MARTA M. ACCIARO
Autrice: Valentina Tanni
Edizione: Nero
Pagine: 252
Prezzo: 18 euro
Parto da un assunto per me fondamentale.
Il virtuale è reale e non ha più possibilità della realtà. Cambia solo la modalità. E quando penso alle possibilità e alla modalità penso all’immagine che è stata più prodotta nell’arco dei secoli: la crocifissione. Il tema era uno: cristo in croce. Le modalità erano infinite quanto infinite erano le persone che potevano e possono ancora oggi produrre questa immagine. Esistono in potenza tante crocifissioni quante persone esistono al mondo.
Credo sia fondamentale per porre le basi di un difficilissimo discorso che viene affrontato da Valentina Tanni in “Memestetica”, con tutte le possibilità della rete, delle immagini in rete, della circolazione delle immagini in rete, della proliferazione, rimodificazione, remixaggio, reimpostaggio dell’immagine prodotta.
Quel che cambia tra il mio assunto e l’assunto del meme è l’idea di opera prima. Infondo se ognuno di noi facesse la sua crocifissione sarebbe sempre un’opera prima. Il concetto di opera prima ha in sé, anche se dio è morto (cfr. Hegel, Nietzche, Benjamin), l’idea di aurea dell’opera: forse è inevitabile. Esiste anche nel meme un’opera prima: ma è un’opera? Come è possibile identificare la prima? Sebbene Tanni cerchi di ricostruire i primi che hanno creato, sono davvero i primi? È un atto di fede? Mi sto ponendo le domande giuste?
Il discorso tra reale e virtuale è complesso, come complessa è la relazione tra noi e tutte quelle immagini che sono frutto del nostro quotidiano, di una sproporzione numerica impossibile da contare, incontenibile per ogni mente.
“Memestetica” è un libro bellissimo. Si interroga sul senso dell’immagine oggi nel suo più ampio spettro (tutto quello che in ultimo crea un’immagine) e i significanti e i significati che comportano e ne derivano. Ha certamente un primato questo volume: aver provato a delineare il difficilissimo discorso sulla memetica e la viralità dell’immagine dagli anni 2000 in poi (sebbene la base sia tutta anni ’90 del secolo scorso) e degli albori di internet (forse) come lo intravediamo anche oggi e nei suoi innumerevoli cambiamenti in atto e in corso.
Riferimenti culturali alla storicità dell’arte non mancano. Tante le domande sulla relazione tra l’arte che definiamo istituzionale e questa sconsiderata produzione di cui gli autori e le autrici non si appropriano neanche – perché non è quello il fine, ma fine è la volontà creativa e comunitaria degli/delle utenti. Conseguenza è la dissacralizzazione dell’immagine in quanto calata nella vita quotidiana per una fruizione svincolata dai luoghi d’arte.
Ora che i parametri sono del tutto cambiati serve una nuova grammatica dell’immagine, da ridefinire per intero, tanto quando esiste una grammatica dei layer conosciuta da chi effettivamente i layer li usa. La produzione di contenuti è ingestibile, incatalogabile. L’idea di Tanni di provare a dare un ordine e un senso a questa spaventosa produzione è degna di ammirazione e apre la strada verso vie ancora da scoprire, grammatiche da definire, logiche da intuire e problemi da decostruire.
Non sono una persona che capisce i meme perché non conosco affatto bene la rete e le sue possibilità. Non ne afferro il senso, non ne riconosco le forme. Tanni aiuta le persone come me, con questo suo tentativo di ordine, a dare sostanza a un discorso difficile e spesso meno afferrabile e più di nicchia di quanto si possa pensare. Ho visto i numerosi esempi che vengono citati nel libro (ed è importantissimo farlo, lo consiglio per una comprensione maggiore) e grazie al volume posso dirmi non certo un’esperta di meme, ma in grado di comprenderne la portata rivelatrice di questo mondo gigantesco per cui per molto tempo mi sono sentita esclusa in quanto utente poco attivo.
Tra i capitoli più interessanti quello tutto dedicato a Marina Abramovic, “L’artista è (onni)presente”, che tratta dell’opera al MoMa “The artist is present” in cui Marina è stata 716 ore e 30 minuti seduta davanti a un pubblico che man mano cambiava, divenendo soggetti in-performance nel momento in cui sedevano davanti a Marina (ma non anche nell’intenzione della fila, del comparire tante volte delle decisioni di scavalcare gli altri, dormire fuori per entrare prima la mattina successiva?). Tanni si concentra sulla risonanza mediatica dell’evento. Non posso che farle coro. Youtube e soprattutto i social network si sono riempiti soprattutto del momento in cui arriva Ulay, compagno di una vita, per rompere la compostezza dell’artista e, mi si permetta di dire, l’unico momento in cui davvero “the artist is present”, per la presenza di Ulay. Quello che si è creato è stata una baraonda di immagini, meme, video, contenuti di vario genere, non solo su Marina seduta, ma sull’incontro Marina-Ulay, soprattutto contenuti per i più romantici che, ignari del film promosso quasi in concomitanza della performance, ragguaglia il pubblico che già un incontro con Ulay era avvenuto in sede privata e che, probabilmente, l’emozione era dovuta proprio al tavolo che era davanti a loro, tavolo dell’ultima loro opera fatta insieme per cui, per la troppa magrezza, Ulay dovette abbandonare la performance per andare all’ospedale, senza il sostegno di Marina che rimase da sola a continuare la performance – momento decisivo che, come racconta Marina stessa nella sua autobiografia – segna il momento di rottura tra lei e Ulay. Anche su questa storia si potrebbe creare un meme e certamente un’immagine virale. Ad ogni modo è importantissima la critica di Tanni e l’indagine proposta delle conseguenze mediatiche di questa performance descritte nel breve capitolo per capire alcuni dei meccanismi che scatenano una viralità di pensiero, appunto, ancor prima che a livello pratico.