MARATONA DI VISIONE. LA RASSEGNA DI VIDEOARTE RAGGIUNGE LA SUA TERZA EDIZIONE

ELEONORA SAVORELLI

Sotto la curatela di Alberto Ceresoli, Maratona di Visione – Rassegna Online di Video Arte (29 marzo – 26 luglio 2021) raggiunge la sua terza edizione, con la partecipazione di un ricco  ed eterogeneo gruppo di co-curatori, chiamati a selezionare i cinquanta artisti, italiani ed  internazionali, presenti. 

Il variegato panorama che Maratona di Visione ci offre è ammantato da una mancanza di  sicurezze, un’atmosfera carica di possibilità ed incertezze, che lascia noi spettatori interdetti e  incuriositi. I video si uniscono sotto questa indeterminatezza, declinata a seconda degli  ambienti nei quali le azioni si svolgono: lo spazio virtuale sfoggia qui tutto il suo essere  perturbante, suggerendoci ambienti utopici e inquietanti; la realtà concreta invece, seppure  familiare, si fa carico di molteplici esperienze problematiche, dolorose, caratterizzate da una  certa poetica irrequietezza. I contributi esplorano ambiti numerosi ed eterogeni:  dall’emergenza climatica – sorprendentemente intrecciata a soluzioni ASMR, alla costante contrapposizione tra uomo e spazio virtuale; dall’analisi consapevole della propria immagine  – e di come essa viene percepita, modellata, e strozzata dalla società, all’osservazione dei  luoghi, familiari e non, e del loro mutare. La tecnologia e il mondo virtuale ritratti dai video  ci attirano e lusingano, promettendo una pace fittizia e una pausa dalla corsa della nostra vita. Tuttavia essi, invece di apparire rassicurante e di promettere tranquillità, essi sono ostili ed  inospitali. Gli ambienti si sciolgono e tingono di accesi colori vaporwave, i punti di  riferimento vengono meno: creando una sensazione di straniamento, nella quale ci muoviamo  impacciati, senza sicurezze su che strada intraprendere. In questo turbinoso contesto, anche  l’individuo perde i suoi contorni definiti: seppur la presenza umana sia limitata, i personaggi si trovano a confrontarsi con un ambiente che li ammacca e minaccia. L’infallibilità di questi  individui viene messa in discussione, vengono delineati i loro lati più fragili e spiacevoli. 

“Cosa è successo qui, che io ho perso? Cosa dovrei sapere, che mi sfugge? Come districarmi  da questo groviglio?”. Sono queste le domande che emergono dai mondi che i cinquanta artisti coinvolti in Maratona di Visione hanno creato.  

I video scelti da Francesca Disconzi e Federico Palumbo curatori di Osservatorio Futura  (Torino), con la co-curatela di Anna Casartelli, si concentrano su tematiche eterogenee, che  spaziano dal cambiamento climatico, al viaggio, alla cura, e alla lotta. La selezione si apre  con ASMR for earthly survival, del Collettivo Post-Bio-Internet, che ci tranquillizza e distende con i suoi rumori soffusi e voci suadenti. L’idillio comincia a sgretolarsi quando una voce inizia a ricordare la devastazione che l’uomo sta portando nel mondo che abita: da verde  paradiso lussureggiante, l’immagine cambia improvvisamente, e si trasforma in un luogo  cinereo e smorto, dove l’arsura e il rammarico sono tangibili. Ma la voce rassicura: con  costanza possiamo cambiare. La crisi ambientale è oggetto di analisi anche di 23.500 Times,  di Giacomo Infantino, Francesca Ruberto: l’argomento è indagato in una dimensione  onirica, tramite un metalinguaggio metaforico. In Was it me? Screen memories di Luca  Staccioli siamo trascinati nel viaggio caotico dell’artista: assieme a ritagli, biglietti aerei,  cartoline, ricordi, ed altre memorie familiari, accompagniamo Staccioli nella sua meditazione  sullo sviluppo tecnologico e il conseguente annullamento delle distanze che questa  innovazione ha portato. Una tecnologia che ci ha agevolato, ma non sempre avvicinato, viene  qui presentata con un ritmo trascinante e frenetico: il viaggio è composto da domande e  ricordi. “You want answers, I know. But this is fiction” ci confida la voce narrante di The  Series – The Beginning, creato da Roberto Casti. The Beginning è la puntata pilota di una  serie ideata dall’artista, volta ad analizzare la creazione della storia del linguaggio; in  particolare, questo episodio si concentra sul racconto dell’origine dell’universo. Partendo dal  nulla (“nothingness”) il narratore ci guida verso l’origine della galassia fino ad arrivare al  presente. Il linguaggio come immaginario comune – che si tratti di mitologia o emoji, diventa  il filo conduttore, una chiave per una maggiore vicinanza a ciò che ci circonda: “We can only  live, and try to find a kind of personal meaning.” Vita come saliente avidità – cura è il primo  capitolo del progetto di Matilde Sambo che abbraccia video, scultura, e performance: l’artista  si interroga sullo scontro, e su come quest’ultimo sia compreso in modi profondamente  diversi nel mondo umano ed animale. L’armatura, elemento imprescindibile  nell’immaginario della lotta e strumento centrale della performance dell’artista, viene creata  con cera e juta. Con attenzione, Sambo modella questi rivestimenti, ricalcando il proprio  corpo, con gesti delicati ma attenti e precisi; tanta è la cura, che l’azione si tramuta quasi in  un rito. 

still da video, ASMR for earthly survival – Collettivo Post-Bio-Internet – cortesia dell’artista e del festival

I video selezionati da Francesco Ozzola, gallerista di Suburbia Contemporary (Firenze,  Granada), si concentrano sull’identità e su come questa sia modificata e osteggiata dalla  società. Il riconoscersi nella propria immagine, o nella propria comunità, diventa sempre più  complicato. Se in Looking At Myself Sincerely Length, Natalie Paneng, elegante e truccata, si osserva, accompagnando con pose e gesti teatrali i suoi sguardi; in Missing Link, l’osservazione, di Mabel Palacín diventa un’indagine. Il suo sguardo sicuro, dritto verso la  sua immagine accompagna il suo monologo nel quale denuncia la mistificazione delle  rappresentazioni: ormai, ciò che rimane sono versioni, non c’è più posto per la realtà; la  finzione ha fagocitato ogni concretezza. L’identità come appartenenza ad una comunità viene  affrontata da Kgotlelelo Sekiti in Interlude: tramite l’analisi delle proprie tradizioni familiari, Sekiti esplora il trauma che i corpi neri e queer devono sopportare quando si scontrano con la  considerazione avversa e ostile della società, che fallisce a trovare ricchezza nella  molteplicità. Pluralità che è invece riscoperta e custodita da Robert Pettena nel suo Moon  Games. L’artista mette in luce la complessità e le contraddizioni delle nostre aspirazioni e  necessità, sottolineando che non è necessario venire a capo di questo groviglio, ma solo  assecondarlo e dargli spazio. Jacob van Schalkwyk in After Wegman ripropone la sua  interpretazione del video “Milk / Floor” (1971) di William Wegman. Con questa azione,  l’artista affronta un altro tipo di identità, quella dell’artista, interrogandosi sul carattere che  questa individualità ha oggi. 

I contenuti video selezionati da Mariolina Catani, fondatrice ed art director di Tank  Serbatorio Culturale (Bologna), si soffermano sui devices e social networks, e di come essi  interagiscono con noi, e viceversa. In ROSES, internet Abduction di Mara Oscar Cassiani la comunità digitale si manifesta: essa non è mai stata così vasta e solida, grazie all’odierno  incredibile reach dei social networks e degli strumenti tecnologici. Nonostante la sua vastità e  la capacità positiva di avvicinare – seppur solo virtualmente, la comunità digitale viene qui  ritratta come un gruppo di persone intente in atti monotoni (scroll, scroll, scroll…),  monotonia che diventa l’essenza dello stare assieme della comunità virtuale. Il gruppo  dunque appare distante, ed è ritratto come un insieme di espressioni neutre e impersonali. Distaccato sembra essere anche il tipo di amore delineato da Kamilia Kard in My Love is so  Religious: l’artista descrive come questo sentimento è vissuto nella contemporaneità, spesso  ipermediato ed online. Il miglioramento di sé stessi e del proprio benessere sono i temi di Labor f Sleep, Have you been able to change your habits??, creato da Elisa Giardina Papa su commissione del Whitney Museum of American Art. Il video presenta un’app fittizia 

pensata per aiutare i suoi utenti a migliorare il ciclo sonno-veglia, e in generale la loro salute.  L’opera mette in luce un cortocircuito: oltre che sottolineare l’assurdità nell’assegnare  punteggi a problemi naturali, l’artista fa notare come queste app siano sia la causa che il  rimedio ai problemi che tentano di risolvere: ci sottraggono tempo che potremmo dedicare ad  una naturale e migliore risoluzione dei nostri problemi. In Tutorial #2: How to Cruise with a  Bruise di Corinne Mazzoli delle performer vengono truccate, ma al posto di un make up  impeccabile, nei loro volti compaiono lividi: sfere private e pubbliche si ribaltano,  l’ostentazione di dettagli privati, dolorosi, ha la meglio. 

Apre la selezione di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco, galleristi di Superstudiolo Arte  Contemporanea (Bergamo), Real Chernobyl di Jacopo Rinaldi: il video ricostruisce le azioni  di Tomas Garenq, l’uomo che ha venduto i primi video (falsi) del disastro di Chernobyl alle  tv americane ABC e NBC. Se da una parte il video orbita intorno la falsità del video prodotto  da Garenq, dall’altra esso ricorda la realtà dell’emergenza climatica. Con There is a House di  Barbara Brugola abbandoniamo l’atmosfera tesa: il video racconta di un incontro tra due  peculiari personaggi in un bosco. La mancanza di dialoghi e riferimenti ci spinge ad  immaginare quale sia la storia, e chi siano queste figure solitarie. In Zanafilla, Stefano  Romano segue il sofferto abbattimento, in Albania, del teatro costruito nel 1938  dall’architetto italiano Giulio Bertè. Questa decisione viene accompagnata dalle proteste di  attori, registi, politici e cittadini albanesi, che considerano la struttura “salvabile”. Tuttavia,  l’edificio verrà abbattuto e sostituito. Inizialmente, il video si concentra sulla struttura  dismessa del teatro; successivamente, il vecchio corpo della struttura viene contrapposto a  quello di una giovane ragazza, intenta a cantare una ninna nanna al teatro, come ultimo  saluto. La bandiera trasparente di Flavia Albu ci saluta, dal suo Flag: la fluidità e leggerezza  dell’oggetto si scontrano con l’analisi dell’artista, volta a studiare i simboli e gli strumenti di  potere. Ritroviamo i movimenti fluidi della bandiera in RED – Variations on a Dance  Theme di Jacopo Jenna. Descritto come “esercizio filmico”, il video fa dialogare la  frammentazione dell’immagine in movimento con i movimenti fluidi della danza. La  Tempesta di Caterina Erica Shanta fa riferimento a due eventi naturali: da una parte  all’alluvione che nel 1966 colpì tutta Italia, dall’altra, all’uragano che si abbatté la notte del  29 ottobre 2018 sul lato orientale dell’arco alpino, abbattendo milioni di alberi. Questi  avvenimenti violenti ispirano l’artista a ricercare cosa resta dopo la tempesta, che cosa parla  ancora di quegli eventi feroci. Le cantine dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, che erano  state sommerse dai fanghi dell’alluvione, costituiscono un grande archivio, trasformato da  umidità, funghi e insetti. Questo è il luogo di ricerca dell’artista. La selezione si conclude con  I Figli di Dio, di Maria Luigia Gioffrè, nel quale il latte, considerato come il protagonista  nella creazione della vita, ha un ruolo centrale. 

La selezione di Clara Scola, art director di Anonima Kunsthalle (Varese), ha due direzioni: da  una parte, si concentrano sul tema del machine learning e sulla vicinanza sempre più accentuata tra uomo e spazio virtuale; dall’altra raccontano della rigenerazione, dopo un  crollo, o un disagio. Aurora Bertoli fa interagire immagini nel suo It shapes us: volti leggermente differenti della stessa ragazza vengono abbinati alle immagini più disparate:  paesaggi, marshmallow, una skater, un cucciolo, dei tatuaggi. Tramite questo rimescolamento  di immagini, l’artista si interroga sull’interazione fra le figure e l’individuo, studiando le  implicazioni del machine learning sulla formazione della propria identità. Se Bertoli analizza  la reciprocità tra tecnologia e umano, in Rapimento, Giovanni Sambo descrive la distorsione  dell’identità, pesantemente mediata dalla tecnologia che da oggetto sta pian piano diventando soggetto. I devices ci disarmano e controllano, ormai possono dirci “Ascoltami, guardami  negli occhi!”. In Pawns of Furthest East, Matteo Messina presenta il cyberspazio “Furthest  East”, completamente libero da restrizioni: questo è un mondo gentile e fittizio nel quale gli  utenti possono ricercare la propria tranquillità, nell’illusione di uno spazio senza fine. Se nel  mondo reale è necessario indossare una maschera, recitare un ruolo, su “Furthest East” questi  inconvenienti vengono eliminati. Tuttavia, man mano che il video procede, vita e gioco  sembrano incrociarsi, rendendo la permanenza nel cyberspazio più delicata e pericolosa di  quanto potesse sembrare. A sua volta, la tecnologia che doveva regalarci un momento di pace  risulta più subdola e opprimente di quando apparisse all’inizio. 

still da video – Pawns of Furthest East – Matteo Messina – cortesia del festival e dell’artista

Sia in Domicilio di Simona Pavoni, che in AAAAAAAAAAAAA di Teresa Prati vengono  descritte rotture e rigenerazioni: nel primo si segue la demolizione di strutture, che sono  anche riprese nella loro silenziosa solitudine: il lavoro dei mezzi ci invita ad immaginare la  conclusione delle attività, la rigenerazione della visione. In AAAAAAAAAAAAA invece, la  rottura è personale: all’interno dei loro veicoli, le comparse si liberano dai loro affanni con un  urlo liberatorio. Successivamente, il momento di raccoglimento.  

I video selezionati da Valentina Muzi, in collaborazione con la Shazar Gallery (Napoli),  trattano del viaggio e delle sue declinazioni. In Azione nel bosco, primitivo, assieme Simone  Cametti siamo circondati dalla vegetazione, l’ambientazione ricorda vagamente  un’esplorazione virtuale, la notte e la neve ci impediscono di trovare riferimenti ed una via di  fuga. Se in questo caso la via è difficilmente reperibile, in Peso Leggero di Sonia Andresano la via è fin troppo chiara: l’artista si trova a dover traslocare, a lasciare la sua comfort zone a  favore dell’ignoto. Raccontare il distacco per esorcizzare il dolore, così da far diventare  l’allontanamento più lieve. In Contact, Paola Risolti ci offre una metafora. In una strada  cittadina, qualcuno sta camminando a piedi scalzi: questo semplice gesto rimanda al viaggio  come conoscenza, potenzialmente pericoloso ma necessario. La paura deve essere  abbandonata a beneficio della curiosità. La strada, che qui si compone di lisci ciottoli scuri, in  meZZeria di Giovanni Battimiello è accidentata e pungente, quasi una superfice aliena. La  selezione si conclude con Limbo di Luca Vianello, volto a commentare la passività nata dalla  pandemia: il movimento e il viaggio vengono soppressi dalla immobilità e dalla monotonia  dei movimenti ripetuti. Il brio che caratterizzava la vita precedente al contagio sembra ormai  irraggiungibile.  

Roberto Ratti, gallerista di Traffic Gallery (Bergamo), propone Scacco alla regina creato da Filippo Riniolo durante il primo lockdown: in un’atmosfera sospesa, degli scacchi cadono  volteggiano sorretti da peculiari paracadute/mascherine, nonostante la loro lenta discesa non  appena toccano la scacchiera si distruggono. L’opera mostra con una puntualità disarmante il  potere e il suo venir meno, minacciato da agenti esterni ed imprevedibili: lo sgretolarsi di  schemi e regole, simboleggiati dagli scacchi, ricorda quanto l’ordine sia fragile. 

still da video, Scacco alla Regina – Filippo Riniolo – cortesia del festival e dell’artista

Finis Terrae, di Cristina De Paola, è l’opera proposta da Edoardo Decobelli, fondatore dello  Spazio volta (Bergamo). Il radicamento alla propria terra e alle proprie tradizioni si scontra  con la fascinazione per l’ignoto nel video di De Paola. Con una ripresa molto lenta, quasi  fotografica, osserviamo l’accendersi e spegnersi di una luminaria, appoggiata su uno scoglio:  l’oggetto, fortemente radicato nella tradizione folkloristica del meridione italiano, rimanda  all’amore per i propri spazi, e per le proprie tradizioni dalle quali è difficile staccarsi. Il  viaggio è sempre un ritorno verso casa.  

I video raccolti da Federica Fiumelli, curatrice di Officina 15 (Bologna), uniscono ambienti  familiari e non, confessioni, e il tentativo di riconoscersi. La Vergato liberata creato da 

Oreste Baccolini e Ping Pong & Rocks di Elizabeth Charnock abbracciano, da una parte la  familiarità – seppur mediata dalla lontananza temporale, e dall’altra l’inconsueto. Bracciolini  ripercorre la liberazione nel’45 della città di Vergato, tramite materiali d’archivio. Passato e presente conversano, volgendo lo sguardo verso un futuro incerto. Nell’opera di Charnock  invece, il futuro sembra essere già arrivato, e si presenta come una realtà asettica e  bidimensionale. L’azione del guardarsi diventa un tentativo di riconoscimento in Unplugged di Davide Mari. Una serie di ragazzi e ragazze si osservano, lo sguardo però risulta rivolto  verso lo spettatore, che riceve occhiate spesso vuote, smarrite, impaurite, sorprese, o confuse.  La stessa atmosfera inquieta la ritroviamo in Everything I can’t tell my mother di Łukasz  Horbów. Il video riprende l’emozionata confessione di un ragazzo, che però è tagliata ed  incompleta, mancano infatti i segreti che il protagonista vorrebbe comunicare a sua madre. Le  parole tradiscono emozione, ma non ci sarà nessuna conseguenza. La selezione si conclude  con Can’t help falling in love di Cecilia Del Gatto: una ragazza dallo sguardo assente  mangia senza entusiasmo ritagli di giornale raffiguranti varie pubblicità: influenzati da essa  non possiamo che seguirla, come ipnotizzati. 

still da video, Solaria – Alessandro Moroni – cortesia del festival e dell’artista

La selezione di Maria Luigia Gioffrè, Dobroslawa Nowak, Nicola Nitido, e Nicola  Guastamacchia di In-ruins (Catanzaro) si apre con Solaria, di Alessandro Moroni: ci  troviamo in un non-luogo, un’oscura utopia modernista, nella quale sembra essere avvenuto  qualcosa, ma che cosa? Un’ansia ci assale, l’assenza di figure, punti di riferimento, e di indizi  su cosa potrebbe essere successo in questo luogo ci rende inquieti, cosa abbiamo perso?  L’ansia si stempera e viene sostituita dalla confusione in “Inventing” commas di Guildor dove l’over-load informativo viene efficacemente mostrato con un ammasso di pop-ups,  meme, e pagine internet. In questo turbinio di informazioni, la verità è sempre più sfuggente. Segue Posen di Ania Plonka: proprio come il titolo ci suggerisce (lit. “dopo il sogno” in  lingua Polacca), il video è un susseguirsi di immagini sfuocate e fluttuanti, perse in  un’atmosfera sospesa e smarrita. Esso unisce materiali d’archivio ed elementi  dell’immaginario collettivo nel tentativo di restituire il profilo della depressione. In  Repulsione di Jakub Glinski l’opacità è sostituita dalla frenesia del susseguirsi frenetico di  quelle che potremmo definire “cursed images”. La selezione si conclude con Trust Me With  Your Full Weight realizzato da Flavia Tritto: l’opera mostra la nascita dal tronco di un ulivo  di una creatura, interpretata dalla performer Katarina Nesic. Questa figura è intenta in una  ricerca identitaria: si aggira tra gli alberi per saggiare l’ambiente, a lei, sembra,  completamente estraneo. Alla fine, i movimenti della creatura si fanno più aggraziati e  consapevoli: il tronco d’ulivo non è più un guscio ma un sostegno. Il video fa riferimento alla  crisi ecologica del territorio pugliese, sottolineando la necessità di ripensare il nostro rapporto  con la natura, auspicando ad una rinnovata vicinanza tra uomo e ambiente.  

still da video, Trust Me With Your Full Weight – Flavia Tritto – cortesia del festival e dell’artista

I video scelti da Francesco Greco, del team di Presa Multipla (Milano) si apre con I am  Ghush Woman di Federica Murittu: il video vuole denunciare le politiche di destra contro i  diritti umani e la comunità LGBTQ+ in Armenia. Murittu sottolinea la delicata situazione  Armena in modo semplice, preciso ed efficace. È tradizione in questo paese considerare il  piccione (Ghush) un animale sacro dal valore inestimabile, essi sono venerati e considerati  portatori di pace e fertilità. Godono di rispetto e amore, che è ciò per cui le donne armene e le  comunità minacciate, combattono da sempre. Il video mostra una donna cantare, mentre il  tubare di uno stormo di piccioni sovrasta sempre di più il suo canto. In Videogrammi di Sara  Davide la realtà fotografica si espande, mostrando frammenti di vita quotidiana: è difficile  collocare gli ambienti ritratti in un luogo e tempo preciso. Il video quindi si presenta come un  viaggio enigmatico, quasi onirico, in un susseguirsi anonimo di spazi. Il significato dei luoghi  deve essere immaginato, inventato, dagli spettatori. Un altro viaggio surreale è contenuto in Sei cubi di legno, tre nidi, tre cavalli di Anna Vezzosi, nel quale si susseguono graffi,  bruciature, e grigiore.  

Seguendo coerentemente la sua missione volta alla comprensione e analisi del rapporto tra  cultura contemporanea e digitalizzazione, Virginia Bianchi, gallerista di Virginia Bianchi  Gallery (Bologna), propone dei video che si concentrano sull’approfondire le interazioni tra  tecnologia, app e utenti, fuga dalla realtà, distopia, e spiritualità new age. Align Properties di  Alice Bucknell, video essay in due parti, pende in esame il collegamento tra wellness  capitalism, spiritualità new age e big data, si concentra su “Align”, un’app di incontri ormai  fallita che basava il proprio algoritmo su segni zodiacali. Se da una parte l’artista immagina  un nuovo business rivolto a millennials in cerca di vite lussuose organizzate sotto i principi  dell’astrologia, dall’altra conduce un’attenta ricerca su come l’astrologia pop sia sfruttata per  la creazione di algoritmi sui quali si basano alcune app di incontri. In Royal Fate is Fluid di Léa Porré seguiamo il viaggio della testa di Luigi XVI, che dal patibolo del 1793 cade per  poi arrivare nell’Oceano Atlantico, dove l’aspetta un lungo periodo di rigenerazione. La testa  poi giungerà casualmente in un’isola delle Bahamas, dove verrà accolta come una divinità. I  toni vaporwave e la video game aesthetic rendono le vicende di questo strano viaggiatore  ancora più inquietanti e distopiche. Sia in Spirit Corp. di Sian Fan che in 4K Zen di Stine  Deja viene mostrata la fissazione degli utenti per la tecnologia: nel primo video i due si  affrontano, mentre nel secondo viene sottolineata l’eccessivo attaccamento che lega utente e  device. In Spirit Corp., l’avatar dell’artista viene coinvolto in una lentissima lotta contro una  strana sostanza nera, simbolo della realtà digitale, che lo ricopre completamente fino a  scioglierlo. Invece, 4K Zen si basa su una sessione di meditazione guidata, dove una voce ci  offre gentilmente dei consigli per fuggire dagli affanni quotidiani, e ci aiuta a raggiungere  uno stato di profondo rilassamento. Attraverso la combinazione tra meditazione e pubblicità,  diventa chiara la nostra dipendenza dal mondo digitale, come fuga dalla complessità  contemporanea. 

still da video, Spirit Corp – Sian Fan – cortesia del festival e dell’artista