NOEMI MIRATA X VIRGINIA VALLE
Noemi Mirata è nata nel 1995 a Catania, città in cui ha portato avanti i suoi studi fino alla laurea triennale in Pittura all’Accademia di Belle Arti. Successivamente si è trasferita a Milano, per proseguire con un biennio magistrale in Terapeutica Artistica all’Accademia di Belle Arti di Brera.
La sua ricerca si focalizza sulla natura e sulla caducità degli esseri umani e degli elementi organici, destinati a incontrare processi di trasformazione e decadimento, spesso determinati dal caso.
Anche i rimandi alla sua terra e a una dimensione più intima e familiare diventano sovente oggetto dei suoi lavori.
Nel 2020 è stata coinvolta in tre mostre: Natura umana organizzata dal MUSPA, Museo senza pareti; La natura si abita presso Idea4mi e Pupi, La nuova storia da Amy-d Gallery a Milano.
Virginia Valle: L’elemento che emerge con maggiore evidenza dalle tue opere è quello naturale. Da dove nasce questa esigenza di relazionarti con il mondo organico?
Noemi Mirata: L’esigenza di relazionarmi con il mondo organico nasce dalla curiosità e dal bisogno incontenibile di scoprire la materia di cui, sia noi che il mondo che ci circonda, siamo fatti. La materia, in questo caso, è una materia che si trasforma ed è in continua evoluzione, quindi può essere controllata ma fino a un certo punto. Questa perdita di controllo è sicuramente fondamentale all’interno della mia ricerca, poiché rende visibile “la bellezza del caso”. Il caso è un elemento insito nel processo di trasformazione della materia ed è ciò che più riesce a meravigliarci. Trovarci di fronte a qualcosa che involve e che contemporaneamente dà vita a un’altra materia che si evolve credo che sia una vera epifania.
V.V.: Al 2018 risale In divenire un lavoro di forte impatto visivo nel quale compi un’analisi sul ciclo di vita dei viventi, che si trovano in uno stato di continuo deterioramento e rinascita. A che necessità risponde questo lavoro?
N.M.: Riprendendo ciò che ho detto prima, In divenire prende le mosse proprio dalla necessità di comprendere come un corpo possa alimentarne un altro, trasformandosi. In questo lavoro, un cuore bovino decomponendosi lentamente alimenta, con i suoi liquidi, i semi che erano stati inseriti precedenti al suo interno. Grazie quindi alla morte di un corpo, si rende possibile la nascita di un altro. Il seme quindi cibandosi della materia umida dà vita ai suoi germogli. Il lavoro oscilla tra la vita e la morte, temi che si legano indissolubilmente e a cui l’uomo da sempre tende.
V.V.: Passando a lavori più recenti, nel 2019 hai realizzato la serie intitolata My Nest, sculture di colla e capelli esposte a Torneria Milano nella mostra collettiva I capelli: simbologia, semiologia e sociologia attraverso lo sguardo dell’artista. Quanto entra nelle tue opere la dimensione intima e famigliare?
N.M.: La dimensione intima è veramente molto presente all’interno della mia ricerca, ricerca che tende quindi a creare una “ri-conessione” con i miei luoghi e il mio vissuto. My Nest infatti, nasce proprio dall’esigenza di creare un nido, quindi uno “spazio d’orgine”, in cui si può indagare la dimensione intima e famigliare. La raccolta dei capelli, prima condotta in maniera solitaria, è stata poi condivisa da mia madre, rendendo questo lavoro molto più profondo. My Nest mi ha dato la possibilità di approfondire il concetto di “casa” e di “appartenenza”, sottolineato proprio dalla forma di un involucro, un nido per l’appunto. Anche in altri lavori vi è un rimando a questo concetto, reso visibile per lo più dall’utilizzo di semi siciliani che creano una connessione con la mia terra natia.
V.V.: A quest’anno risale invece la mostra Pupi, La nuova storia, presso Amy-D Gallery a Milano, dove hai presentato Radici, opera in cui un fantoccio realizzato con collant e cotone prende vita grazie alla presenza di piccoli germogli. Anche in questo caso il tuo interesse per la Madre Terra si manifesta tramite l’utilizzo di elementi organici e vitali che prendono il sopravvento sull’uomo. Come vivi il rapporto tra uomo e ambiente nella contemporaneità e come si relazionano i tuoi lavori al tema?
N.M.: L’uomo ha da sempre modi diversi di relazionarsi con l’ambiente circostante. L’ambiente, soprattutto quello vegetale, è il posto da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna. È uno spazio primordiale a cui l’individuo dovrebbe ri-conettersi e rigenerarsi. In un mondo in cui siamo costretti a vivere in continua frenesia, il ritmo lento della natura dovrebbe insegnarci a rallentare o a fermarci. Se ci pensiamo, il seme ha bisogno di tempo per marcire e poi germogliare, come un corpo qualsiasi necessita di tempo per attuare la sua trasformazione.
Nel mio lavoro il tempo e la cura sono due aspetti fondamentali. Quando si utilizzano materie organiche infatti bisogna dedicarsi, in maniera metodica, a ogni fase del processo di crescita. È necessario comprendere che il prendersi cura di qualcosa richiede tempo, ma non solo, richiede anche perdita di controllo sul lavoro stesso. Infatti, il caso entra a far parte dell’opera, modificando e cambiando, il risultato finale. Lasciare quindi il lavoro alla sua naturale mutazione è un passaggio inevitabile.
V.V.: I germogli appena citati non a caso sono di semi tipicamente siciliani, di Tenerume e Lenticchia rossa di Pantelleria. La Sicilia è la tua terra d’origine ed è spesso presente nei tuoi lavori, anche solo implicitamente. Come entra nelle opere il legame con la tua terra?
N.M.: Il legame con la mia terra natia è stato indagato in diversi miei lavori. In particolar modo, la selezione da parte del Collettivo Flock, successiva alla partecipazione al bando PUPI-La nuova storia, mi ha permesso di ragionare in maniera contemporanea sulle mie tradizioni. Il pupo infatti, figura in legno riccamente decorata e cesellata appartenente alla tradizione siciliana, è stato in questo caso svestito per poi essere ricoperto di un involucro, all’interno del quale sono stati posti semi siculi. Il legame con le mie origini, in questo lavoro, lo si evince nel momento in cui, le radici dei semi hanno iniziato a crescere e ramificarsi, invadendo il vestimento del pupo. Anche nel lavoro Germinazione umana, lavoro site specific per lo spazio DENDRON, semi modicani, e provenienti da Pantelleria e dintorni, hanno sottolineato l’appartenenza al mio luogo natio e la ricerca, quasi esasperata, di ritorno alle mie origini. Queste infatti, sono state le due tematiche attraverso cui il lavoro si è alimentato.
V.V.: I collant sono un elemento utilizzato anche in altre occasioni. Mi vengono in mente i lavori realizzati per il progetto svoltosi nel centro antiviolenza Cerchi D’Acqua per donne maltrattate. Ce ne puoi parlare?
N.M.: Il progetto svoltosi nel centro antiviolenza Cerchi D’Acqua è nato da un concetto molto utilizzato nell’ambito botanico, ovvero la “resilienza”. Il termine “resilienza” indica la capacità di un corpo di reagire a urto senza rompersi. Esso è presente anche nell’ambito psicologico, economico o finanziario, mantenendo, in linea generale, il medesimo significato. Partendo da ciò, il progetto si è dispiegato attraverso tre fasi diversificate, che hanno tenuto in considerazione l’evoluzione e la crescita del progetto stesso. La prima fase è stata dedicata alla “semina”. Un pezzo di terra infatti, è stato messo a coltura, utilizzando semi di erbacce, le piante più resilienti che esistano sul nostro pianeta. La seconda fase è stata poi dedicata alla realizzazione di “Armature vegetali” con foglie di Sparto pungente, ragionando soprattutto sull’importanza del vestimento, tematica che è stata poi approfondito nell’ultima fase, in cui è stato chiesto alle donne di portare dei collant personali. L’utilizzo di un indumento personale ha creato un legame ancora più forte con il lavoro realizzato. L’Indumento, tipicamente femminile e utilizzato per “contenere”, è stato riempito con cotone e semi sempre di erbacce, creando dei pezzi di “corpi”. L’installazione, realizzata con i vari pezzi cuciti fra di loro, dopo essere stata innaffiata, ha reso visibile il frutto del progetto stesso, ovvero “la vita”.
V.V.: Il tuo lavoro, come abbiamo visto finora, è in gran parte scultoreo e in continua metamorfosi. Talvolta hai però utilizzato altri linguaggi, come nelle videoinstallazioni Malum granatum (2018-19) e Rimembranze germinali (2015-16). Credi che questi siano i linguaggi che meglio esprimono la tua ricerca o stai sperimentando anche con altri mezzi?
N.M.: Parlando di linguaggi, all’interno del mio lavoro, cerco di utilizzarli in base a ciò che voglio esprimere o documentare. In questo caso, il video era il mezzo più adatto per narrare la performance di Malum granatum e documentare la processualità nel lavoro Rimembranze germinali. In linea generale, mi piace sperimentare per trovare il linguaggio migliore da utilizzare per ogni lavoro.
V.V.: Per concludere: ci racconti su cosa stai lavorando in questo momento e se hai dei progetti in cantiere?
N.M.: In questo periodo particolare, sto cercando proprio di lavorare su questa condizione di limite e costrizione che stiamo vivendo. Questa stessa condizione però, all’interno del progetto, tende a qualcosa di altro, qualcosa che oltrepassa il limite e lo trasforma. È un progetto fotografico in cui la figura umana attua una vera metamorfosi, fondendosi con il mondo vegetale.
In cantiere ho diversi progetti che aspettano solo l’occasione per essere realizzati.