In occasione dello screening video della selezione di Osservatorio Futura e Anna Casartelli per Maratona di Visione, presentiamo le cinque opere video con contenuti collaterali.
La selezione è visibile fino a fine luglio al sito del festival
BIO: Roberto Casti (Iglesias, 1992) è artista e musicista. Vive e lavora tra Milano e Iglesias, in Sardegna.
Nel 2014 ha creato il progetto The Boys and Kifer che ha visto la partecipazione di numerosi artisti, musicisti e teorici. Ha collaborato e esposto in diversi spazi e istituzioni quali il MAN (Nuoro), il FRAC di Corte (Francia), Marsèlleria (Milano), PAV – Parco Arte Vivente (Torino), OGR – Officine Grandi Riparazioni (Torino) e l’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano).
Cassandra (aka DM) è lo spirito che interroga il nostro tempo, pur conoscendo già la risposta. E’ più comunemente conosciuto tra amici e colleghi come Dalia Maini.
Kurt Green è scrittore, fotografo e amante del verde. Tra le altre cose viene definito, dagli altri, “un viaggiatore spaziale e transdisciplinare”.
The Boys and Kifer è una band musicale senza preferenze di genere o identità nata nel 2014 in Sardegna.
SINOSSI DEL LAVORO: Video HD, 15 min circa, 2018
The Beginning è la puntata pilota di una serie progettata dall’artista e presentata per la
prima volta alla chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Napoli in occasione della sua mostra personale Introitus (Parte del Tutto), curata da Bite The Saurus (Enzo Di Marino e Dalia Maini).
La serie ricalca i codici linguistici propri del format televisivo seriale e ripercorre,
attraverso una meta-narrazione, la creazione e la storia del linguaggio umano.
Nella prima puntata un narratore affronta il tema dell’origine dell’universo. Le immagini
caratterizzate da componenti home-made – rappresentazioni infantili ma anche esperimenti casalinghi – portano il fruitore a mettere in discussione il linguaggio umano e
la sua aderenza con la realtà.
INTRODUZIONE A THE SERIES – THE BEGINNING DI ROBERTO CASTI
di Federico Palumbo
La nostra è la generazione seriale per eccellenza. Lo dimostrano i dati dei cinema degli ultimi anni (problematici già molto tempo prima della pandemia). Netflix ha cambiato le regole del gioco e noi, maratoneti seriali indiscussi, preferiamo immedesimarci o affezionarci a un personaggio che ha il tempo di svilupparsi all’interno di una durata temporale scandita da episodi e stagioni, piuttosto che dai ritmi che regolano la pellicola cinematografica. Credo che sia proprio la questione temporale a far sì che si preferisca una serie piuttosto che un film. Oltre che la comodità. E la moda.
The series – The beginning è la puntata pilota realizzata da Roberto Casti che, idealmente, fa parte appunto di una serie composta da più episodi e, perché no, da diverse stagioni. Ciò che emerge fin da subito è la potenzialità del linguaggio: non parlo del tema fulcro dell’episodio, ovvero la natura e l’origine del linguaggio umano. Ma proprio della struttura dell’opera, perfettamente calata nella parte. L’arte dopotutto ha il grande merito di non preoccuparsi troppo dell’ambito in cui si mostra. Lo dimostrano The Boys and Kifer – tra l’altro ideatori delle musiche di questa prima puntata – muovendosi a piacimento fra concerto e mostra senza farci dubitare neppure per un istante che ciò che stiamo osservando sia magneticamente iconico al di là del suo ‘contorno’; così anche The series, mostrandosi in habitat espositivi con una consapevolezza tale da renderla, in potenza, fruibile su Netflix o in una qualsiasi altra piattaforma specifica. Se solo lo volesse.
Ed ecco che allora mi contraddico: intendo proprio parlare del linguaggio umano, cioè del tema di fondo dell’opera. L’opera – aggiungerei quindi meta-linguistica – non potrebbe svilupparsi in altri modi se non servendosi di una fluidità dei linguaggi ‘tecnici’ che le permettono di ragionare e farci ragionare proprio su questo argomento che lega tutta la narrazione dell’opera stessa. Il racconto della storia del linguaggio e dell’essere umano è, allora, prima di tutto ricerca di un senso personale e ponte fra l’io/noi e l’universo. La storia e il tempo. Il futuro e la morte. Il format seriale è narrazione tout court, nonché tutto questo (e molto altro): “here we are. flesh and blood. ready to start our story. our common narration. the human being. his research for something. we want to find a sense. we want to create a bridge between us and the universe. we want to knowledge of everything. we want the incomprehesible. of course, this is impossibile. we know that. but we go on yet. indeed we are meaninglees thing. in the middle of everything. we can only live and try. to find a kind of personal meaning. in this series of events.” recita il narratore nell’ultima parte dell’opera. Il ponte tra fruitore e narratore è allora costruito e utilizzabile.
E quello stesso narratore, come la maschera indossata da Casti durante le sue performance, serve all’immedesimazione iper-personale che aiuta la comprensione e la perdizione. Siamo di nuovo perfettamente calati nella parte. Proprio come tutta l’intera opera.
Ecco la comune narrazione che è, al tempo stesso, già stata raccontata e quindi qui riproposta, e nuovamente da scrivere e narrare. La ricerca di senso ancora in atto ma, nel medesimo istante, già arrivata a un risultato, con l’opera che ne è un esempio lampante. Carne e ossa. Noi siamo qui, e lei anche.
Possiamo allora solamente vivere e provare, nella speranza che questa narrazione continui.
Magari con un altro episodio. E con un’altra stagione poi. Per soddisfare noi, ricercatori di senso e maratoneti seriali per eccellenza.
The Series – The beginning è stata presentata per la prima volta a Napoli nel 2018, alla chiesa di San Giuseppe delle Scalze, in occasione della mostra personale Introitus (Parte del Tutto), curata da Bite The Saurus (Enzo Di Marino e Dalia Maini).
La puntata è stata scritta da Roberto Casti e diretta da Kurt Green. Le musiche sono state affidate invece, come dicevamo, a The Boys and Kifer.
A seguire, infatti, uno scambio serrato e immaginifico, in bilico fra l’epifanico e il delirante, con Cassandra (aka DM), Roberto Casti, The Boys and Kifer e Kurt Green.
CONVERSAZIONE POLIAMORE
Tra Roberto Casti e le sue molteplici anime e Cassandra (aka DM)
Dentro ognuno di noi convivono più autori, personaggi, amori. Plasmati dalle credenze e dai dispositivi tecnologici noi, assemblaggi natur-culturali, evolviamo velocemente e con noi i nostri mezzi di comunicazione. Ma l’anima si chiede: saranno i nostri inconsci al passo con la corsa del tempo? Tra gli spazi esistenziali inesplorati, il mistero innesca la sete di conoscenza, la necessità di ascolto, lo slancio alla pratica. Roberto Casti e i suoi multipli, discreti seppur coesistenti nello stesso corpo si danno alla speculazione su quanto di più personale e convenzionale esista: il linguaggio. Innamorandosi del suo fallimento trovano soluzioni affettive per comunicare l’inspiegabile, di cui io, Cassandra, sarò portavoce.
Prima di tutto fatemi la promessa di dire la verità e soltanto la verità, pronunciate con me
VE-RI-TA’ e poi possiamo iniziare questa conversazione.
1) Qual è la bugia che i vostri media dicono con più facilità?
Roberto Casti: Essendo un artista provo a identificarmi, anche se non vorrei, nei linguaggi
dell’arte visiva contemporanea. La più grande bugia di questo campo è sicuramente la
pretesa di voler trasportare chi guarda un’opera all’interno di mondi diversi, fatti di bellezza, perfezione e benessere. Io sono interessato a questo mondo, alle sue contraddizioni e instabilità. Non ho bisogno che l’arte mi intrattenga, esiste già Netflix per quello.
Kurt Green: Forse potrei dire che sono io stesso la mia più grande bugia.
The Boys And Kifer : https://www.youtube.com/watch?v=-Wk7sGWZzV4
La purezza della materia, come favola metropolitana, è smantellata dalla vera natura ibrida delle cose le quali esistono proprio perché interconnesse.
2) Secondo voi qual è il luogo in cui il sodalizio tra artificiale (inteso come seconda natura) e il naturale danno vita ad un nuovo inizio?
RC: Probabilmente quando l’uno si rende conto di essere parte dell’altro, ovvero quando l’aura di eccezione di entrambe viene messa in discussione.
KG: Secondo me un buon esempio per rispondere potrebbe essere il film “Predator”
TBAK: https://www.youtube.com/watch?v=M53ZKU6iPE8
Nuovi media danno vita a nuovi linguaggi e si spera che ad certo punto torneremo ad essere abitanti di Babilonia.
3) In che modo le nuove modalità di comunicazione rispecchiano la complessità del mondo in cui viviamo o falliscono nel farlo? Cosa non riusciamo ancora a dirci?
RC: Forse ciò che i nuovi mezzi di comunicazione suggeriscono con grande forza è l’effettiva connessione che lega ogni singolo elemento di questo pianeta, danno realmente l’idea di una intricata rete di corpi, opinioni, idee e informazioni. Attraverso le infinite finestre sul mondo a cui internet ci ha abituato (un po’ come i “vertiginosi spettacoli” contenuti nell’Aleph di Borges, ma meno poetici e spaventosi) riusciamo a relazionarci con persone lontane e abbracciare cause e sensibilità di cui prima non eravamo a conoscenza. In qualche modo tutto questo ci rende coscienti della complessità del mondo, ci rende partecipi del mondo.
L’altra faccia della medaglia è piuttosto ovvia: vediamo e interagiamo da casa, senza mettere la faccia al di là delle nostre mura, senza avere un reale riscontro esperienziale che implichi una presenza fisica. Questo è un atteggiamento che ci pone in conflitto con la stessa idea di connessione che i media vorrebbero suggerire. Quindi, senza uno scontro con il reale, tutto rimane fine a sé stesso. annodato alle solite logiche individualiste e presentiste. Il problema non è ciò che non riusciamo ancora a dirci, il problema è che non riusciamo a toccarci, a prendere una posizione fisica nel mondo.
KG: Roberto dice cose sensate, in linea teorica. Ma la realtà è che non prenderemo mai una posizione fisica nel mondo. Da qui, da casa, siamo tutti bravi a leggere di nuove pratiche comunitarie, di interdipendenza e anarchia. Ma cosa facciamo effettivamente per scardinare il sistema in cui viviamo? Ci lamentiamo su Instagram, condividiamo gli articoli di Not su Facebook, al massimo qualcuno butta lì qualche parola di indignazione o amore
durante una performance. Ma cosa facciamo davvero? Persino per fare questa conversazione non abbiamo avuto la voglia di incontrarci e di discutere dal vivo, nonostante sembri una classica e genuina intervista botta e risposta.
RC: In realtà io e te siamo qui, Kurt. Cassandra (aka DM) sta a Berlino e con The Boys and Kifer invece non è proprio facile incontrarsi al momento, lo sai. Comunque capisco cosa intendi ma dobbiamo chiederci perché non riusciamo a prendere una reale posizione nel mondo, abbiamo le basi per farlo ma ignoriamo sempre i pretesti per muoverci, per radunarci, per attivarci insieme.
TBAK:https://www.youtube.com/watch?v=LO4whqApJ3Q
Per quanto l’umanità sia ossessionata nel trovare soluzioni e risposte, la chiarezza sulla realtà (come concetto filosofico) continua ad essere un processo in divenire.
4) Secondo voi come si può imparare ad affrontare l’inspiegabile come motivo di continua sorpresa e non continua paura? Voi come fate?
RC: Noi abbiamo naturalmente paura di ciò che sfugge alla nostra comprensione, per questo tendiamo a decifrare ogni aspetto della nostra vita per trovarne un senso, abbiamo bisogno di comprendere. Tuttavia, se ci pensiamo, l’inspiegabile genera anche un effetto benefico su di noi. Pensiamo alle relazioni amorose, al brivido e alla tensione che generano i misteri, pensiamo all’arte. Possiamo tentare di spiegare i mille motivi per cui una persona o un’opera ci piace, ma la somma di tutti questi pregi o opinioni non sarà minimamente comparabile al reale effetto (o affetto) che noi proviamo di fronte ad esse. Forse imparare a percepire le cose senza doverle per forza spiegare aiuta a sentirsi più vulnerabili e fragili, ma è proprio questa la parte più stimolante. Certo, è sempre interessante capire un tramonto attraverso basi scientifiche, ma forse per goderselo non è necessario ricorrere a troppe formule o teorie.
KG: Io mi sono imbarcato su una navetta che mi ha portato clandestinamente sulla Luna, ho vissuto per alcuni anni lassù. Consiglio a tutti di fare un’esperienza del genere prima o poi, ridimensiona di tanto le paure e le sorprese riguardo l’inspiegabile o come lo volete chiamare. Ho cominciato a trovare noiose anche tutte le cose che conosciamo e a cui teniamo.
TBAK: https://www.youtube.com/watch?v=aqIPI8CgVc4
Al mondo ci sono 7,674 miliardi di persone tutte diverse l’una dalle altre le quali si servono del linguaggio per avvicinare le cose alla loro comprensione.
5) In che modo il linguaggio deve essere ponte tra di esse, pur preservando la complessità delle cose?
RC: Il linguaggio è uno strumento importante per la nostra vita sociale, ci aiuta a
comunicare e a descrivere la realtà in diversi modi, da quello metafisico a quello scientifico.
Non bisogna tuttavia, seppur sia molto semplice farlo, cadere nella trappola dell’oggettività.
Le parole, i numeri e tutti quei codici linguistici che pretendono di rispecchiare
oggettivamente la realtà sono dopotutto essi stessi delle finzioni, delle sovrastrutture erette per metterci d’accordo gli uni con gli altri. Nella prima puntata di The Series che abbiamo realizzato, Peter Bohr – ovvero il narratore che spiega la nascita dell’universo attraverso la creazione del linguaggio umano – spiega esaustivamente la contraddizione che si cela dietro il nostro tentativo di nominare e spiegare il mondo. Il linguaggio è uno strumento che differisce ovviamente dal reale perché il reale è molto più complesso dell’idea che noi stessi abbiamo di un qualcosa. E va bene così, nulla può essere compreso e abbracciato per quello che è. Se il linguaggio è un ponte, e un ponte rimane, va benissimo (il ponte è una mediazione, in questo caso un compromesso tra ciò che è il mondo e la nostra idea di mondo), ma non può diventare un muro, ovvero un confine oltre il quale tutto ciò che non può essere compreso o toccato dalla mente umana semplicemente non esiste o non merita considerazione. La pretesa di arrivare a descrivere esaustivamente ciò che ci circonda è sconsigliabile poiché significherebbe innalzare ancora una volta l’essere umano al di sopra del mondo ignorando, discriminando o eliminando tutto ciò che non possiamo controllare o che non rispecchia la nostra idea del mondo. Abbiamo bisogno dell’incomprensibile e dell’ignoto, abbiamo bisogno di un continuo incontro/scontro con l’alterità. Senza di essa ci crogioleremmo dietro le nostre mura, intrappolati nelle identità che crediamo di avere.
KG: Sarebbe una vita fredda, noiosa e calcolatrice, è vero. Ci immagino tutti fieramente protetti dalle mura dei nostri castelli mentre là fuori piano piano si avvicina la Morte Rossa di Poe, quella ignobile pestilenza che, volenti o nolenti, noi privilegiati e patetici esseri umani ci ritroveremo di fronte.
Prendiamo una pizza?
TBAK:https://www.youtube.com/watch?v=e3av7co3Juk&list=PLvsYXqtYjMYdS2geuaX2yunDfPbwpAXFA
Ho una proposta da farvi: ** $(/%)))òà$//%???!£$()lòò**
6) Cosa ne dite?
RC: Io mi tiro fuori
KG: yesssssssssssa
TBAK: https://open.spotify.com/track/2SJo1P387WJHJx1uFbyrRj?si=42ff6cde431d4eaf