23.500 TIMES, GIACOMO INFANTINO E FRANCESCA RUBERTO

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In occasione dello screening video della selezione di Osservatorio Futura e Anna Casartelli per Maratona di Visione, presentiamo le cinque opere video con contenuti collaterali.

La selezione è visibile fino a fine luglio al sito del festival

BIO: GIACOMO INFANTINO: Nato a Varese nel 1993, si laurea in Nuove Tecnologie dell’Arte – Arte e Media – presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, con una tesi sulle commissioni pubbliche in Italia. Successivamente prosegue, nella stessa istituzione, il master in Fotografia e Arti Visive che lo porterà a trasferirsi all’estero per completare i suoi studi presso la Hochschule Für Grafik Und Buchkunst di Lipsia Germania. Dal 2020 collabora con ZONE Magazine e attualmente lavora per Phroom Magazine.

FRANCESCA RUBERTO: Nata a San Giovanni Rotondo (FG) nel 1995, si è laureata con lode presso la Facoltà di Nuove Tecnologie dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Frequenta attualmente il master in Fotografia presso la medesima istituzione, lavorando per Phroom Magazine.

SINOSSI DEL LAVORO: Full HD video, black and white, stereo sound, 06.56.00 min. 

Authors, editing: Giacomo Infantino & Francesca Ruberto 

Light Design: Lorenzo Ronchi 

Photography: Giacomo Infantino 

Scenography: Giacomo Infantino 

Sound Design: Francesca Ruberto 

23.500 sono i tempi necessari affinché un’immagine di un materiale inerte ingrandita al microscopio, come l’argilla, assuma l’aspetto di un paesaggio finto, arcaico e primordiale. Il lavoro di Giacomo Infantino e Francesca Ruberto fonde insieme video, scultura e suono, e concepisce un’esperienza immersiva e introspettiva attraverso una dimensione onirica e onirica. Il video indaga lo stato della crisi ambientale odierna attraverso un metalinguaggio metaforico, proiettato nel tempo e nello spazio di eventi paradossali che oscillano tra la nascita di qualcosa e la morte di qualcos’altro. 

Lo stato di pandemia globale e il conseguente blocco pongono la necessità di riscoprire quel legame transitorio e inconscio di una dimensione al confine tra l’arcaico e il futuro, tra l’incerto e l’eterno, tra l’uomo e la natura. Attraverso la scultura e la mimetica delle immagini avviene la creazioone di un nuovo paesaggio, non necessariamente esperibile e associabile alla realtà oggettiva, ma capace di suggerire nuovi quesiti su cosa significhi oggi coesistere.


ANNA CASARTELLI

Giacomo Infantino e Francesca Ruberto sono un duo di artisti italiani che lavorano insieme alla creazione di progetti fotografici, video, performance e installazioni.
Attraverso l’esplorazione e la creazione di scenari, l’utilizzo di mezzi luminosi o materiali naturali, il duo artistico realizza interventi sul paesaggio destinati a dar vita a diverse forme di lettura, come nel caso dell’opera che verrà proposta negli spazi della Conserveria del Pastis di Torino.
Entrambi profondamente legati al rapporto con la natura del territorio e all’esigenza di ristabilire e riscoprire il territorio antico legame primordiale con esso, in questo lavoro si cimentano in un’indagine analitica e introspettiva, che li vede agire e filmarsi nel paesaggio notturno e diurno.
Quest’ultimo diviene così luogo di sperimentazione e fascino per il mito e l’uomo stesso, che si configura in una dimensione che vive tra l’arcaico e il contemporaneo.
Le pratiche di osservazione di Giacomo e Francesca si fondono insieme e attraverso performance, scultura, video e il suono concepiscono esperienze immersive, nuove interpretazioni di paesaggi esterni e interni che vivono in un tempo sospeso e onirico.
In dialogo con una dei curatori invitata da Maratona di Visione, i due artisti si confrontano su temi legati alla loro ricerca.

Da dove vieni?

Francesca: Vengo da San Giovanni Rotondo, un piccolo paesino del gargano, in puglia.
Giacomo: Vengo da un posto dove si dice che un cavaliere abbia attraversato a cavallo un lago ghiacciato.

Dove sei ora?

Francesca: Ora sono a Milano a prendere caldo.
Giacomo: Attualmente abito vicino al bosco dove si intravede il lago.

In che modo dove sei determina quello che fai, e chi sei?

Francesca: La città di Milano sicuramente determina il mio essere. Ha accresciuto i miei stimoli. Mi ha dato modo di capire che posso fare molte più cose di quelle che pensavo.
Giacomo: Credo sia determinante sotto ogni punto di vista. Qui ho coltivato il mio immaginario ed è qui che torno dopo essere stato lontano.

Tornare alla terra, ad una dimensione arcaica e primordiale, ha a che fare con le tue origini o nasce da un’esigenza diversa?

Francesca: Ha a che fare molto con le mie origini. I ricordi dell’infanzia, della campagna in cui ero solita andare la domenica con mio padre riverberano nella mia testa. La ricerca dell’origine, del primordiale è qualcosa che in fondo interessa ad ognuno di noi per la ricerca del proprio io interiore. Il tornare alla terra non è che una metafora.
Giacomo: La dimensione primordiale ha sempre fatto parte di ognuno di noi solo che spesso ce lo dimentichiamo. Nel mio caso considero il tornare alla terra, più che la dimensione arcaica, il ritorno attraverso lo studio di archetipi che si manifestano in modo subliminale in ognuno di noi.
Ciò che mi affascina è la loro decodificazione e riattivazione nel presente in modo da poter creare un itinerario nuovo che affondi sia nelle mie origini senza perdere di vista il dialogo plurale con l’altro.

Mimetizzarsi cosa significa per te?

Giacomo: La mimetizzazione assume diversi significati. Serve a confondersi con l’ambiente in in vista di un nemico. Per attaccare, per difendersi, ma anche per una propria resa. Serve inoltre a dissimulare le nostre intenzioni e i nostri sentimenti.
Nel mondo di oggi è difficile mimetizzarsi. Dovremmo farlo più spesso con la sfera del naturale.
Se fossimo organismi simbionti forse sarebbe più facile e avremo meno problemi.

Ricercare la fisicità attraverso la scultura facendola dissolvere nella dimensione
del digitale che valore ha per te? Credi che l’anno passato abbia reso più urgente
questo bisogno?

Francesca: L’anno pandemico è stato un anno in cui ci siam seduti a tavolino e abbiamo fatto i conti con noi stessi. Io e Giacomo abbiamo sentito la forte necessità di svolgere questo lavoro insieme perché abbiamo pensato che servisse sia per noi, che per chi lo fruisce.
Giacomo: La materia ti da la possibilità di concretizzare a 360° un’immagine. Gli puoi girare intorno, la puoi modellare, ammuffisce, inizia a puzzare. Ricordo ancora l’odore acre del diorama che abbiamo costruito. Oltre alle forme aveva assunto le vere e proprie fattezze di un corpo celeste nella sua piena attività. Gli acidi che abbiamo impiegato sembravano ormai veri e propri laghi di zolfo. Il digitale ha condotto tutto questo verso l’astrazione e il metafisico. Io e Francesca abbiamo unito i nostri pensieri e gli abbiamo dato forma.

Costruire e ri-costruire nuove forme di narrazioni ibride, un modo per evadere o per
entrare nel reale?

Francesca: Potrei dire che si tratta di entrambi.
Giacomo: Spesso attraverso l’irreale riusciamo a chiarificare il presente.

Togliere colore è togliere all’occhio qualcosa o dare la possibilità al corpo di vedere
altro che non sia mediato dal senso della vista?

Francesca: L’utilizzo del negativo e appunto tingere di nero l’intero video svolto è un modo forse per esprimere il mistero, il grande punto interrogativo che ci portiamo dietro, la ricerca continua di quel rapporto primordiale che unisce l’uomo alla natura. Il nero, come l’oscurità, non è solo il buio, ma è magari una dimensione di ricerca che pretende attenzione e contemplazione allo stesso tempo.
Giacomo: L’oscurità nel video gioca come elemento di rivelazione. La ricerca dell’uomo nei confronti della natura delle cose e della vita è sempre stato un salto nel buio cosmico.

Vedi tutto nero o tutto bianco?

Francesca: Io a volte vedo troppi colori, ahah.
Giacomo: Se iniziassi a vedere tutto bianco mi preoccuperei.

sculture in argilla,
vernice e acidi,
2020

Natura come matrice di nuove realtà o dimensione idilliaca e ideale?

Francesca: Pensare la natura come dimensione ideale è forse un concetto sbagliato se contestualizzato nel periodo in cui viviamo. L’uomo ha bisogno e deve essere accanto alla natura e accorgersi che questa è un giardino, un parco. La natura è come il nostro corpo, reale e da prendersene cura. Vederla come una dimensione ideale forse ci allontana da essa. Ora come ora dobbiamo sentirla vicino e amarla.
Giacomo: Purtroppo la natura non è idilliaca da ormai tanto, troppo tempo. Da sempre è addomesticata. Concordo pienamente con Francesca.

C’è qualcosa che faresti per 23.500 volte?

Francesca: Sicuramente penso 23.500 volte prima di iniziare a fare qualcosa. Un bel problema!
Giacomo: Si dice che in una vita media di 80 anni, si passano circa 26 anni dormendo. Un terzo della nostra vita ce la dormiamo. 8 ore su 24, 26/27 anni su 80 di vita. Probabilmente questo.

Sogni spesso? E cosa sogni?

Francesca: Sogno molto spesso. sono molto legata ai miei sogni. Rimango sbalordita quando sogno gli animali. Una volta sognai un ghepardo sotto al mio letto che amavo e accudivo come un figlio. Ho sognato paesaggi molto limpidi e cristallini… Insomma, sogno sicuramente un posto naturale che mi accolga.
Giacomo: Certo. Spesso mi capita di fotografare e mettere in scena i miei incubi.

Dimmi tre parole che ti descrivono.

Francesca: sinistra, desertico, mare
Giacomo: luce, oscurità, foresta