad affrontare il colore con materiali diversi? Vorrei anche sapere se è un problema di colore (?) di materiale (?): che tipo di problema ti si pone come pittrice quando vai a istallare delle stoffe?

Giusi Sferruggia: per me la pittura è sempre stata insita in ogni cosa. Un presupposto è il fatto che io abbia sempre dipinto e nella mia pratica pittorica c’è sempre stata un’attenzione particolare per i materiali e per alcune azioni. Anche la cucitura, la creazione di un gioiello o di un abito: sono tutti elementi che appartengono alla mia infanzia, momento in cui ha inizio il mio interesse per la pittura. Ho in seguito studiato al liceo artistico e all’accademia di belle arti di Palermo ma solo dal momento in cui ho cominciato a lavorare in studio ho capito più a fondo che la questione della pittura coincide con quella dei materiali, motivo per cui mi sono addentrata nella plasticità. Anche se c’è la tendenza a definire scultura o installazione un insieme di elementi tridimensionali per me il concetto che rimane è sempre quello pittorico.

la siringe, SOSPENSIONE ORIZZONTALE, Giusi Sferruggia – courtesy dell’artista
la siringe, SOSPENSIONE ORIZZONTALE, Giusi Sferruggia, particolare – courtesy l’artista

M.A.: sono d’accordo con te, anche il mio retaggio da pittrice ha influito su tutto, su come guardo, come scrivo, cosa penso.

G.S.: Penso che siamo composti da tantissimi elementi e raccontare un solo aspetto potrebbe essere riduttivo. Dunque voglio spingermi oltre e ho capito che voglio farlo integrando nuovi materiali, altre tecniche e usare il corpo perché nel mio caso è fondamentale. In questo lavoro de La Siringe emerge di più: un corpo che si muove all’interno di uno spazio e costruisce lo spazio stesso.

M.A.: da quanto tempo lavori con il tessuto?

G.S.: da quattro anni. Ma adesso è il periodo più concreto.

M.A.: sono tessuti riciclati, nuovi…?

G.S.: questi sono tutti tessuti che ho recuperato in un magazzino di un tessitore di Biella. Erano inutilizzati da vent’anni e  li ho recuperati quattro anni fa. Ho fatto una prima pigmentazione dei tessuti, poi li ho messi a parete e questo è stato un primo passaggio della ricerca. Quel lavoro l’ho chiamato “Respiro”, era nato in un momento per me critico. Ho materializzato la mia preoccupazione del non riuscire a respirare nello spazio allargando i tessuti, entrando in una dimensione di apertura.

Giusi Sferruggia, La danza delle Sansevierie, 2022, cotone, acrilico e velluto, misure ambientali – courtesy l’artista

M.A.: quindi c’è anche una significanza sul corpo inteso non soltanto come corpo che si mette all’azione, ma una riflessione sul corpo, pensate dal corpo per il corpo?

G.S.: per me sì

M.A.: e tu ti aspetti dal pubblico che fruisce la tua opera che intenda questo?

G.S.: Senza che si spieghi, certe cose arrivano. Ogni segno è un corpo. Molti mi hanno detto che hanno avuto una sensazione di libertà, altri che hanno visto delle analogie con i tendini e sono persone che di solito non fruiscono l’arte contemporanea. Per me è importante il loro parere.

Giusi Sferruggia, Solido, 2022, cotone e acrilico, misure ambientali – courtesy l’artista

M.A.: il parere delle persone che fruiscono è indiscutibile! Parto dal presupposto che io è come se avessi due modi di fruizione delle opere, uno da critica e uno da spettatrice. Io, come Marta, persona, sono stata invece male con la tua opera a La Siringe. E ti diro, di solito non combaciano le fruizioni di questi miei due lati, questa volta invece sì. Indipendentemente da quelle che sono le tue volontà e indipendentemente dalle interpretazioni di Coppolino, io mi son sentita male quando sono entrata nello spazio perché o stiravi il tessuto o di un tessuto ne tiravi i fili e quella tensione si accartocciava e non riuscivo a vedere quella stoffa; e il fatto che questa violenza sul tessuto ricadesse in una compostezza fisica, per cui i chiodi a parete venivano coperti, per cui i fili cadono a piombo: era come se fosse un camuffamento, in una vita elegante, di quelle che sono tutte le tensioni nella quotidianità nel corpo. Questo mi sembra interessante perché in un panorama palermitano in cui molti lavori si basano ancora sul concetto di “verità” e su una scuola di pensieri direi heideggeriana, il fatto che tu sia donna, a Palermo, e riesca a creare delle opere così per me non solo non è un caso, ma è come se dessi una scossa a un filone pittorico cittadino un po’ a tratti stagnante. Il tuo lavoro mi sembra inoltre che non voglia rassicurare e il fatto che tu stia operando oggi a Palermo per me è molto importante. 

G.S.: il parere delle persone per me oltre che essere fondamentale è utile. Il fatto che tu abbia avuto una sensazione di malessere mi fa riflettere sul fatto che tu sia riuscita a entrare in una parte di intimità di “Sospensione orizzontale”.

M.A.: Alessia Coppolino dice che “la leggerezza del lavoro di Giusi consiste nel fatto che il tessuto si faccia colore”.

G.S.: i tessuti si fanno colore, ed è in questo processo che ho sperimentato il mio rapporto più intimo con la pittura. 

Giusi Sferruggia, Ancoraggio, 2022, cotone, acrilico e ottone, misure ambientali – courtesy l’artista