BARBARA DE VIVI X ELEONORA SAVORELLI
Eleonora Savorelli: Il 29 luglio ha inaugurato a Palazzo Merulana (RO) “SNAP TRAP”, mostra bipersonale, curata da Miriam Rejas Del Pino, che ti vede partecipe assieme a Francesco Pozzato. Mi parleresti di questa esperienza? Come si è sviluppato il dialogo tra voi?
Barbara De Vivi: Progettare SNAP TRAP è stata per me un’esperienza molto positiva. Io, Francesco e Miriam abbiamo lavorato insieme per più di un anno, perché l’evento iniziale in cui l’esposizione si sarebbe dovuta inserire è stato posticipato più volte e infine annullato a causa della pandemia. Avendo investito molto nel progetto, non ci siamo rassegnati e abbiamo proposto la nostra idea a diversi spazi finché non abbiamo avuto un riscontro positivo dalla Fondazione Cerasi che ci ha permesso di esporre a Palazzo Merulana, un luogo ideale che superava le nostre aspettative. Per adattarci al nuovo spazio abbiamo più che raddoppiato il corpus di opere stabilito, progettando nuovi pezzi in dialogo con lo spazio, con la città di Roma e con le nostre rispettive ricerche. Per la durata del progetto c’è stato un confronto continuo tra di noi, tramite studio visit e video call, in cui abbiamo discusso insieme il lavoro e visto le opere prendere forma. Per me è molto importante ricevere stimoli esterni e poter lavorare, come in questo caso, con persone appassionate e professionali. Ciò mi motiva nel proseguimento della mia ricerca.
E.S.: Le tue opere iniziano ad uscire dai margini della tela, penso ad esempio a “Serpenti di bronzo” (2021) e “Untitled – Vittoria alata” (2021) entrambi presenti a “SNAP TRAP”. È un nuovo orizzonte per la tua arte? Queste nuove opere ti hanno spinto a relazionarti con lo spazio espositivo in un nuovo modo?
B.D.V.: Per lungo tempo ho considerato il dipinto come una finestra affacciata su un mondo altro e ciò che avveniva in essa mi assorbiva in modo totalizzante, astraendomi dal contesto in cui era collocato. Recentemente ho iniziato a considerare maggiormente la relazione che si instaura tra le varie opere che espongo concependole come un corpus unitario e quindi a valutare lo spazio che intercorre tra le une e le altre. Pongo ancora il fulcro della narrazione all’interno della tela ma facendolo alle volte propagare all’esterno sotto altre forme. Con queste soluzioni, che possono spaziare dalle carte da parati agli adesivi parietali a cornici concepite ad hoc, riconfermo la dimensione oggettuale della tela e la sua fisicità nello spazio mantenendo insieme la sua valenza di varco su un’altra realtà. Con questi interventi vorrei creare uno spazio intermedio che connetta il mondo interno alla raffigurazione a quello reale dell’osservatore sfumandone i confini.
E.S.: Le stampe digitali sono una parte rilevante della tua produzione recente, ricordo “Golden Hour” (2021), presentato alla Fondazione Francesco Fabbri, e “Serpenti di bronzo”. Credo che l’avvicinamento della tela, assieme alla pittura, col PVC sottolinei nuovamente il tuo accostare figure “contemporanee” a quelle legate al passato: modernità e tradizione si intrecciano in modo ancora più saldo. Come e quando hai sentito la necessità di aprirti a questo mezzo?
B.D.V.: Già da tempo l’elaborazione digitale delle immagini è parte del processo di progettazione delle mie opere con la creazione di bozzetti preliminari-collage, dal momento che compongo i dipinti utilizzando per lo più immagini esistenti decontestualizzate. Queste composizioni digitali sono divenute via via più presenti, passando da essere studi personali a parte dell’opera. Inizialmente ho inserito dei decollage di grafiche digitali elaborate da me nella preparazione della tela, creando una texture sulla quale intervenire pittoricamente. Riflettendo sulla potenzialità di queste grafiche ho deciso di mantenerle evidenti, trasformandole in una sorta di carta da parati su cui collocare le opere. Mi affascina come immagini fissate in opere antiche si disincarnino e viaggino nella rete per riprendere corpo in una nuova opera, temporalmente e geograficamente distante dalla propria origine.
E.S.: Dal 2018 condividi lo studio Veneziano “Magazzino Bha” con la pittrice Alice Faloretti. Quanto è importante la dinamica dello studio per te? Che peso ha nella tua ricerca e pratica?
B.D.V.: Lo studio è per me un luogo estremamente intimo, lo spazio che più sento mio. Talvolta può essere un rifugio, un ambiente di ritiro e isolamento, e alle volte trasformarsi in un territorio di confronto e convivialità. Magazzino Bha è nato nell’estate del 2018, quando io e Alice abbiamo iniziato a svuotare e ristrutturare un vecchio magazzino veneziano della mia famiglia. È stata un’impresa ardua, che ci ha impegnato per mesi a tempo pieno e ha riportato alla luce strani cimeli dimenticati, tra cui la testa di pesce spada che è diventata il logo del nostro studio condiviso. Io e Alice condividiamo ogni aspetto della vita dello studio, dalle mansioni più pratiche come ordinare e montare i telai, alle riflessioni e al confronto sui rispettivi lavori in corso d’opera. Conosciamo la ricerca l’una dell’altra al punto da poterci dare pareri sul lavoro rispettando il pensiero che lo sostiene. Nonostante le nostre ricerche rimangano profondamente diverse e indipendenti, questo scambio arricchisce la pratica di entrambe e ci permette di approcciare il lavoro da un punto di vista alternativo.
E.S.: Nei tuoi dipinti si incontrano figure tratte della storia dell’arte – da Tintoretto a John William Waterhouse a Eugene Delacroix – e figure contemporanee tratte dai social e dalla rete. In diverse tue opere – ricordo ad esempio “Trauerspiel” (2020), i “Pool Party” (2019/2020), e “Apparizione nella grotta” (2017) – le composizioni sono ricche, movimentate, emozionanti: ricordano anch’esse le produzioni dei Maestri del passato. Tuttavia, lo stesso movimento ed irrequietezza, li ritroviamo nel mondo di oggi – condizioni, forse, meno epiche e sofisticate, e più angoscianti: durante la creazione delle tue opere, quanto tieni a mente le iconografie passate, e quanto, invece, pensi al mondo contemporaneo?
B.D.V.: Le iconografie antiche sono parte della mia interiorità ad un livello molto istintivo, fanno parte dei modelli attraverso cui visualizzo le mie istanze di vita, tanto quanto altre immagini più pop e contemporanee. Non percepisco una distanza sostanziale tra questi due mondi, entrambi vanno a formare il mio immaginario e la mia mitologia personale. Le tematiche ricorrenti del mio lavoro emergono dal mio presente ma hanno caratterizzato altri periodi di inquietudine e instabilità, come quelli in cui sono sorti barocco e romanticismo. Mi sento limitata nell’eleggere un’unica immagine iconica come risolutiva. Per non cristallizzare nessuna forma ricerco uno scorrimento fluido di immagini sovrabbondanti e ibride, che si affollino in spazi illusori e teatrali. Le composizioni corali in cui l’occhio vaga da una figura all’altra senza fissarsi su nessuna richiamano epoche lontane ma rispecchiano anche la fruizione contemporanea del flusso di immagini a cui siamo sottoposti.
E.S.: I tuoi taccuini, oltre ad essere delle opere d’arte a sé stanti, sembrano essere una parte imprescindibile della tua pratica: che peso hanno nella realizzazione delle tue tele?
B.D.V.: Nei miei quaderni archivio attraverso il disegno immagini, per lo più preesistenti, per le quali sento un’attrazione. Formano una collezione di schizzi veloci di figure isolate provenienti da contesti differenti, dai dettagli di opere d’arte alle foto di moda, connesse da legami che possono riguardare l’aspetto formale o la tematica che di volta in volta indago. Questi disegni costituiscono un repertorio a cui attingo, anche a distanza di anni, per popolare le mie tele. Queste figure, accostate nei dipinti, formano una narrazione frammentaria composta dalla compresenza delle varianti di una stessa iconografia.
E.S.: Ti stai preparando ad un’esperienza all’estero, da agosto sarai nel tuo nuovo studio condiviso a Newcastle (GB), lo spazio “Baltic 39”: impressioni ed aspettative per questa nuovo viaggio?
B.D.V.: Ho deciso di partire in modo abbastanza impulsivo. A Venezia ho trovato un buon equilibrio ma temevo di accomodarmi eccessivamente in un periodo della mia vita in cui mi sento pronta ad affrontare ulteriori cambiamenti. Ho contattato diverse istituzioni artistiche nel nord dell’Inghilterra e ho ottenuto uno studio a Baltic 39, uno spazio di lavoro dedicato ad artisti e creativi freelancer a Newcastle gestito da Baltic Center for Contemporary Art, una delle mie prime scelte. È stata dura soprattutto decidere di allontanarmi da Magazzino Bha senza sapere quali saranno le nuove opportunità di confronto che mi si presenteranno. Non so cosa aspettarmi esattamente da questo cambiamento ma sicuramente l’aver messo in crisi le mie sicurezze mi porterà nuove energie e nuovi stimoli per la mia ricerca.